lunedì 14 ottobre 2024
Il leader ungherese Viktor Orbán ha espresso sulla guerra russo-ucraina valutazioni che fanno riflettere. Prima però di analizzare la sua dichiarazione, una premessa è d’obbligo: il dibattito sull’argomento non deve essere dominio delle opposte tifoserie. Ogni pregiudizio morale e ideologico verso l’uno o l’altro dei protagonisti principali del conflitto – Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky – è del tutto fuori luogo. Il mondo rischia di essere trascinato in un conflitto globale dal quale è improbabile che qualcuno possa uscirne vincente. Ragion per cui esercitare un salutare spirito realistico è auspicabile, indipendentemente dalla circostanza che chi lo eserciti ci stia più o meno simpatico. Orbán ha dichiarato testualmente: “L’Ucraina non può vincere sul campo di battaglia”. Diceva la verità o ha mentito? É ciò che vorremmo sapere. Ma l’oltranzismo anti-russo, assunto dalla maggioranza dei capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, non aiuta a inquadrare correttamente l’effettiva situazione sul campo di battaglia. Certo, l’Ucraina sta vincendo la guerra mediatica. Eppure, non bastano le “narrazioni” confezionate ad arte per rendere credibile uno scenario. É necessario che vi siano dati certi inoppugnabili a sostegno anche delle più rosee asserzioni trionfalistiche. Ora, il presidente ucraino continua le sue comprensibili peregrinazioni tra le cancellerie europee per chiedere maggiori aiuti militari e finanziari.
La richiesta poggia su un ragionamento ipotetico che, se confermato dall’esito dello scontro sul campo di battaglia, porterebbe a uno sbocco positivo per l’Ucraina – e per i suoi sostenitori occidentali – entro un tempo relativamente ravvicinato. Ma se la situazione effettiva dovesse essere diversa da quella rappresentata dal leader ucraino, lo scenario si ribalterebbe drammaticamente a danno dell’Ucraina. Allora, stiamo ai fatti. A due anni e mezzo dall’inizio dell’invasione russa, il conflitto è mutato in guerra di attrito, la cui filosofia si fonda sul principio del logoramento. Nella dottrina strategica, il conflitto viene vinto dalla parte in grado di reggere più a lungo lo sforzo bellico. Se ne deduce che il vincitore sarà chi avrà pagato un maggior costo in termini di risorse umane, economiche e strumentali. Nel caso della guerra russo-ucraina, i numeri sono implacabili. La disparità che corre tra Mosca e Kiev nel buttare nella mischia energie fresche in sostituzione di quelle cadute in battaglia è incolmabile. Non esistono dati certi, da entrambi i fronti, per attestare quante siano state le vittime militari dall’inizio degli scontri. Secondo il Wall Street Journal vi sarebbero stati dal febbraio 2022 allo scorso settembre 80mila morti e 400mila feriti ucraini contro i 200mila morti e 400mila feriti russi. Si tratta di cifre da prendere con le molle, visto che le fonti della notizia tengono a precisare che i numeri, soprattutto quelli ucraini, potrebbero essere più elevati. Comunque, anche prendendo per buoni quelli diffusi dal quotidiano newyorkese, la sproporzione balza agli occhi se si considera il rapporto con la popolazione dei Paesi contendenti: al 2024 la popolazione ucraina è di 37,9 milioni (fonte: sito web Opendatabot, su numeri del ministero della Giustizia di Kiev), nello stesso periodo la popolazione russa censita è di 144.820.422 unità (fonte: Population Pyramids of the World). Mentre la Russia si prepara a richiamare 133mila persone per la coscrizione autunnale, l’Ucraina deve fronteggiare il problema della crescita del fenomeno dei renitenti alla leva che si accompagna a quello delle diserzioni dal teatro bellico.
Secondo le stime fornite al Financial Times da Dmytro Natalukha – presidente della Commissione Affari economici della Verkhovna Rada, il Parlamento ucraino – i coscritti resisi irreperibili sarebbero 800mila. Il dato pesa enormemente sulla condizione di stanchezza dell’esercito ucraino che, con l’allungamento del fronte imposto dall’avanzata russa, necessiterebbe di avvicendamenti per provare a tenere le posizioni sulla linea del fronte in Donbass. La propaganda ucraina, amplificata dai media occidentali, ha battuto su un tasto che oggi si dimostra drammaticamente illusorio: la lentezza della progressione dell’esercito russo per incapacità tattico-strategiche dei suoi comandi militari. La realtà si è manifestata crudelmente essere altra: una fredda e ragionata strategia russa di avanzamento lento ma costante delle fanterie e dell’artiglieria, studiata per ridurre progressivamente gli spazi di manovra del nemico costretto a ripiegare. Riguardo alla disponibilità dei sistemi d’arma, il discorso non cambia.
La Russia, dopo un’iniziale difficoltà causata dalla sottovalutazione del potenziale di reazione dell’esercito ucraino, si è prontamente adeguata al mutato scenario, passando a un’economia di guerra e, soprattutto, ingaggiando nella partita due fornitori d’armi formidabili: l’Iran degli ayatollah e la Corea del Nord di Kim jong-un. Oggi Mosca dispone di un arsenale missilistico e di droni di dimensioni tali da reggere il conflitto per i prossimi anni. Al contrario, Kiev ha ricevuto aiuti militari e finanziari dagli Stati Uniti d’America e dai Paesi europei che le assicurano un’autonomia che non va oltre la fine del 2024. Zelensky insiste per ricevere più armi ma gli arsenali dei Paesi Nato cominciano a svuotarsi e occorrerà tempo prima che le scorte siano ricostituite. Problema non da poco visto che l’Occidente, in un clima geopolitico globale così franoso, non può farsi trovare militarmente sguarnito. L’insistenza di Zelensky a chiedere ai sostenitori l’invio di missili a lunga gittata per colpire le basi di partenza dei velivoli russi – quindi bombardare il suolo della Federazione – fa il gioco di Vladimir Putin il cui interesse non è quello di far terminare rapidamente il conflitto con un compromesso che gli sia sfavorevole. L’obiettivo esistenziale di Mosca dall’inizio dell’invasione è stato di rendere l’Ucraina una zona neutra cuscinetto tra le forze Nato e il proprio confine ovest. Niente altro potrebbe compensare lo zar e convincerlo a cessare la guerra. Ora, se fino a qualche settimana fa, Putin si sarebbe accontentato di tenersi come fascia di sicurezza i territori occupati in cambio di un congelamento della crisi, oggi si prepara a proseguire la penetrazione in territorio ucraino motivandola con la necessità di ampliare la distanza tra il ridelineato confine ucraino e le basi strategiche russe di una misura tale da non consentire ai missili forniti a Kiev dagli occidentali di colpire nel proprio territorio. Il prossimo obiettivo, verosimilmente, sarà attaccare Odessa e precludere all’Ucraina l’accesso alla portualità sul Mar Nero, in vista della messa in sicurezza della flotta di stanza in Crimea e attualmente facile bersaglio dei missili ucraini.
Gli occidentali, con una sorprendente ingenuità che denota la mediocrità della loro classe dirigente, avevano puntato a mettere in ginocchio Mosca attraverso il meccanismo delle sanzioni economiche. Visti i risultati, non sembra che l’economia russa sia defunta, mentre è quella dei Paesi europei a non godere di buona salute. Si chiama “effetto boomerang”. Per non parlare del disastro geopolitico combinato nell’aver letteralmente spinto Mosca tra le braccia dei veri nemici dell’Occidente, Cina in testa. Fuori del perimetro occidentale esiste un mondo popolato di nazioni economicamente emergenti che dialoga e commercia con Mosca, a dispetto dei divieti imposti dall’Occidente e che non fa mistero di gradire la leadership russo-indo-cinese nella prospettiva di aderire a un nuovo ordine mondiale non più fondato sulla centralità del dollaro e sul potenziale offensivo statunitense. Ascoltare Zelensky vagheggiare un “Piano della vittoria” da proporre ai sostenitori occidentali genera una concreta preoccupazione per ciò che avverrà nel prossimo futuro. E che ci riguarderà molto da vicino. In una situazione del genere, degli statisti di spessore dovrebbero trovare il coraggio delle parole e parlar chiaro ai popoli da loro governati. Dovrebbero spiegare che, al momento, l’unica possibilità di vittoria è rappresentata da un intervento diretto della Nato nella guerra. Ciò significherebbe sfidare a viso aperto la prima potenza nucleare al mondo per numero di testate possedute.
Dovrebbero spiegare che si può provare a vincere a condizione però che si abbia piena consapevolezza del fatto che Mosca venderà cara la pelle e non si farà scrupolo di mettere in pratica la minaccia dell’uso delle atomiche. E dovrebbero, invece, ammettere che se non si vuole superare il confine dell’abisso non c’è altra strada che dar luogo a un congelamento delle ostilità accettando una sorta di soluzione “coreana”, cioè un cessate il fuoco permanente che non si evolverà né nel breve né nel medio termine in un negoziato di pace. Più verrà ritardata la decisione di fermare la guerra, maggiore sarà la dote territoriale che lo zar Putin avrà messo nel carniere e che non restituirà mai a Kiev a meno che non si profili un accordo di spartizione del territorio ucraino, come avvenne alla fine del Secondo conflitto mondiale con la Germania. Una vasta porzione dell’odierna Ucraina, compresa la capitale Kiev, assegnata al diretto controllo di Mosca e una parte di più ridotte dimensioni – l’Ovest Ucraina, con baricentro la città di Leopoli – da lasciare sotto l’influenza degli occidentali. Ora, mettendo da parte i moralismi stucchevoli e ipocriti, è il momento di un onesto pragmatismo di stampo bismarckiano. Quando è giunto il momento bisogna avere la forza e la lucidità di staccare la spina. D’altro canto, l’accanimento terapeutico non è contemplato neppure dalla pietà cristiana.
di Cristofaro Sola