Tenersi l’Onu, che senso ha?

mercoledì 16 ottobre 2024


Fa male assistere a un’aggressione ai danni dei nostri militari, in missione di pace, per mano di un esercito – quello israeliano – che agisce per conto di un Governo e di un popolo che sono nostri fratelli. Non è bello, ma accade anche nelle migliori famiglie che in una rissa un fratello spintoni un altro fratello per farsi spazio e difendersi meglio. Ciò che invece non si può accettare è l’infamia morale di quei tanti che, a sinistra, cercano di sfruttare la situazione per portare acqua al mulino della propaganda anti-ebraica e filo-terrorista dei sostenitori di Hamas e di Hezbollah. Si tratta di un atteggiamento che non conosce decenza chiedere che i nostri soldati, impiegati nella Missione Unifil dell’Onu, restino lì dove sono, nella malcelata speranza che ci scappi il morto italiano per costringere il Governo Meloni a congelare i rapporti con Tel Aviv e a saltare la barricata mettendosi dalla parte di Hezbollah e Hamas. La diciamo dritta: giù le mani dai nostri ragazzi e ragazze con le stellette che hanno fatto ciò che era umanamente possibile in un luogo altamente instabile dove, non il contingente italiano, ma l’Onu nella sua gigantesca dimensione di organismo inutile non ha saputo o voluto far nulla per contrastare il terrorismo di marca islamista. Peggio, lo ha coccolato e nutrito con lauti finanziamenti, camuffati da aiuti umanitari.

L’Onu non ha provveduto a che l’osannata Risoluzione 1701 del 2006, adottata dal Consiglio di sicurezza, trovasse piena applicazione. L’inazione sospetta delle Nazioni Unite ha di fatto legato le mani al nostro contingente dispiegato lungo la “Blue line” condannandolo a una sostanziale impotenza. A dirlo sono i più accreditati operatori sul campo. Nel 2017, per spiegare il ruolo dell’Italia in quell’angolo di mondo, l’allora comandante del settore su base Brigata di cavalleria “Pozzuolo del Friuli” della Joint Task Force in Libano (Jtf-L), generale Ugo Cillo, ebbe a dichiarare: “Siamo come degli arbitri che fischiano i falli alle due squadre, che nel nostro caso sono Libano e Israele. Ci limitiamo a guardarle giocare e segnaliamo, senza giudicare la modalità di gioco, i falli ovvero le loro violazioni alle Nazioni Unite”. Quindi, il problema non è mai stato militare ma politico. È mancata, fin dalla sua approvazione, la volontà di dare seguito alle disposizioni contenute nella Risoluzione. Ma quanti l’hanno letta?

La Risoluzione 1701 dell’11 agosto 2006 del Consiglio di sicurezza dell’Onu è intervenuta, in piena crisi israeliano-libanese, a potenziare il contingente militare della missione Unifil, già operante sul confine tra i due Stati dal 19 marzo 1978 a seguito dell’invasione del Libano da parte di Israele (marzo 1978). La Risoluzione imponeva il pieno rispetto del cessate il fuoco a entrambe le parti in conflitto. Segnatamente, all’esercito di Israele di rientrare nei propri confini e al Governo del Libano di controllare i varchi d’accesso al proprio Paese per impedire che armi e materiali venissero importati in Libano senza il suo consenso. Ma la Risoluzione prevedeva anche che “tutti gli Stati adottino le misure necessarie per impedire, a propri cittadini, sul proprio territorio, o utilizzando navi battenti bandiera del Paese o velivoli, (a) la vendita o la fornitura a nessuna entità o individuo in Libano di armamenti e materiali di alcun tipo, incluse armi e munizioni, veicoli militari e equipaggiamenti, equipaggiamenti paramilitari e parti di ricambio per i suddetti, siano o no prodotti nei loro territori, e (b) la fornitura a nessuna entità o individuo in Libano o di qualsiasi addestramento o qualsiasi tipo di sostegno per la fornitura, la produzione, la manutenzione o l’uso di quanto citato nel comma (a) qui sopra, con l’eccezione che questi divieti non si applicano a armi, materiali, addestramento e assistenza autorizzata dal Governo del Libano o dall’Unifil come previsto nel paragrafo 11”. Chiedeva inoltre “una piena cessazione delle ostilità basata, in particolare, sull’immediata cessazione da parte degli Hezbollah di tutti gli attacchi e l’immediata cessazione di tutte le operazioni militari offensive di Israele”. E ancora “la piena attuazione di tutti i regolamenti previsti dagli Accordi di Taif e dalle risoluzioni 1559 del 2004, 1680 del 2006, che impongono il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano, in maniera tale che non possano esserci armi o autorità in Libano se non quelle dello Stato libanese, come deciso dall’esecutivo libanese il 27 luglio 2006”. Per garantirne il dispositivo, il Consiglio di sicurezza affidava alla missione Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) – rafforzata fino a 15mila unità di personale (di questi attualmente 1068 italiani) – il compito di:

1) sorvegliare la cessazione delle ostilità;

2) affiancare e sostenere le forze libanesi nel loro dispiegamento nel sud, compresa la zona di confine della Linea Blu, mentre Israele ritira le proprie forze armate dal Libano come previsto dal paragrafo 2;

3) coordinare le proprie attività con riferimento al paragrafo 11 (b) con il Governo del Libano e il Governo di Israele;

4) estendere la propria assistenza per contribuire a garantire l’accesso della popolazione civile agli aiuti umanitarie il ritorno degli sfollati;

5) assistere le forze armate libanesi in operazioni mirate alla definizione dell’area prevista nel paragrafo 8;

6) assistere il Governo del Libano, se da questo richiesto, all’implementazione del paragrafo 14.

Se questo era lo scopo della “1701”, allora qualcuno degli onest’uomini che stanno al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite ci spieghi come mai dell’esercito regolare libanese non è stata mai rinvenuta traccia nella zona di confine interessata dalla missione Unifil, mentre il più potente gruppo terrorista al mondo si è insediato stabilmente nell’area proibita concentrando in loco un consistente arsenale bellico. Parliamo di 130mila tra razzi e missili che Hezbollah avrebbe accumulato dal 2006 a oggi per fare guerra a Israele. Non petardi ma i razzi Fadi-1, Fadi-2 a cui di recente si sono aggiunti i Fadi-3; i razzi Khaibar, Fajir, Zilzal, armati con quantità di esplosivo variabile tra i 50 e i 660 chili e in grado di raggiungere i target su una distanza compresa tra i 40 e i 200 chilometri. Ma anche i missili a lunga gittata di fabbricazione iraniana Fateh-110 e Scud, con un raggio d’azione compreso tra i 250 e i 500 chilometri. Per non parlare dei droni e dei carri armati T-55 e T-72, dislocati in Siria ma pronti a intervenire in caso d’attacco.

Un arsenale messo a disposizione di un esercito di 20mila pendagli da forca perfettamente addestrati. Parte di questo arsenale non è rimasto inutilizzato nei depositi ma è stato impiegato negli anni contro il territorio israeliano. È avvenuto sotto il naso delle forze d’interposizione, senza che gli uomini di Unifil potessero evitarlo. Di certo lo hanno segnalato ai piani alti dell’Onu senza ricevere adeguata risposta. E adesso che Israele ha deciso di mettere fine allo stillicidio della guerra continua che le viene portata da anni in casa propria dal confine nord con il Libano, a chi si dà la colpa della violazione della Risoluzione? Al solito ebreo, radice e causa di tutti i mali del mondo. Segno evidente che siamo rimasti fermi al palo della favola del lupo e dell’agnello. Superior stabat lupus, longeque inferior agnus, e per oltre due millenni non ci siamo mossi da lì.

L’Onu non si è mossa da lì, dalla mitologia deviante del capro espiatorio, chiamata a turare le falle della logica e del buonsenso tutte le volte nelle quali l’ipocrisia non trova camuffamenti morali credibili. Bibi Netanyahu ha il diritto di proteggere il popolo israeliano e ha il diritto di chiedere al contingente Unifil di farsi da parte per evitare che faccia da scudo involontario all’aggressione terrorista di Hezbollah, anche se di mezzo ci sono i “fratelli” italiani. L’Onu non ha il diritto di accusare Israele per questo. E, per quanto ci riguarda, le Nazioni Unite farebbero cosa buona e giusta se togliessero il disturbo una volta per sempre, con tutto il caravanserraglio di dipendenti e funzionari finti operatori di pace ma autentici fiancheggiatori di ogni estremismo che minacci la civiltà occidentale messi a libro paga. Parafrasando un celebre aforisma attribuito a Georges Clemenceau, primo ministro di Francia all’epoca della Prima guerra mondiale, la pace è una cosa troppo seria per lasciarla ai finti pacifisti dell’Onu.


di Cristofaro Sola