Referendum sulla cittadinanza: ¡No pasarán!

venerdì 27 settembre 2024


Il Comitato promotore del referendum sulla cittadinanza ha raggiunto il quorum delle 500mila firme richieste dalla legge per proporre l’abrogazione di due parole contenute nella lettera b) e del disposto della lettera f) dell’articolo 9 della Legge 5 febbraio 1992, numero 91 che disciplina la concessione della cittadinanza a soggetti stranieri che la richiedano. Lo scopo politico dei promotori si focalizza sulla riduzione a 5 anni del requisito del soggiorno legale propedeutico alla richiesta della cittadinanza italiana, in luogo dei dieci anni previsti dalla normativa in vigore. Con il deposito in Cassazione si mette in moto la macchina amministrativa che porterà i cittadini alle urne la prossima primavera, una volta che il quesito referendario avrà superato l’esame di legittimità da parte dell’Ufficio centrale referendario istituito presso la Corte di Cassazione (articolo 12 della legge del 25 maggio 1970, numero 352). Accogliamo con interessato entusiasmo l’iniziativa perché, finalmente, gli italiani potranno dire la loro su un tema di bandiera della nouvelle vague progressista. E potranno assestare un sonoro ceffone ai radical chic, rosi dal rancore per la perdita dell’egemonia culturale esercitata per anni sulla società italiana con pugno di ferro. Ma c’è di più.

L’iniziativa di modifica della legge sulla cittadinanza s’inquadra nei forsennati tentativi della sinistra di riappropriarsi della casamatta della morale collettiva – fonte di straordinario potere – attraverso le battaglie sull’estremizzazione dei diritti civili. Si tratta, per i “compagni”, dell’unico conflitto sociale praticabile dopo aver perso per strada, con la caduta del comunismo, il leitmotiv della lotta di classe. Nello specifico, sebbene il quesito referendario sia rivolto a modificare solo un aspetto, per quanto non secondario, della normativa sulla cittadinanza, ciò che viene messo in gioco reca in contropartita un cospicuo plusvalore. Il non detto della proposta di modifica della legge sta nell’obiettivo prioritario che la sinistra vuole raggiungere: la restaurazione del paradigma valoriale progressista nelle sue declinazioni estreme. Dimezzare i tempi di residenza legale in Italia dello straniero ai fini della concessione della cittadinanza mira a rovesciare un principio giuridico consolidato: l’obbligatorietà per lo Stato di trasformare in cittadini italiani tutti gli stranieri che vi risiedano legalmente per un tempo relativamente breve.

Quindi, cittadinanza soggetta a un sostanziale automatismo nella concessione e non più cittadinanza quale massimo esito premiale, conseguibile solo al temine di un percorso virtuoso durante il quale lo straniero dimostri inoppugnabilmente l’avvenuta sincera, convinta integrazione alla cultura, agli stili di vita e alle leggi della nazione ospitante. La sinistra avrebbe voluto fare dell’Italia un luogo aperto a chiunque. La difesa dei confini per i progressisti è suonata – e continua a suonare – come una bestemmia. Le frontiere? Un’anticaglia del passato da radere al suolo. Ponti, solo ponti e nessun muro. È giunto il momento che sia la maggioranza del popolo italiano, e non soltanto una destra ideologicamente motivata, a dire basta a una tale aberrazione. La cittadinanza facile non può essere il passepartout dell’immigrazione regolare. A maggior ragione non deve esserlo per quella illegale e clandestina, rendendosi giuridicamente accessibile per il tramite dei salvifici ricorsi allo strumento assolutorio delle sanatorie redentive.

Sono giorni incerti per la Repubblica. Una componente della magistratura legittimamente processa un ex ministro dell’Interno per l’accusa di sequestro di persona, avendo questi ritardato lo sbarco di alcune decine di immigrati irregolari raccolti, nell’agosto del 2019, nel Mediterraneo da una nave di una Ong. Se quel ministro dell’Interno fosse dichiarato colpevole, in Italia si affermerebbe per mano giudiziaria il principio eversivo, tenacemente perseguito dalla sinistra, per il quale costituirebbe reato penale provare a fermare l’arrivo incontrollato di immigrati irregolari nel nostro Paese. Sul piano della tattica politicista, questo referendum replica lo scenario che si determinò nel 2016 con un’altra prova referendaria. In quell’occasione, era messa in gioco una riforma significativa della Carta costituzionale. Ma ciò che mosse la maggioranza degli italiani a dire no fu il giudizio negativo che essi volevano dare a Matteo Renzi e al suo Governo. Era stato il “rottamatore” a legare la sua sorte politica all’esito referendario e gli elettori accettarono la sfida.

La prossima primavera accadrà che il quesito sulla riforma parziale della cittadinanza sarà l’occasione propizia perché gli italiani consegnino alle urne il giudizio che hanno maturato sui funambolismi ideologici dei progressisti. La gente non è stupida. Capirà che dietro il buonismo umanitarista si nasconde uno squallido calcolo politico. Accorciare i tempi di concessione della cittadinanza fornirebbe all’attuale minoranza un’infornata di nuovi elettori, tale da ribaltare i tradizionali esiti elettorali. Per anni il cambiamento delle norme sulla cittadinanza in senso aperturista i “compagni” lo hanno farfugliato ma non hanno mai avuto il coraggio di forzare la mano agli elettori. Eppure, nell’ultimo trentennio sono stati al timone del Paese per ben 17 anni. Avrebbero potuto cambiarla a loro piacimento la legge sulla cittadinanza. Ma non l’hanno fatto. Perché? Erano consapevoli della contrarietà della maggioranza degli italiani. Adesso ci provano. In realtà, a compiere la fuga in avanti è stata la pattuglia dei radical chic di +Europa. Il Partito democratico è stato costretto a correrle dietro per non farsi strappare di mano l’iniziativa politica come partito-guida della coalizione progressista, mentre il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte si è ben guardato dal firmare il quesito referendario. L’avvocato di Volturara Appula ha fiutato la trappola e cerca di tenersene lontano.

Già, perché il risvolto della medaglia è pesante da reggere. Una bocciatura nelle urne si tradurrebbe in una totale sconfessione del riposizionamento strategico della sinistra verso obiettivi individuati per intero all’interno della realtà consumistica della società postindustriale. La sinistra, che da marxista e anticapitalista si è ritrovata a rappresentare le istanze liberal e progressiste di una borghesia interessata al consolidamento dello status quo perché appagata dalla propria condizione economica e sociale, vive un dramma senza fine. In assenza di una visione del futuro del mondo, dell’individuo e dei rapporti di produzione che sostituisse il progetto di riorganizzazione radicale della società di cui era portatrice l’obsoleta ideologia comunista, è passata dalla difesa dei diritti sociali dei lavoratori al sostegno incondizionato alla battaglia per l’estremizzazione delle libertà civili iscritte nel Dna della borghesia. Tuttavia, il salto di specie ideologica reca un rischio troppo grande da correre in un Paese che nel suo sentire profondo non ha tagliato i ponti con l’apparato etico-valoriale della tradizione cristiano-conservatrice.

Il centrodestra deve approfittare della mossa avventata dei progressisti e fare muro allo scopo di giungere a una resa dei conti finale su un tema vitale per la salute identitaria della nazione. D’altro canto, è un bene che la sinistra abbia lanciato il guanto di sfida su questo terreno e non su altri che avrebbero potuto scatenare un’inopportuna conflittualità interna al centrodestra. Com’è scritto nella Bibbia, c’è un tempo per la guerra e c’è un tempo per la pace. Adesso è il momento di combattere contro questa sinistra che vuole cancellare ciò che siamo e che siamo stati. Gli italiani non lo permetteranno. Si urli un convinto: ¡No pasarán! Non passeranno! I compagni conoscono bene la potenza evocativa della forza del popolo contenuto nello slogan – coniato per l’occasione da Dolores Ibárruri, la pasionaria combattente della Guerra civile spagnola del 1936 – e che ha segnato la storia delle brigate internazionali antifasciste in lotta contro i gruppi falangisti del caudillo Francisco Franco. Lo si urli dai tetti se necessario, con tutto il fiato che si ha in corpo che l’Italia è degli italiani e che, per diventare nostri concittadini, non sono ammessi sconti né scorciatoie, ma bisogna dimostrare di esserne realmente meritevoli.


di Cristofaro Sola