Europei? Quando fa comodo agli altri

mercoledì 25 settembre 2024


Se volessimo buttarla in barzelletta diremmo: non siamo noi antieuropeisti, ma solo loro che sono sovranisti. Avremmo torto? Probabilmente, no. A proposito di sovranismo e sovranisti, occorre mettere in chiaro un dato incontrovertibile che la manipolazione propagandistica degli “europeisti a oltranza” di casa nostra nasconde: esistono movimenti sovranisti e Paesi sovranisti. Fare la differenza tra ciò che afferisce all’ideologia e l’insieme delle scelte politiche ed economiche fattualmente realizzate da un’organizzazione statuale è dirimente per valutare realisticamente le prospettive di sopravvivenza della stessa Unione europea. Già, perché un conto è proclamare il sovranismo a parole, un altro è realizzarlo nei fatti. Diciamo questo perché, nella qualità dei rapporti statuali intracomunitari, avvertiamo con crescente disagio l’amplificarsi della divaricazione delle forme rispetto alla sostanza. Per un verso, veniamo sommersi fino allo sfinimento da vacue enunciazioni di buona volontà sul processo d’integrazione dell’Unione europea in uno spirito di perfetta reciprocità; sull’ineluttabilità della costruzione del mercato unico, come sollecitato da Mario Draghi nel suo recente rapporto sulla competitività dell’economia europea; sulla necessità di unirsi per fare massa critica nel confronto con i grandi player geopolitici globali; sul presentarsi al mondo con una sola voce potente; sul partecipare a un’Unione di Stati con pari dignità e pari diritti; in una parola, sul sogno della cittadinanza comune europea.

Poi, però, nella prassi quotidiana registriamo vicende discutibili come quella che sta interessando l’italiana Unicredit. Di cosa si tratta? L’azienda di credito di Piazza Gae Aulenti (Milano), all’inizio del mese scorso, ha acquisito il 9 per cento della Commerzbank, quarto istituto di credito tedesco per ordine di grandezza. Di questo 9 per cento, una metà è stata acquistata sul mercato e l’altra metà a un’asta indetta dal Governo tedesco. Ieri l’altro, Unicredit ha annunciato di aver innalzato la propria partecipazione in Commerzbank al 21 per cento e di puntare al 29,9 per cento del capitale azionario, previa autorizzazione della Banca centrale europea a raggiungere il limite delle quote azionarie consentite senza incorrere nell’obbligo di dover effettuare un’offerta pubblica d’acquisto (Opa). Ciò pone la banca italiana nelle condizioni di guidare la fusione con un colosso europeo del credito. Siamo in presenza di un’operazione di integrazione tra due grandi realtà del settore creditizio, che va nella direzione indicata dalle istituzioni finanziarie europee quale migliore rimedio alla concorrenza delle potenze extracomunitarie. Tutto bene, dunque? Tutto bene un corno! Dopo l’annuncio dato dal capo di Unicredit, Andrea Orcel, si è scatenato l’inferno. Ai piani alti della politica tedesca si è detto a chiare lettere che non sarebbe stato ammissibile spostare a Milano, fuori dai confini della Germania, il cervello operativo e strategico di una delle principali banche del Paese, espressamente vocata a sostenere finanziariamente il rilancio della produzione industriale tedesca, al momento in grave crisi.

Come se non bastasse, si è scomodato il cancelliere Olaf Scholz in persona a commentare l’accaduto con parole durissime. Scholz, che è a New York per la 78ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato: “Attacchi ostili e acquisizioni ostili non sono positivi per le banche” e, sempre commentando l’iniziativa di Unicredit, “il Governo federale ha preso una posizione chiara in questa direzione e ha chiarito esplicitamente che non riteniamo che questo sia un approccio appropriato in Europa e in Germania, che viene tentato senza alcuna cooperazione, senza alcuna consultazione, senza alcun feedback, con l’obiettivo di investire in modo aggressivo nelle aziende utilizzando metodi ostili”. Ma come? È una vita che i capitali tedeschi fanno shopping in Italia rastrellando a buon mercato il fior fiore delle produzioni nostrane e adesso che un’impresa di dimensioni internazionali nata come banca italiana “osa” mettere le mani su un gioiello tedesco, ancorché malconcio, si grida all’assalto ostile dello straniero? L’Italia, lo straniero? Ma se nel 2023 l’interscambio italo-tedesco ha registrato un ammontare di 164,3 miliardi di euro, spalmati in tutti i settori chiave della produzione, sebbene a dinamiche diversificate rispetto ai volumi (fonte: Istat).

C’è stato un calo del 2,5 per cento sul 2022, ma la Germania resta pur sempre il nostro principale partner economico, sia in termini di export (74,6 miliardi) sia di import (89,7 miliardi). E poi, gli amici tedeschi Unicredit la conoscono bene, visto che da oltre un ventennio è presente sul mercato finanziario interno attraverso la HypoVereinsbank, terza realtà bancaria nel Paese. Siamo profani della materia, ma non abbiamo l’anello al naso. Perciò, spigateci come funziona questo anelito unitario europeista: va bene quando si va in Italia a prendere, ma non altrettanto quando è un operatore economico italiano ad accomodarsi in casa altrui? Nelle parole del cancelliere c’è un retrogusto razzista nei confronti degli italiani che disturba ancor più del suo smaccato intento sovranista.

Del tipo: gli italiani? Eccellenti gregari e buoni amici purché funzionali agli interessi economici tedeschi ma estranei da tenere a distanza se provano a entrare nella cabina di comando dell’economia germanica. A leggerne le memorie, non è che il fuhrer la pensasse tanto diversamente sul rapporto Italia-Germania. Tuttavia, per correttezza d’informazione bisogna ricordare che non è la prima volta che un’impresa italiana si vede sbattere la porta in faccia da un Governo dell’Unione europea. Non abbiamo dimenticato l’impegno con il quale il Governo francese si è speso per impedire che l’italiana Fincantieri acquisisse la Chantiers de l’Atlantique di Saint-Nazaire in vista della realizzazione del più grande polo cantieristico continentale. L’azienda non costruiva solo navi per la croceristica ma anche unità da guerra per la Marina militare francese. Ragione sufficiente per non volere gli italiani tra le scatole nelle faccende di casa, anche se per qualche bizzarra ragione erano andati benissimo i sudcoreani, i quali nel 2007 avevano rilevato la proprietà dei cantieri navali tramite la Stx Offshore & Shipbuilding.

E pazienza che quest’ultima avesse portato, nel 2014, l’azienda cantieristica transalpina sull’orlo del fallimento. Se non vogliamo metterla sul piano della lotta senza quartiere alla capacità produttiva italiana, come possiamo classificare il comportamento di questi leader europei da operetta che sono campioni di europeismo altrui? Saremmo curiosi di chiedere ai filoeuropeisti nostrani che descrivono il povero Matteo Salvini come una sorta di Belzebù: cari, poveri ingenui, europeisti immaginari, cosa deve preoccuparci maggiormente, la fumosa retorica sovranista di un Salvini o l’opera per facta concludentia di quei capi di Stato e di Governo, unionisti sulla carta ma ottusi nazionalisti nei fatti? Non esiste in natura alcuna possibilità di far progredire il processo di unificazione europea su base paritaria tra gli Stati membri dell’Ue. A oggi, l’unico piano realistico per poter federare l’Europa passa per il conferimento di un potere baricentrico a una nazione egemone, che faccia da forza aggregante nella costruzione comunitaria. Per quanto sia sgradevole sentirlo, l’unico progetto (fallito) in tal senso è stato quello della Weltanschauung di Adolf Hitler. Poi c’è stata la signora Angela Merkel e, con lei, il ritorno della volontà di potenza (disarmata) germanica.

Oggi, la curva dell’aspirazione egemonica tedesca, che segue un andamento ondivago, segna il punto più basso. Ciononostante, il cancelliere Scholz – che Francesco Capozza nell’editoriale di ieri l’altro su L’Opinione ha definito con colorita espressione: un morto che cammina – trova il fiato per concedersi una sniffata di nazionalismo, che si trasforma in fallo di frustrazione contro un’azienda riconducibile al sistema-Italia. E con questi personaggi cosa dovremmo mettere in comune? La politica estera, la difesa, il mercato, la fiscalità, la giustizia? Nella storia dell’umanità vi sono state utopie che in qualche misura erano, nella scala dell’irrealizzabilità, più utopiche delle altre. Ma quella degli Stati Uniti d’Europa le batte tutte.


di Cristofaro Sola