giovedì 24 ottobre 2024
I bolscevichi depredarono gioielli e denaro a nobili e borghesi russi, alle chiese e alle sinagoghe, per finanziare i déracinés europei e i compagni hollywoodiani a stelle e strisce… di neve. Indimenticabile, fra gli altri, John Reed che descrisse da testimone oculare con toni apologetici il putsch bolscevico dell’Ottobre nel saggio I dieci giorni che sconvolsero il mondo. Molti anni dopo, nel 1981, quel libro ispirò il comunista milionario Warren Beatty a produrre e interpretare il film Reds. Ovviamente piovvero i premi, a cominciare da 12 candidature e 3 Oscar, a cui seguirono 7 candidature e un premio alla regia al Golden Globe, nonché altri 12 riconoscimenti, fra cui l’immancabile premio italiano, rigorosamente a falce e martello, denominato David di Donatello. Nessuno, però, ebbe l’onestà intellettuale di ricordare che Lenin ripagò a peso d’oro il giornalista John Reed. Il collega prezzolato fu sfortunato: tornato a Mosca per ricevere la più che lauta ricompensa, si beccò il tifo e il 17 ottobre 1920 defunse. Ufficialmente morì di tifo, ma probabilmente fu ammazzato.
Peccato, perché i due milioni e mezzo di rubli– un milione tondo solo per John, il resto per il neonato Partito comunista statunitense – rimasero in Urss, pressoché intatti, essendo stati consegnati il 22 gennaio 1920. Nessuno osò rievocare un particolare che pure fa onore al mercenario Reed: poco prima di morire si dimise da membro della Terza Internazionale, avendo constatato con dolore che la pseudo rivoluzione sul modello giacobino stava cominciando a divorare i propri figli. Le sue dimissioni causarono il mortale tifo? Tali dimenticanze, in primis sull’oro di Mosca, mi fanno pensare male non solo sulla grandinata di premi ricevuti dal film. Il mio cattivo cogitare mi induce, infatti, a ritenere che dai rubli di Lenin e dai dollari di Leonid Brežnev siamo, oggi, giunti alle valigie zeppe di cartamoneta, che lo zar Vladimir Putin dispensa nel mondo per finanziare Iran, Hamas, colpi di Stato, guerre; e in Europa per favorire tutte le iniziative suicidarie per l’implosione del Vecchio continente, vedi follie green, accoglienza illimitata, eutanasia reclamata dai servi di George Soros, sovranità nazionali cancellate, auto elettriche che bruciano le case, grilli e bistecche sintetiche, biosostenibilità, il sacro totem Lgbtqia+ resiliente, sostenibile, intoccabile. Quando l’Ecri (Commissione europea contro il razzismo) del Consiglio d’Europa denuncia le forze di polizia italiane per razzismo (“…forze dell’ordine che prendono di mira in particolare i rom e le persone di origine africana”) non posso non congetturare l’ombra della manina carica di soldi del Cremlino. L’Italia è in prima linea nell’atlantismo e nel sostegno all’Ucraina e, certo, l’attuale Esecutivo dispiace e disturba il vendicativo Putin. Va, dunque, esposto al pubblico ludibrio come governo xenofobo e schifosamente intollerante. Solo per i nostri giudici, invece, lo zar Vladimiro non deve spendere un rublo, perché la pappa è già stata confezionata. Hanno già provveduto, dal 1945 sino al 1991, i milioni di dollari provenienti dal Pcus e dalle società di import-export (tutto pane strappato alle bocche delle popolazioni soviettizzate) a favorire l’infiltrazione comunista in tutti i gangli vitali dello Stato, a cominciare dai mass media e dalla magistratura.
E non solo, perché mi risultano alcuni generali italiani della Nato, a suo tempo, molto vicini all’Urss. Uno venne a casa mia e mi confessò il suo amore per l’Unione Sovietica; l’altro fu il suocero di Corrado Augias, alias “Donat”. Palmiro Togliatti, temendo la giustizia borghese, che gli condannava i partigiani ammazzapreti del triangolo della morte, gli assassini della volante rossa, i Moranino e altri compagni autori di atroci delitti, dapprima cercò di ostacolare la nascita della Corte costituzionale – fu fondata soltanto nel 1955, attuando con ritardo l’articolo 134 della Costituzione – giudicandola: “Organo che non si sa cosa sia, e grazie alla istituzione del quale degli illustri cittadini verrebbero a essere collocati al di sopra di tutte le assemblee e di tutto il sistema del Parlamento e della democrazia per essere giudici”. Quindi, affidò all’Istituto di studi comunisti delle Frattocchie la strategia della penetrazione nella magistratura e non solo.
Nel 1964, la nascita di Magistratura democratica, conferma che l’infiltrazione procedette con successo a riprova delle capacità finanziarie ed organizzative del partito stalinista-togliattiano. Del resto, alle Botteghe Oscure furono abilissimi nel titillare e sedurre i giovani ritenuti degni di attenzione. Io stesso, allora giovane professorino, toccai con mano quanto premiasse quella vicinanza. Dei circa 40 libri da me vergati, quello che ebbe più successo, anzi trionfo mediatico, fu Parola di generale (Mazzotta editore, Milano 1975) apprezzato dal Pci. 126 recensioni e una benevola e non breve citazione sulla prima pagina del Corriere della Sera furono la prova della potenza invasiva comunista. Mi promisero, inoltre, direzioni di periodici e quant’altro, ma il sottoscritto da individualista anarcoide, allergico ai catechismi ed all’intruppamento, rifiutò, rinunciando, da liberal-autolesionista, a premi, ricche prebende, carriera luminosa.
Con quella montagna di soldi potevano rendersi “simpatici” a tutti gli ambiziosi d’Italia, anche ai giornalisti delle grandi testate e dei più venduti settimanali, ai quali la Lubjanka regalò, attraverso soffiate di compagni socialcomunisti italiani, fragorosi scoop preconfezionati dal Kgb, vedi la bufala del golpe denominato “Piano Solo”, che fece la fortuna di Eugenio Scalfari. Figuriamoci la pressione psicologica sui giovani uditori attratti dall’idea di trasformare la monotona applicazione della legge nella creativa interpretazione dei codici, per risanare la società inquinata dal sistema capitalistico e dalla cornice liberaldemocratica. L’icona del giudice sovversivo ed etico, purtroppo, piacque assai. Da rimarcare anche la genialità leninista di stimolare tra le toghe l’ideologia rivoluzionaria, consolidando, nel contempo, la vocazione corporativa: compagni sì, ma pure casta. Indipendenza ed autonomia fecero via via rima con privilegio e megalomania. I più sentiti complimenti al Cremlino e al Pci, visto che, passo dopo passo, la lunga marcia all’interno della magistratura ci ha condotto a togati come Emilio Sirianni, il quale ci ha donato definizioni memorabili, tipo quella sul procuratore Nicola Gratteri: “È un fascista di merda ma soprattutto un mediocre, un mediocre e ignorante”. E su Marco Minniti: “Pseudo comunista burocrate che ha leccato il culo a Massimo D’Alema per tutta la vita”.
Al fine dicitore va un dovuto ringraziamento per le parole di verità profuse a favore della sua corrente, Md: “Magistratura democratica è nata con una cultura della corporazione, dicendo: noi non siamo giudici imparziali, o meglio noi non siamo indifferenti, noi siamo di parte, siamo dalla parte, siamo dalla parte del più debole, perché questo è scritto nella Costituzione”. Certo, vedi il comma dell’articolo 3, segmenti della nostra Carta furono dettati da Iosif Stalin, attraverso il socialista Lelio Basso, immediatamente ben remunerato dai dollari del Pcus, ma Sirianni pare abbia letto solo i sintagmi suggeriti da Baffone. Insomma, i magistrati disturbati dalla sovranità popolare, le toghe che insultano i colleghi non comunisti, i pm che chiedono 6 anni di galera per Matteo Salvini, le toghe rosse che chiamano a raccolta la corporazione per fermare Giorgia Meloni, vengono da lontano. Sono il risultato di una sapiente strategia attuata anche grazie agli spalloni in marcia verso le Botteghe Oscure con i sacchi pieni di dollari del Pcus.
di Giancarlo Lehner