venerdì 13 settembre 2024
Prevedere per prevenire è già provvedere
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è stato definito in molti modi, che ne enfatizzano il ruolo cruciale che dovrebbe (potrebbe?) avere per la rinascita dell’Italia. Esagerazioni a parte, i miliardi di spesa aggiuntiva sono manna piovuta dal cielo di Bruxelles. Ma non tutta gratuita. Nell’Agenda digitale del Ministero della Pubblica amministrazione leggiamo che il Piano “rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme il cui scopo è quello di riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni”. Inoltre, “L’Italia è la prima beneficiaria in Europa dei due strumenti del piano NextGenerationEU: il Dispositivo per la ripresa e resilienza (Rrf) e il Pacchetto di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori di Europa (REACT-EU).
Il solo Rrf garantisce risorse per 191,5 miliardi, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. Il presidente Mario Draghi confermò che l’Italia intendeva utilizzare appieno la disponibilità di finanziamenti tramite i prestiti stimati in 122,6 miliardi. Alle risorse vere e proprie del Pnrr, si assommano quelle del REACT-EU, pari a 13 miliardi e quelle del Fondo complementare pari a 30,62 miliardi. Complessivamente, 235,12 miliardi. La revisione del Pnrr italiano ha ricevuto in seguito l’approvazione finale da parte del Consiglio degli affari economici e finanziari (Ecofin) dell’Unione europea. Questa decisione segue il parere positivo precedentemente espresso dalla Commissione Europea e porta l’aggiunta di 21,4 miliardi.
È difficile mantenere l’equilibrio mentale e politico di fronte a cotale tsunami di miliardi. Infatti, l’Italia ha perso la testa. Accettò tutto e subito, non solo i 68,9 miliardi di sovvenzioni, ma pure i 191,5 miliardi di prestiti, che, sebbene ad un tasso di favore prossimo allo zero, non significano soldi gratuiti o regalati, ma comunque da restituire. Benché non avesse la minima previsione o uno straccio di progetto circa l’impiego delle mastodontiche cifre, l’Italia è stato l’unico Paese, con Grecia e Romania, a richiederle a tamburo battente, mentre Francia e Germania se ne sono ben guardate. Perché? Tito Boeri e Roberto Perotti, in un memorabile articolo pubblicato su La Repubblica il 25 maggio scorso, hanno avanzato quattro ipotesi, l’una meno commendevole dell’altra. La prima: l’Italia ha preso il massimo possibile sulla base della “desolante” ipotesi che fossero soldi senza oneri; la seconda: “Il clima di euforia (o irresponsabilità?) generale di quel periodo, l’idea che tutto è possibile, questa volta è diverso, non faremo gli errori del passato”; la terza: “Le previsioni inverosimili sugli effetti degli investimenti e delle principali riforme legate al Pnrr, cioè centinaia e centinaia di miliardi di reddito addizionale”; la quarta: “L’idea che ogni spesa classificata come investimento pubblico deve essere per forza buona, ai dettagli penseremo dopo.” Qui Boeri e Perotti non lo dicono ma l’aggiungiamo noi (rispettosamente, si capisce) che, nonostante l’autorevolezza di Mario Draghi, la sua affermazione di voler distinguere debito buono da debito cattivo è quanto meno apodittica se non del tutto infondata perché ogni investimento è aleatorio in sé.
Mancano ormai due anni al termine d’impiegabilità dei miliardi a disposizione. Siamo a metà del guado 2022-2026, eppure esigenze all’apparenza imprescindibili, che sarebbero imposte dalla politica europea o dalle necessità nazionali, costringono il Governo a proporre Commissario europeo il ministro finora competente nella gestione del Pnrr. Nel momento del massimo sforzo del cavallo in corsa, il fantino viene fatto smontare e spedito ad altra gara. Roba da acrobati, sempre che il cavallo stesse galoppando e non semplicemente trotterellando. Adesso il Governo, imputet sibi, deve cercare e trovare un altro fantino per lo stesso cavallo, che presumibilmente indugerà a brucare l’erba della pista finché non sentirà il morso e lo sprone del nuovo cavaliere.
Il compito dell’Esecutivo non è facile, anche perché visibilmente combattuto tra un sostituto “domestico”, cioè del partito della presidente del Consiglio, più facilmente indirizzabile, comandabile, controllabile, ed un sostituto “esterno”, per così dire, cioè appartenente ad un altro partito della maggioranza o addirittura estraneo ad essa. Inoltre il Governo, che pure all’apparenza non mostra tutta quanta la soddisfazione che dovrebbe provare per l’imponente disponibilità di miliardi, tuttavia dà più dell’impressione di voler tenere ben ferme le mani sulla cassa. La decisione è fondamentale per la premier Giorgia Meloni: per lei soprattutto, se non soltanto. Il Pnrr è il nostro Everest. O il Governo pianta la bandiera sulla vetta nel tempo stabilito o il percorso fatto, peraltro avvolto nelle nebbie d’altura e di bassura purtroppo, sarà considerato un fallimento. La presidente, che ha la forza politica per imporsi sui ministri e sui loro partiti, è chiamata a compiere un vero atto da vera statista. Sarebbe il primo, a ben vedere, dopo due anni di governo confortato da una maggioranza inattaccabile. Noi siamo convinti che in Italia esista un uomo con uso di ragione, moralmente integerrimo, esperto, imparziale quanto possiamo attenderci da una persona intellettualmente onesta, capace di mandare a buon fine i miliardi del Pnrr e di farli diventare il più possibile debito buono, per dire.
Insediare un uomo del genere sulla tolda del Pnrr attenuerebbe se non allontanerebbe del tutto le aspre critiche di familismo e partitismo che, non solo dagli avversari ma anche dai simpatizzanti, hanno investito la persona della presidente del Consiglio. Le voci registrate dai giornali e le indiscrezioni trapelate dal governo sembrano andare in tutt’altra direzione. Le attribuzioni del ministro uscente verrebbero spacchettate e divise tra la stessa Presidente e i due suoi più fidati sottosegretari, che però rilutterebbero ad accettare. Purtroppo constatiamo che l’argomento non appassiona né l’opposizione né la grande stampa, mentre noi, come già detto, ne intravediamo tutta l’importanza, tanto per qualificare il Governo, quanto per mandare ad effetto il più imponente piano di spesa (speriamo veri investimenti) dopo il postbellico European recovery program di George Marshall.
Ma c’è stata un’eccezione più che apprezzabile, considerata la questione. Il senatore Pier Ferdinando Casini, indipendente eletto nelle liste del Partito democratico, alla domanda “Come può essere sostituito Fitto?” ha risposto toccando il punto focale: “I rischi di bruciarsi per il governo in questa partita ci sono ancora. Ma solo che in quel ruolo servirà una persona intelligente, capace, che sappia parlare con tutti e soprattutto con gli enti locali, Comuni, Regioni. Non deve prevalere la logica dell’autosufficienza, delle quote di partito o il provincialismo delle piccole beghe. Il momento è cruciale. E sarebbe bene che tutti facessero uno sforzo per contribuire al bene comune” (Corriere della Sera, 31 agosto 2024).
Il momento è davvero cruciale, quanto al Pnrr e alla sua attuazione, innanzitutto perché i mirabolanti effetti addizionali, sperati e attesi sul reddito nazionale, non si vedono ancora. Poi, perché i dettagli delle spese effettuate, per quanto reperibili con complicate e defatiganti operazioni nei siti internet alla portata di pochi, lasciano intravedere dispersioni poco classificabili come investimenti produttivi nonché veri e propri sprechi. Inoltre, perché sono già adesso allarmanti i rilievi della Corte dei conti europea sui “ritardi accumulati, ciascuno dei quali ne causa altri”, con effetti cumulativi a cascata e strozzature “a collo di bottiglia”. Infine, perché i miglioramenti in settori vitali (in ogni senso) come la sanità, dalla impalpabile “assistenza sanitaria di prossimità” alle liste d’attesa negli ospedali pubblici, sono ancora tutti di là da venire.
Tutto questo e tutto l’altro, implicato e connesso, intuibile facilmente, ci spinge a suggerire al Governo di compiere, contemporaneamente alla nomina del nuovo timoniere del Pnrr, un’operazione-verità, ormai indispensabile ed indifferibile, cioè una formale comunicazione al Parlamento sullo “stato delle cose” al compimento del 2024. E ci fa pure arrischiare di esortarlo ad applicare nell’esposizione la regola aurea delle “5 W” (iniziali di who, what, when, where, why) dello stile giornalistico anglosassone: chi, cosa, quando, dove, perché. Per una presidente del Consiglio ed un partito che vantano giustamente, sebbene talvolta a sproposito, d’essere stati scelti dal popolo, parrebbe naturale, auspicabile, anzi doveroso presentare ai rappresentanti del popolo il rendiconto esatto e completo dei fondi impiegati, redatto in buona fede nella forma parlamentare solenne e comprensibile.
Prevedere per prevenire è già provvedere. A metà dell’opera, prevedere, prevenire, provvedere sono imperativi categorici per ciascun governo e per il buon governo, soprattutto per un Esecutivo favorito da un’imponente entrata straordinaria e gravato da un ordinario debito stratosferico.
di Pietro Di Muccio de Quattro