Due pugili ineguali

mercoledì 7 agosto 2024


L’aspetto più interessante della vicenda relativa alle due pugili che si sono affrontate sul quadrato per 46 secondi nel corso delle Olimpiadi – l’algerina Imane Khelif e l’italiana Angela Carini – non è tanto quello legato al fatto in sé, quanto quello derivante dal comportamento di diversi giornalisti nel commentare l’accaduto. I fatti sono noti e oggettivamente accertati. La pugile algerina non è una transessuale, ma invece di avere due cromosomi uguali – XX, come tutte le donne del mondo – li ha diversi: uno X e uno Y, come li hanno gli uomini. Ciò ha portato biologicamente Khelif ad assumere un portamento maschile e a godere di una biometrica corporea simile a quella degli uomini, dal momento che il testosterone prodotto è di gran lunga maggiore di quello che abitualmente si trova nelle donne: mani e piedi grandi, muscolatura sviluppata. Questi sono i fatti.

Domanda: Khelif può legittimamente competere in un incontro di pugilato con una donna normale, che cioè abbia un normale livello di testosterone? Sono possibili due risposte. La prima: sì, può competere perché in ogni caso rimane biologicamente donna, non essendo transessuale, ma – come oggi si dice – “intersex”. La seconda: no, non può competere perché, anche se biologicamente donna, gode di un apparato muscolare e scheletrico di gran lunga più sviluppato di quello delle altre donne. E perciò il vantaggio di partenza appare incolmabile e fisicamente pericoloso. La prima è una risposta compiutamente ideologica che si basa, appunto, sull’assoluto “dottrinale” della “inclusione” e che, perciò, non si cura dei fatti, giungendo ad affermare che ci sarebbe un vantaggio anche se una delle due pugili fosse di parecchi anni più giovane dell’altra. Vero. Tuttavia, una cosa è una differenza di dati biologici che, comunque, riguardano tutti, dal momento che anche la sfidante ipotetica fu giovane per poi divenire – come tutti – meno giovane; altra cosa, ben diversa, è una differenza dovuta ad una disfunzione biologica capace di danneggiare in modo anche grave l’altra persona. La seconda risposta invece si cura dei fatti. E sa che contro questi assai poco vale ogni argomento: non si fa asservire dall’ideologia.

Come si sono comportati in questa occasione i giornalisti, non tutti ovviamente, ma in buona parte? Purtroppo, in modo spesso partigiano e perfettamente adagiato sul politicamente corretto. In particolare, hanno impressionato i telecronisti della Rai – che si son mostrati increduli e costernati a causa del precoce ritiro della Carini, come se questa avesse il dovere, per rispetto dell’ideologia, di farsi ammazzare a furia di pugni – e quello – sempre della Rai – che l’ha intervistata subito dopo l’incontro. Costui le ha formulato una domanda che conteneva già la risposta. All’incirca: “Vero che non si è ritirata per aver ricevuto pugni troppo violenti?”. Questa domanda attendeva una sola risposta e cioè che Carini dicesse di no, perché invece lei si era ritirata – così si pretendeva dicesse – a causa delle polemiche montate dalle “destre” che l’avevano troppo condizionata... e via di questo passo. Invece, Carini ha risposto che si era ritirata proprio per la violenza di due pugni ricevuti, di cui uno sul naso molto forte e che le aveva causato un dolore insopportabile.

Tragedia in diretta per il giornalista: ma che dice? Ci pensi meglio! Ma è proprio sicura? Insomma, uno spettacolo penoso in diretta televisiva sulla Rai che le “sinistre” chiamano Telemeloni, ma che invece dovrebbe esser appellata più correttamente Teleboldrini, Teleconte, Teleschlein e così via. Insomma, giornalisti che invece di porre domande per conoscere i fatti e le cause, le pongono per ottenere risposte preconfezionate di loro garbo e che, non ottenendole, si disperano, recalcitrano, obiettano. Ecco perché, in Italia, la vera opposizione al Governo – dal momento che quella istituzionale latita – la fanno i giornalisti delle televisioni e della carta stampata. Per questo essi godono di un potere spaventoso, davanti al quale tutti gli altri impallidiscono. Ne dirò – spero – prossimamente.


di Vincenzo Vitale