giovedì 7 novembre 2024
In grandi linee, al netto della politica abbastanza dissennata dei dazi promessa dal vincitore, la differenza in economia tra Donald Trump e Kamala Harris, la candidata democratica sconfitta ben oltre le previsioni, ricalca sostanzialmente la storica impostazione dei due più grandi partiti americani. Da una parte i democratici inclini ad aumentare la spesa pubblica e la tassazione, iniettando grosse dosi di sussidi alle componenti più fragili della società, creando inflazione anche a vantaggio della grande industria e dei grandi patrimoni; dall’altra parte, i repubblicani, che anche con il tycon promettono di tagliare la spesa corrente e le tasse introducendo elementi di quella deregulation che nella piccola Europa del costosissimo Welfare, è una illustre sconosciuta. Sta di fatto che ancora oggi negli States vige la classica alternanza politico in cui a un Partito democratico più statalista, per modo di dire, segue una fase più liberale, sempre per modo di dire, portata avanti dagli avversari repubblicani. Tutto ciò, sebbene accada in un enorme e complesso Paese formato da 50 Stati federali, con sensibilità e tradizioni spesso assai diverse rispetto a quelle della Vecchia Europa, consente alla più grande potenza mondiale di crescere ancora oggi a tassi molto alti, attualmente superiori al 3 per cento. Si potrebbe dire che il prodotto migliore di tale alternanza sia quella cosa che soprattutto in Italia facciamo fatica a concepire: la flessibilità. Ebbene, dato che oramai in Europa sembra aver preso piede ciò che alcuni definiscono come la democrazia acquisitiva, ossia l’idea di acquisire il consenso democratico attraverso l’utilizzo disinvolto della spesa pubblica, e di cui il nostro Paese è da sempre capofila, è probabile che anche questa volta le interessanti indicazioni che provengono da una parte consistente degli elettori statunitensi non verranno colte nella loro interezza, continuando soprattutto in Italia – in cui per la cronaca lo Stato gestisce il più costoso sistema Welfare – ad alimentare un dibattito basato su ipotetici aumenti di spesa, o di tagli fiscali in deficit, che sulla base dell’attuale, colossale indebitamento è pura fantascienza economico-finanziaria.
di Claudio Romiti