venerdì 25 ottobre 2024
Ieri l’altro è stato diffuso il rapporto (qui il testo) dell’Ecri (Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza) – sesto ciclo di monitoraggio sui diritti umani – sull’Italia. Siamo al cospetto di un tragicomico tripudio di “luogocomunismo” e di pregiudizio, sversato su alcune delle principali istituzioni democratiche del nostro Paese allo scopo di restituire un’immagine della società italiana in senso xenofobo, omofobo e razzista. Ma procediamo con ordine. La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza è un’emanazione del Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale che non c’entra nulla con l’architettura istituzionale dell’Unione europea. È stato fondata nel 1949. Attualmente ne fanno parte 46 Stati membri. La sua sede è a Strasburgo. Tra gli organismi afferenti al Consiglio d’Europa, il più conosciuto è la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). L’Italia vi aderisce dalla sua fondazione. Nell’ambito delle attività operative, l’Ecri ha il compito di monitorare i singoli Paesi in ordine al rispetto dei diritti umani.
Veniamo al report. Il documento si compone di 48 pagine. In parte è un’analisi che vorrebbe essere la fotografia dello stato dell’arte sull’effettiva parità, sull’accesso ai diritti, sul livello di integrazione e inclusione raggiunto dalle categorie deboli e svantaggiate all’interno della nostra comunità nazionale. Una seconda parte è riservata alle raccomandazioni al Paese vigilato in vista di un successivo monitoraggio intermedio. Abbiamo esaminato il testo della Commissione e con sorpresa abbiamo riscontrato che le fonti d’informazione da cui i relatori hanno attinto le notizie, oltre che dalla documentazione prodotta in precedenza dalla stessa Ecri, sono costituite da siti di associazioni che hanno posizioni di parte sugli argomenti trattati nonché da articoli di giornali italiani ed esteri, tendenzialmente contrari al Governo di centrodestra, mentre tra le 134 fonti bibliografiche citate, l’Istat vi compare solo tre volte.
Il documento chiarisce in premessa che: “I rapporti dell’Ecri non sono frutto di indagini o prove testimoniali. Si tratta di analisi basate su informazioni raccolte da un’ampia varietà di fonti. Gli studi documentali si basano su numerose fonti scritte nazionali e internazionali. La visita in loco fornisce l’occasione di incontrare direttamente le parti interessate (governative e non), al fine di raccogliere informazioni dettagliate”. È una sconcertante ammissione di non scientificità del documento, orientato invece a omologare pregiudizi sulla base di notizie riferite de relato.
Metodologia dagli effetti devastanti se si considera quanto dichiarato nel report: “La delegazione dell’Ecri è venuta a conoscenza di molte testimonianze sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine in particolare verso la comunità rom e le persone di origine africana. Queste testimonianze di frequenti fermi e controlli basati sull’origine etnica sono confermate anche dai rapporti delle organizzazioni della società civile e di altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati” (Capitolo IV, paragrafo B, punto 93). Si tratta di un’accusa grave che comporterebbe la denuncia all’Autorità giudiziaria dei comportamenti illegali a carico delle nostre forze di polizia. Ora, quali elementi concreti di prova i relatori hanno raccolto a sostegno dell’accusa? Perché non li hanno trasmettessi all’Autorità giudiziaria? Verosimilmente, si tratta di sentito dire. E tanto basta per fare degli estensori del report degli autentici cialtroni. Non mancano poi le giustificazioni surreali a fenomeni sociali che pesano enormemente sulla condizione securitaria della società italiana.
Riguardo ai rom, che a leggere il documento sarebbero i più perseguitati in Italia, si arriva a sostenere che: “Le ragioni dell’abbandono scolastico precoce (dei bambini rom, ndr.) sono l’instabilità della situazione abitativa e gli sgomberi forzati che comportano l’interruzione scolastica, la mancanza di trasporti adeguati dagli insediamenti alle scuole nonché l’assenza di altre forme di sostegno mirato per i bambini rom, il bullismo nei confronti dei bambini rom nelle scuole, la mancanza di reazione degli insegnanti ai primi segnali di abbandono, l’esclusione digitale e la mancanza di competenze linguistiche che impediscono ad alcune famiglie rom di completare le procedure di iscrizione a scuola” (Capitolo III, paragrafo B, punto 83). Bisogna essere venuti dalla luna per scrivere stupidaggini del genere. Chi conosce il mondo dell’educazione sa quanti sforzi compiano le istituzioni scolastiche per portare i minori rom all’interno dei processi formativi senza tuttavia riuscirvi adeguatamente. Perché non hanno chiesto agli operatori dei servizi sociali dei comuni quali difficoltà incontrano solo ad accedere ai campi rom per chiedere conto ai genitori dell’abbandono scolastico di un minore? Scrivere che la causa della dispersione scolastica tra i minori rom sia dovuta alla mancanza di competenze linguistiche che impediscono ad alcune famiglie rom di completare le procedure di iscrizione a scuola, è una barzelletta che neanche il migliore Silvio Berlusconi avrebbe raccontato meglio.
In ordine alla valutazione del livello dell’odio razziale il discorso non cambia. L’Italia sarebbe a rischio di razzismo, in particolare verso la comunità dei rom perché Matteo Salvini nell’aprile 2023, commentando le proposte per migliorare la situazione delle madri detenute, ha affermato che “un partito politico precedentemente al potere ha liberato le borseggiatrici rom che usano i bambini e la gravidanza per evitare il carcere e continuare a delinquere” (Capitolo II, paragrafo A, punto 37). Se è verità o odio razziale avrebbero dovuto chiederlo ai milioni di dannati che quotidianamente nelle metropolitane e sui mezzi pubblici rischiano di essere derubati dalle bande organizzate di signore e signorine rom. Invece, a sentire i geni della lampada dell’Ecri, il problema dell’Italia sarebbe Salvini che denuncia e non il sistema criminale che rende insicuro il vivere nelle nostre città.
Altro argomento sensibile trattato è quello dei diritti Lgbti. Nello specifico, l’indagine svela la sua natura di manifesto dell’ideologia totalitaria progressista. L’Ecri si fa strumento di affermazione di una visione del mondo che si fa norma imperativa, vincolante per tutti. Riguarda la questione del gender. Il dibattito in Italia è aperto ed è nota la posizione della destra che non accetta l’interpretazione progressista della costruzione culturale dell’identità di genere e la sua sottrazione all’ambito biologico della distinzione tra i sessi. L’identità di genere fluida è qualcosa che la maggioranza degli italiani non accetta; la famiglia naturale fondata sull’unione tra persone di diverso sesso per i più rappresenta ancora una base d’ancoraggio della costruzione sociale e non un costrutto blasfemo di cui vergognarsi. In un mondo libero si discute e, per quanto attiene alle regole comuni, la maggioranza decide. Non è così per i detentori della verità progressista dell’Ecri che, ignorando totalmente il dibattito democratico sull’attribuzione dell’identità di genere, raccomandano al Governo italiano: “Sulla lotta all'intolleranza e alla discriminazione nei confronti delle persone Lgbti, di garantire che il processo di riconoscimento giuridico del genere sia rapido, trasparente e accessibile e che non sia subordinato a requisiti scorretti, come procedure mediche e/o diagnosi di salute mentale” (Capitolo I, paragrafo D, punto 26 e Lista di raccomandazioni, punto 3). Che è esattamente ciò che il Parlamento nazionale non ha approvato bocciando, nel 2021, il disegno di legge (Ddl) Zan.
Quindi, se l’Italia non si adegua all’ideologia del gender fluid è razzista e omofoba? Ma stiamo scherzando? Eppure, è su questa e altre amenità di simile tenore che è stato costruito il report-spazzatura. Il Consiglio d’Europa si regge su un bilancio, per il 2024, di 624,6 milioni di euro. Di questi, la maggior parte proviene dai contributi obbligatori annuali versati dagli Stati membri. E l’Italia è in prima fila tra i contributori. Spendiamo un mare di quattrini per avere un pessimo servizio? In qualsiasi altro caso, interromperemmo la fornitura e licenzieremmo il fornitore. Invece, quando si tratta di organizzazioni sovranazionali, i nostri Governi e le istituzioni pubbliche in generale fanno i teneri di cuore. È un vero peccato, perché un ammonimento iniziale sulla possibilità che un organismo internazionale non raggiungesse gli obiettivi giusti era stato lanciato in tempi non sospetti non da un pericoloso uomo di destra ma da uno dei padri fondatori del Consiglio d’Europa. Alcide De Gasperi, nel discorso pronunciato all’atto di costituzione del Consiglio d’Europa, avvertì: “Se ci limitiamo a istituire amministrazioni comuni, senza alcuna volontà politica superiore, che traggano vita da un’organizzazione centrale, in cui le volontà delle varie nazioni possano unirsi, per acquisire nuova decisione e calore in un’unione superiore, ci sarà il pericolo che questa attività europea possa rivelarsi, in confronto alla forza dinamica delle singole nazioni, priva di calore e vitalità spirituale; potrebbe persino sembrare, a volte, un mero apparato superfluo e gravoso, paragonabile a ciò che gravò sul Sacro Romano Impero in un certo periodo di declino”. Era stato buon profeta De Gasperi se, a 75 anni dalla sua creazione, è lì che siamo finiti, al disperante velleitarismo di una burocrazia autoreferenziale, innamorata delle sue utopie da ultimi giorni dell’Impero.
di Cristofaro Sola