Putin come Aldo Fabrizi e Zelensky come Totò

venerdì 11 ottobre 2024


Una scena del celebre film “Guardie e ladri”, con Aldo Fabrizi nella parte della guardia e Totò nella parte del ladro, può aiutarci a capire le posizioni di Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky nella fase attuale della guerra d’aggressione scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Precisiamo subito, a scanso di equivoci. Putin non è la guardia, al contrario. Zelensky non è il ladro, al contrario. Tuttavia, come nel film, Putin cerca di agguantare Zelensky, che lo schernisce.

Anna Zafesova, nell’articolo “Lo zar spalle al muro in Ucraina scatena la paura dell’apocalisse” (La Stampa, 26 settembre 2024) ha rilevato che “l’Ucraina sembrava condannata a subire un permanente martirio, per nulla addolcito dalla costante solidarietà internazionale”, precisando tuttavia che “oggi la situazione è diversa: gli ucraini hanno assestato diversi colpi molto dolorosi agli arsenali della Russia profonda”. Inoltre, secondo la stessa Zafesova, le minacce di Putin non sono una prova di forza, ma la manifestazione della sua insicurezza circa le sorti sul campo. Putin ha appena dichiarato, il 25 settembre, che “un attacco contro la Russia, con la partecipazione o l’appoggio di uno stato nucleare, sarà considerato un’aggressione congiunta contro la Federazione russa; così pure se il nemico, utilizzando armi convenzionali, crea una minaccia critica a Russia e Bielorussia”.

Le ultime minacce atomiche di Putin hanno reso definitivamente evidente a tutti, tranne gli stolti, che le restrizioni dei soccorritori all’uso delle armi fornite agli ucraini sono state demenziali. I limiti d’impiego sono stati deleteri per l’Ucraina e masochistici per le Nazioni che l’aiutano. Già all’inizio della guerra avrebbero dovuto fornire agli ucraini tutto l’aiuto disponibile senza condizioni e restrizioni per ingigantirne la resistenza e rimpicciolire la baldanza dei russi, mentre la credibilità e la deterrenza del “fronte occidentale” sarebbero cresciute. Ora che Putin ha sperimentato sulla sua pelle, cioè sul “sacro suolo” della Russia, i duri colpi dell’aggredito, minaccia di lanciare bombe atomiche sugli ucraini e sugli occidentali che li supportano. Che se ne farebbe, poi, il criminale Putin di un’Europa radioattiva fino a Mosca? Crede che i Russi gli perdonerebbero una seconda Chernobyl moltiplicata per mille? Se una potenza nucleare, che aggredisce, devasta, occupa una nazione denuclearizzata, non dovesse essere contrastata per timore dell’arma atomica, la nazione aggredita, benché forte e determinata a difendersi allo stremo, nondimeno sarebbe di fatto già perduta, rinunciando ad opporsi all’aggressore per costringerlo a desistere e ritirarsi. Sempre e dovunque i popoli pacifici o denuclearizzati sarebbero alla mercé delle potenze atomiche violente che, sicure dell’impunità, avrebbero campo libero per asservirli e dominarli.

Qui torniamo a Fabrizi-Putin e Zelensky-Totò. Nel film, dopo un lungo ed estenuante inseguimento, il corpulento Fabrizi crolla stremato a poca distanza da Totò, pure lui fermatosi per la stanchezza, ma dopo aver visto accasciarsi l’ostinato inseguitore. Con voce sforzata dall’affanno, Fabrizi intima a Totò di ristare, avendolo ormai quasi raggiunto e acciuffato. Totò lo irride, protetto dalla distanza di sicurezza. Lo sfida a raggiungerlo per arrestarlo. Al che Fabrizi estrae faticosamente la pistola, gli ordina di rimanere fermo e lasciarsi catturare. Nuovamente Totò, beffardo, lo sfida ad ammanettarlo. Esacerbato, Fabrizi brandisce l’arma e gli grida che farà fuoco a scopo intimidatorio: “Fermo o sparo!” Totò, serafico, lo deride: “Vuoi sparare a scopo intimidatorio? E sia, tanto io non m’intimido!” Non alla minaccia né alla forza cedette Totò, ma all’inganno poi ordito per catturarlo. Zelensky deve stare in guardia.


di Pietro Di Muccio de Quattro