venerdì 20 settembre 2024
Sassolini di Lehner
Un giovane lettore de L’Opinione delle libertà mi chiede conto della mia ironica citazione del “Britannia”, da cui sbarcò Mario Draghi. Lo accontento. Il 2 giugno 1992, al largo di Santa Severa, sul panfilo “Britannia”, di proprietà di Sua Altezza Reale Elisabetta II, si incontrano un centinaio di veri potenti della Terra, economisti, banchieri, finanzieri, personaggi che condizionano la vita di nazioni e popoli. Tra gli italiani, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Monti, Emma Bonino, Beniamino Andreatta, uomo di Romano Prodi, Mario Draghi, allora direttore generale del Ministero del Tesoro e, subito dopo, presidente del Comitato per le privatizzazioni (1993-2001).
Draghi fu, infatti, regista delle svendite di Telecom, Enel, Eni, Imi, Comit, Bnl. Terminato il lavoro a favore degli acquirenti a prezzi stracciati, fu promosso vicedirettore della Goldman Sachs, la banca sorella... di Giano, che svolse nelle svendite il duplice ruolo, ora da acquirente, ora da consulente dei compratori o dei venditori. Forse, per codeste sue imprese logicamente collegabili alla crociera sul panfilo della regina, Draghi negò a lungo, mentendo per la gola, di aver messo piede sulla barca dei potenti, dove non si ritrovarono soltanto gli esecutori, ma anche i mandanti. C’era, ad esempio, il pescecane della finanza, George Soros, che preparò le migliori condizioni per chi avrebbe comprato e le peggiori per il venditore italiano. Il suo micidiale attacco speculativo ai danni della moneta italiana avviene in parallelo a Moody’s che nel settembre declassava i nostri buoni del Tesoro. Mentre i Bot valevano poco più della carta straccia, Soros si gettava sulla lira, causandone da un giorno all’altro una svalutazione superiore al 30 per cento, nonostante la Banca d’Italia bruciasse parecchi miliardi di dollari per limitare il crollo della nostra valuta.
Moody’s e Soros, uniti nella lotta, hanno fornito il grazioso cadeau agli acquirenti dei gioielli di famiglia italiani, che possono essere acquisiti, già prima delle trattative, con uno sconto superiore al 30 per cento. Non a caso dall’estero si precipitò un’orda di compratori nell’outlet Italia. Una magistratura non politicizzata avrebbe potuto raccogliere prove ed indizi a iosa sulla rovinosa devastazione orchestrata ai danni della nostra economia, cioè a danno di tutti gli italiani. Era, però, troppo intenta a seppellire la Prima repubblica, per accorgersi di coloro che seppellivano la ricchezza nazionale, tanto più che nello scempio del Paese un ruolo determinante poteva essere attribuito proprio a “Mani pulite”.
Giuliano Amato, presidente del Consiglio, di venerdì sera, 10 luglio 1992, a banche chiuse, con decreto d’urgenza, preleva denari dai nostri conti correnti. Un vero scippo che viene fatto passare, però, come evento normale, anzi dovuto. Romano Prodi, da parte sua, diroccando l'Iri, prolungherà negli anni la procedura di svendita a favore di multinazionali anglo-olandesi e statunitensi. Basti rammentare che il governo Prodi (1996-1998) mise la ciliegina sulla torta dei saldi con la Telecom. Fu venduta ad un prezzo che avrebbe attirato anche una Srl di morti di fame.
Le azioni della ex Sip furono a tal punto iper-svendute, che, appena dodici mesi dopo, vennero valutate più del 514 per cento del prezzo pagato nel 1997, come a dire che noi incassammo “uno” per qualcosa che valeva più di “cinque”. Uno al posto di cinque, tale l’onda lunga del cocktail party sul Royal yacht, dei Soros, della Goldman Sachs, dei loro amici: associati, impiegati, esecutori italiani. Altri Paesi, a cominciare dalla Francia – per non citare quelli che sono in attesa di poterlo giustiziare – hanno sanzionato George Soros per insider trading. Noi, gran vigna di prodioni, gli abbiamo, invece, conferito, per mano di Romano Prodi, non il cappio, bensì la laurea honoris causa in quel di Bologna, città che resta rossa e grassa, ma non più dotta, essendo ridotta a figlia di pagnotta. La causale? Aver Soros, con mirabile maestria, derubato gli italiani.
di Giancarlo Lehner