Erdogan detta la linea a Bergoglio. Se questo è un Papa

lunedì 5 agosto 2024


Che sotto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio la diplomazia della Santa Sede avesse raggiunto i livelli di autorevolezza più bassi della storia recente lo sapevamo, basti pensare al totale svuotamento di poteri di cui è stata oggetto la Segreteria di Stato con la Praedicate Evangelium, la costituzione apostolica del regnante sovrano vaticano emanata il 19 marzo 2022 e che riforma totalmente la curia romana. Bergoglio, con quel documento, ha di fatto avocato a sé i pieni poteri anche in campo diplomatico, rendendo il suo segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, una figura di fatto ininfluente. Non sarà sfuggito a nessuno che negli ultimi due anni le più delicate missioni diplomatiche pontificie (i viaggi in Ucraina, Russia, Cina e Stati Uniti per tentare accordi di Pace tra Zelensky e Putin) sono state affidate ad un legato nominato direttamente da Bergoglio, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, e non a Parolin, che sulla carta è ancora il primo ministro del Papa e capo della diplomazia vaticana.

L’uomo venuto dalle pampas argentine, d’altronde, è fatto così: non si fida più di nessuno e vuole prendere Lui ogni decisione, riservandosi di delegare l’esecuzione dei suoi ordini ad una sempre più ristretta cerchia di fedelissimi. I più autorevoli detrattori di questo pontificato - che sono ogni giorno sempre di più - hanno ormai metabolizzato la distruzione della Liturgia, le varie eresie commesse in questi undici anni da Francesco, il carattere vendicativo e irascibile nei confronti di chiunque osi criticarlo (l’ultima vittima della corposa lista è l’ex nunzio a Washington mons. Carlo Maria Viganò, recentemente scomunicato dal misericordioso gesuita), ma su una cosa, giustamente, non transigono: la difesa della dottrina cattolica e delle persecuzioni di cui ancora oggi sono oggetto tanti fedeli sparsi per il mondo. Eppure, Bergoglio preferisce parlare di Intelligenza Artificiale piuttosto che condannare una strage di fedeli cattolici in Congo, o ritiene sia meglio non dar nessun peso alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi che ha visto celebrare in mondovisione una parodia dell’Ultima Cena interpretata da lesbiche dichiarate e drag queen.

Il papa argentino aveva subito optato per un irrazionale understatement, non c’era indifferenza ma la polemica scoppiata attorno alla messa in scena blasfema sulle rive della Senna è subito sembrata forzata ai suoi occhi. Nei giorni successivi, e siamo alla metà della scorsa settimana, la pressione affinché il Vaticano prendesse una posizione pubblica con parole di condanna sulla vicenda si è andata via via facendo sempre più pensante. La resistenza bergogliana a parlare non era stata scalfita nemmeno dopo che si erano espressi praticamente tutti i patriarchi cristiani mediorientali e neppure quando la Chiesa ortodossa russa, per bocca del patriarca Kirill, ha definito la sceneggiata drag parigina come un “suicidio storico e culturale”. Tutti interlocutori chiave, in particolare in un momento così delicato per il Mondo, con una guerra in Europa che va avanti ormai da due anni e mezzo e con il Medio Oriente vicinissimo ad un conflitto di dimensioni catastrofiche.

Cosa, ma soprattutto chi è riuscito a convincere Bergoglio – dopo più di una settimana dall’accaduto e dopo le autorevoli pressioni rimandate al mittente nei giorni precedenti – ad emanare un comunicato di (leggera) condanna nella serata di sabato? La risposta è di quelle che farebbero raggelare il sangue anche al più convinto ateo: il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, un Capo di Stato, peraltro, mussulmano. Ecco cosa è successo. Nella tarda serata di sabato, la Sala Stampa vaticana ha rilasciato una dichiarazione in francese in cui si affermava che “la Santa Sede è stata rattristata dalla cerimonia di apertura dei giochi olimpici avvenuta il 26 luglio” e indicava di volersi “unire alle voci che si sono levate negli ultimi giorni per deplorare l’offesa arrecata a molti cristiani e credenti di altre religioni”.

Il riferimento, ovviamente, era alla parodia dell’Ultima cena che ha suscitato indignazione a livello planetario. La dichiarazione vaticana ha aggiunto che un evento destinato a promuovere l’unità globale (un altro cavallo di battaglia bergogliano) non “dovrebbe ridicolizzare le credenze religiose” sottolineando che “la libertà di parola non è in discussione, ma deve essere bilanciata dal rispetto per gli altri”. Nelle scuole di giornalismo, agli aspiranti reporter viene insegnato che dei sei elementi classici di una notizia – chi, cosa, dove, perché, come e quando – il “quando” è di solito il meno importante. Siamo di fronte però all’eccezione che conferma la regola, perché in questo caso il “quando” è in realtà il cuore della questione. Il comunicato vaticano è uscito alle 19.47 di sabato sera, un’ora insolita, specialmente nella tradizione d’Oltretevere, per una comunicazione ufficiale che non sia legata ad un’emergenza.

Questa chiaramente non lo era, dato che la cerimonia in questione si è svolta ben otto giorni prima. Il Vaticano ha avuto molte occasioni per commentare in modo più tipico, compreso il discorso all’Angelus domenicale del Papa la settimana precedente. Alla fine, è stato il presidente turco Erdogan a convincere (se non costringere) Bergoglio a rompere l’impasse. Martedì scorso, il leader turco aveva comunicato ai più alti dirigenti del suo partito (Akp) e al governo che avrebbe chiamato Papa Francesco “alla prima occasione” per esortare il pontefice a parlare contro la scena, definita “disgustosa”, avvenuta alle Olimpiadi. Giovedì sera, l’ufficio stampa presidenziale turco ha rilasciato una dichiarazione sui social media in cui annunciava che la chiamata era avvenuta, affermando che Bergoglio aveva ringraziato Erdogan per la sua “sensibilità contro la dissacrazione dei valori religiosi”.

Dopo la telefonata, ormai resa di pubblico dominio, al Vaticano restavano due sole scelte: o non dire nulla, lasciando così il leader turco in sospeso e facendogli fare una figura di tolla internazionale, o dire qualcosa, anche se con riluttanza. Alla fine, pressato anche dai suoi più stretti collaboratori, Bergoglio ha optato per la seconda. Prima di sabato, il silenzio del Papa sulla controversia dell’Ultima Cena in salsa Lgbtq+ faceva quasi pensare che stesse cercando di conquistare una medaglia olimpica nel tenere a freno la lingua, sport in cui non eccelle affatto. La sua reticenza è stata particolarmente sorprendente se si considera che molti vescovi cattolici si sono pronunciati, rendendo il silenzio papale ancora più evidente. Per quanto riguarda i motivi, si possono individuare diversi fattori. In primo luogo, questo non è l’unico caso in cui i critici dell’argentino si sono lamentati del suo silenzio.

Per anni è andato avanti a percussione un tamburo d’insoddisfazione per la mancata volontà del Papa di condannare pubblicamente la situazione in Cina in materia di diritti umani e libertà religiosa. Più di recente, si sono levati mugugni anche per la moderazione (eufemismo) di Bergoglio nel condannare la Russia di Putin per la guerra in Ucraina. I collaboratori del Papa hanno in entrambi i casi fatto scudo al “capo” asserendo che la situazione diplomatica con la Cina è molto delicata e non conviene rompere quei flebili rapporti per una minoranza cattolica nel Paese (lo hanno detto sul serio!), mentre con la Russia si tratta della possibilità di fungere da arbitro neutrale nel tentativo di negoziare la pace. Alcuni osservatori ritengono che il silenzio bergogliano sull’affronto parigino sia un caso analogo. Secondo loro Francesco potrebbe essere poco incline ad affrontare una battaglia diplomatica con la Francia in questo momento, anche a causa della decisione presa da Macron lo scorso marzo d’inserire nella costituzione francese una sorta di diritto universale all’aborto. Più in generale, l’entourage papale ritiene che Bergoglio non volesse rendere la situazione ancora più tesa di quello che è, soprattutto in vista di una possibile ascesa al governo francese di una coalizione di ultrasinistra.

Comunque sia, resta il fatto che per un’intera settimana, cattolici di varia estrazione - tra cui eminenti cardinali e arcivescovi di rilievo che ritenevano che questo silenzio papale stesse sminuendo le loro proteste, manifestando il loro disappunto a Roma – non sono stati in grado di suscitare una risposta vaticana mentre Erdogan ci è riuscito. In Turchia, l’assegnazione di soprannomi ai leader è un’abitudine consolidata. Nel corso degli anni, Erdogan è stato chiamato in vari modi: Reis, che significa “capo”, Beyefendi, che vuol dire “gentiluomo” o “amico”, a seconda che lo si intenda in senso lusinghiero o peggiorativo, e, naturalmente, Califfo. Resta ora da vedere se il prossimo appellativo che potrebbe aggiungersi alla numerosa lista affibbiata ad Erdogan sarà il “sussurratore di Francesco”, nel frattempo però, sono sempre di più i cattolici che si domandano: “Ma questo Bergoglio, è un Papa?”.


di Francesco Capozza