Carta vincente: la stretta immigratoria di Giorgia Meloni

venerdì 18 ottobre 2024


Da almeno vent’anni, la pressione immigratoria afro-asiatica sull’Europa è in costante crescita e rappresenta una seria minaccia alla stabilità socio-culturale (e indirettamente anche a quella politica) di tutte le nazioni europee; e le tendenze lassiste che su questo fronte vengono attuate da molti governi di sinistra non fanno altro che acuire la questione. La risposta a quel minaccioso problema si divide in due grandi categorie: la destra che si oppone all’idea dell’apertura incontrollata e alla fatalistica rassegnazione a una trasformazione radicale della società europea nel senso di un multiculturalismo fra culture per molti aspetti incompatibili e perciò forzato e imposto sia da poteri sovranazionali sia da atteggiamenti mentali oggi di moda; e la sinistra che invece è propensa all’accoglienza indiscriminata, basata sia sul teorema marxista della lotta di classe trasformata in lotta di culture sia sull’illusione che quelle masse sostanzialmente estranee possano integrarsi più o meno agevolmente. Questa teoria dell’apertura pressoché totale viene poi applicata da un’enorme schiera di manovalanza, che va dalle frange politiche più estremiste alle varie Ong che operano (e prosperano) nel settore, e che contribuisce ad arricchire le mafie degli scafisti (sulle rotte del Mediterraneo) e dei passeurs (su quelle interne, la balcanica in primo luogo).

La linea tracciata da Giorgia Meloni – oggi in veste di Presidente del Consiglio e del Gruppo dei Conservatori Europei, ieri come leader di Fratelli d’Italia – designa e afferma un limite, inteso in un duplice senso: soglia di accettabilità nei flussi immigratori e limes come confine da rispettare e proteggere, con gli strumenti della legislazione nazionale e, quando possibile, europea, e con tecniche anche innovative, come nel caso dell’accordo con l’Albania. L’elaborazione meloniana, osteggiata da tutta la sinistra infarcita di politicamente corretto, è la più sensata risposta alle ondate migratorie attuali e future, e si rivelerà – ritengo e auspico – come precursore di una più estesa politica europea in materia di immigrazione e di sicurezza confinaria. Una prima conferma è già arrivata dal successo del summit convocato dalla premier italiana ieri a Bruxelles, a cui hanno partecipato Ursula von der Leyen e i leaders di dieci Stati europei.

Le buone idee infatti trovano sempre estimatori, e se riguardano la politica possono trovare ricezione anche presso esponenti della parte avversa, quando questi ultimi non siano imputriditi dall’accecamento ideologico. Quella che possiamo definire la fermezza praticabile teorizzata e praticata da Giorgia Meloni riguardo all’immigrazione rappresenta un caso emblematico: un’idea buona e rivolta al bene comune viene osteggiata dall’opposizione interna italiana, in spregio appunto degli interessi generali, per motivi palesemente strumentali ed elettorali, ma inizia ad essere osservata positivamente da alcuni esponenti di spicco del Partito Popolare Europeo, e in particolare da Ursula von der Leyen. I tempi storico-politici europei mostreranno che la linea Meloni – rigorosa nei princìpi e ragionevole nella prassi – verrà adottata da molti Stati, pur con varianti anche cospicue fra essi.

L’accordo con l’Albania è un dispositivo istituzionale piccolo nei numeri e con meccanismi operativi ancora da oliare meglio, ma di grande impatto politico, tanto che governi non certamente di destra come quello inglese di Keir Starmer o quello polacco di Donald Tusk, spinti entrambi da un’opinione pubblica sempre più anti-immigrazionista, lo stanno soppesando per verificare le possibilità di adattarlo alle loro realtà specifiche. Ed è prevedibile che anche governi per ora scettici verso questo modello, come quelli di Germania, Francia e Spagna, spinti anch’essi dall’opinione dei loro cittadini, lo valuteranno presto positivamente.

Le premesse politiche di questo modello risulteranno via via sempre più convincenti, perché si fondano sulle esigenze dei popoli; ed è perciò che anche i governi che fanno riferimento ai socialisti europei prima o poi le applicheranno, non per convinzione ideale ma almeno perché sanno che sulla questione immigratoria si vincono o si perdono le elezioni, come insegnano il voto europeo del giugno scorso e le ultime tornate elettorali in Francia e Germania. Ecco perché la strategia di Giorgia sarà vincente.

Le Ong che trasbordano i migranti sono infuriate, e ciò significa che la «linea Meloni» sta cogliendo nel segno: tutti gli interventi che, da un lato, riducono la spinta immigratoria e, dall’altro lato, la regolamentano con norme nazionali (in attesa che vi sia recezione e rispondenza da parte dell’Unione europea) restringono, di fatto, il campo d’azione delle Ong, ne limitano l’arbitrio e ne intaccano la floridezza. Ecco perché queste organizzazioni e i loro sponsors politici stanno intensificando gli attacchi a questo orientamento, intransigente ma ispirato a istanze di giustizia, di cui la Presidente Meloni è – e non da oggi – il migliore esponente.

Una regolazione rigorosa e istituzionale dei flussi sancirebbe la fine di queste associazioni di trasporto migranti e infliggerebbe un colpo durissimo anche alle mafie dei trafficanti di persone. Certo, le prime non sono collegate strutturalmente con le seconde (sia chiaro: le Ong non sono mafie criminali, sono solo gruppi ideologici), ma entrambe verrebbero ridimensionate con una legislazione rigida su scala continentale.

Le Ong possono strepitare, provocare chiasso mediatico internazionale, perfino intorbidare l’immagine dei governi che, difendendo i confini nazionali e gli interessi dei loro popoli, danneggiano gli interessi – questi sì assai torbidi – delle varie sigle «umanitarie». Ma non riescono ad andare oltre, mentre potrebbero avere – purtroppo – un’efficacia maggiore interventi da parte di organismi istituzionali come quello della Corte europea di giustizia, che con una palese anche se non esplicitata motivazione ideologica, vuole ostacolare questo orientamento, a conferma però – paradossalmente – non della sua erroneità bensì proprio della sua giustezza.

Tutto ciò dimostra infatti che Meloni ha toccato il nervo scoperto di tutta questa faccenda: la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole che l’immigrazione sia regolata in modo ferreo; che le frontiere esterne dell’Ue siano controllate con serietà e rigore; che vengano riviste le leggi sul diritto d’asilo; che gli immigrati si integrino e non formino Stati negli Stati; che la sicurezza non sia minata anche dalla criminalità immigrata. E nelle occasioni elettorali quella maggioranza opta, con sempre maggiore frequenza e consistenza, per i partiti che sostengono queste loro esigenze, tra i quali spiccano, per rigore concettuale e per equilibrio istituzionale, i partiti appartenenti al gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr).

Sulla duplice spinta, da un lato, dei Conservatori e, dall’altro lato, dell’opinione pubblica, incomincia a farsi strada pure nel Ppe l’idea che sia necessario salvaguardare l’identità nazionale anche limitando gli ingressi di extraeuropei ovvero regolamentandone i flussi sia con normative rigorose sia con la sorveglianza attiva dei confini. In realtà nel Ppe questa consapevolezza era già presente e aveva trovato applicazione all’inizio degli anni Duemila, con leader come Kohl e Stoiber, Aznar e Sarkozy, ma quanto il virus politicamente corretto ha infettato i Popolari, quando Angela Merkel (che pure ha avuto molti meriti, in anni passati, nel consolidamento della riunificazione tedesca e nella diffusione dei valori cristiani) è passata dalla difesa della Leitkultur alla retorica del multiculturalismo, il Ppe ha imboccato la strada della rinuncia all’identità e dell’apertura all’alterità, allargando la falla dell’immigrazione di massa.

Ora probabilmente assisteremo a una sterzata dei Popolari europei, a un ritorno al passato che non potrà che fare del bene all’Europa. Di questa auspicata svolta, la politica di Giorgia Meloni è senza dubbio la causa efficiente, ed è chiaro perciò che i socialisti e progressisti vari vorrebbero farle pagare il prezzo di un possibile cambio di rotta del Ppe, e non solo in materia di immigrazione. Accompagnati dai loro trombettieri mediatici, essi si sono infatti già mobilitati per gettare discredito sull’operazione anti-immigrazione meloniana e per scongiurare qualsiasi cambiamento di rotta del Ppe. Ma così essi certificano indirettamente il ruolo cruciale della premier italiana nella politica europea. Le idee buone, quelle cioè che al di là della propaganda si curano realmente del bene comune, trovano prima o poi accoglienza. E quelle di Giorgia Meloni, che senza fronzoli retorici e guardando all’interesse dei popoli europei, sono davvero buone.


di Renato Cristin