venerdì 6 settembre 2024
Nella frenesia voyeuristica che ha contagiato quasi tutti gli organi d’informazione nostrana nelle ultime due settimane, ai più è ovviamente sfuggito un retroscena, pubblicato un paio di giorni fa sul quotidiano tedesco Die Welt, che riguarda la nomina di Raffaele Fitto a commissario europeo. Secondo l’organo d’informazione molto vicino alla Cdu, la presidente Ursula von der Leyen avrebbe deciso di affidare all’attuale ministro del Governo Meloni una delle ambitissime vicepresidenze della Commissione e un portafoglio importante, probabilmente lo stesso – Affari economici e monetari – attualmente in mano all’ex premier italiano Paolo Gentiloni.
Questa notizia sarebbe stata fatta trapelare al Die Welt dalla manina di un dirigente molto vicino sia a Friedrich Merx, presidente della Cdu (e futuro candidato alla Cancelleria per il partito che fu di Angela Merkel) che a Manfred Weber, autorevole membro del medesimo partito nonché presidente del Partito Popolare Europeo. Sulle ragioni di questa “soffiata” al quotidiano tedesco, in ambienti europei girano diverse ipotesi, ma tre sono quelle che più hanno attirato la mia attenzione.
La prima, che è forse quella meno realistica, riguarderebbe un riavvicinamento personale tra Ursula e Giorgia, con la presidente della Commissione che avrebbe definitivamente digerito e dimenticato lo sgarbo fattole dalla premier italiana non votando il suo bis al vertice dell’esecutivo comunitario. Con questa apertura nei confronti del fedelissimo di Meloni designato dal nostro governo per la Commissione, von der Leyen vorrebbe ricomporre i cocci di quel dialogo che per diversi mesi c’è effettivamente stato con la presidente del Consiglio. Una sorta di “scordammoce ‘o passato” in salsa tedesca che, francamente, allo stato attuale risulta poco credibile. Peraltro, la nomina di Fitto – come quella di qualsiasi altro membro designato della futura Commissione – dovrà essere ratificata dal Parlamento Ue dopo svariate e complesse audizioni a cui l’attuale ministro dovrà presto sottoporsi. Il rischio che franchi tiratori organizzati, magari vicini al presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron o al Cancelliere tedesco Olaf Scholz (non esattamente un amico di Ursula) possano impallinare un’eventuale vicepresidenza Fitto è più che concreto. L’Italia rivivrebbe l’incubo del 2004, quando Rocco Buttiglione, allora designato dal Governo Berlusconi come commissario alla Giustizia della Commissione Barroso, fu bocciato dall’emiciclo di Strasburgo per le sue posizioni troppo conservatrici sull’omosessualità.
C’è poi una seconda tesi che sta girando insistentemente tra i corridoi di Avenue du Président Robert Schuman, ed è quella secondo la quale ci sarebbe un mezzo accordo tra Macron e von der Leyen per lasciare all’Italia la patata bollente del portafoglio tra i più prestigiosi (ma anche il più rischioso) e poi usare Fitto come futuro parafulmine. Avendo anche la responsabilità di sovraintendere, come vicepresidente esecutivo, il lavoro di tutti i commissari che si occupano di Economia, a Fitto toccherebbe gestire i malumori e le bordate dei Paesi c.d. “frugali”. Non solo, come dimenticare che anche la Francia, esattamente come l’Italia, è sotto procedura d’infrazione e ha un disperato bisogno di una nuova flessibilità di bilancio? Se questo scenario fosse vero, il disegno di Macron sarebbe quello di tenere costantemente sotto scacco, rinfacciando quotidianamente all’Italia il suo via libera al pesante portafoglio attribuito a Raffaele Fitto, per ottenere qualche concessione rispetto alla linea di austerità che attende tutti i Paesi europei con il nuovo Patto di stabilità.
C’è infine chi, e siamo alla terza ipotesi, ritiene che la notizia spifferata al Die Welt sulla presunta decisione di Ursula von der Leyen sia in realtà una polpetta avvelenata per bruciare il commissario designato italiano. Il pizzino consegnato al quotidiano tedesco non sarebbe altro che un modo per testare le reazioni delle altre Capitali europee, in particolare di quelle i cui leader hanno votato il bis della presidente della Commissione uscente (e rientrante) e che ora pretendono garanzie sulla loro rappresentanza nel nuovo esecutivo a ventisette. Questa ipotesi sembra tra tutte la più plausibile, perché negli ultimi giorni sono tornati a farsi sentire sia il premier greco Kyriakos Mitzotakis sia il suo omologo polacco ed ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che nei mesi scorsi hanno lungamente trattato la riconferma di Ursula per il Ppe. In ambienti parlamentari a Bruxelles si dice che entrambi sarebbero su tutte le furie perché con le ipotesi fino ad ora filtrate sull’assegnazione dei portafogli ai vari Paesi, la presidente della Commissione sembrerebbe voler avvantaggiare solo quelli più grandi, a dispetto di chi l’ha difesa strenuamente e, soprattutto, votata sia in Consiglio europeo che in Parlamento. Cosa che, com’è risaputo, non ha fatto l’Italia nel primo consesso né il partito dei conservatori europei, presieduto dalla nostra premier, nell’emiciclo di Strasburgo.
Tra tutte le preoccupazioni che sta affrontando in questi giorni Giorgia Meloni, non ultima la sconcissima telenovela mediatica contro il ministro Gennaro Sangiuliano, ci permettiamo sommessamente di suggerirle di prestare maggiore attenzione a quanto sta accadendo, alle spalle dell’Italia e di Raffaele Fitto, lassù in quei “luoghi” a lei non troppo amici.
di Francesco Capozza