venerdì 19 luglio 2024
Pier Silvio Berlusconi coglie l’occasione della presentazione dei palinsesti Mediaset 2024/2025 per parlare di politica ai giornalisti che lo incontrano. Proprio non ce la fa a trattenersi. A suo dire, la politica è iscritta nel Dna di famiglia e ciò giustificherebbe l’incursione estemporanea in un dominio dal quale la saggezza del defunto padre ha tenuto tutti i suoi figlioli debitamente lontano. Non senza ragione. La politica è un campo minato. Se non si è preparati a dovere il rischio di mettere il piede su una mina è concreto. Non esiste la ricetta giusta per giocare, vincere e uscirne indenni. Comunque vada, ci si fa del male. Berlusconi senior docet. Come nel finale del film cult Wargames, l’unica soluzione vincente a cui giungerebbe qualsiasi algoritmo impostato sui dati di realtà del confronto politico in atto nel Paese è di non giocare. Pier Silvio, dietro lo sguardo da eterno bravo ragazzo, cela una natura di uomo scaltro, non disponibile a mosse azzardate. Ragion per cui c’è da credergli quando afferma che lui di cimentarsi nell’agone politico non ci pensa proprio. Cionondimeno, le cose che dice meritano attenzione, non fosse altro perché potrebbero rivelarsi messaggi in codice inviati dal comando strategico di Mediaset a Forza Italia.
D’altro canto, il partito azzurro nell’immaginario dei nemici di Berlusconi resterà per sempre il braccio secolare dell’azienda di famiglia. Ora, delle molte frecce scoccate da Pier Silvio all’indirizzo di alcuni ben individuati destinatari – Antonio Tajani in primis – quella che ha attirato la nostra attenzione riguarda la prospettiva di rafforzare la missione di Forza Italia come soggetto politico di riferimento dei moderati. Sostiene Berlusconi junior: “Penso che ci potrebbe essere un’opportunità pazzesca di marketing parlando di politica. I moderati in Italia sono la maggioranza, oggi però non hanno qualcuno in cui si riconoscono veramente. Tanto è vero che la stessa Meloni, che io considero bravissima al di là di come la si pensi, sta prendendo voti dei moderati” e aggiunge “un conto è una Forza Italia di resistenza, un conto è una Forza Italia di sfida: io non prevedo nulla ma dico solo che ci può essere una opportunità, abbastanza unica, per qualunque nuova forza di centro moderata”. Il non più giovanissimo Pier Silvio mostra di essere un po’ indietro con l’analisi del quadro politico nazionale.
È fermo all’idea datata, messa in giro non si sa a quale scopo dai vertici della nuova Forza Italia targata Tajani secondo cui, nell’individuazione dei bacini elettorali aggredibili, via sia una prateria fatta di moderati che pascolerebbe allo stato brado tra la fattoria-caserma di Giorgia Meloni e il ranch arcobaleno e incasinato di Elly Schlein. È proprio certo che le cose stiano così? A nostro giudizio, l’inesperto (di cose della politica) Pier Silvio ha preso una cantonata, questa sì, pazzesca. Non vi è dubbio che qualcuno in Italia ancora si definisca moderato, ma trattasi di minoranza che il Wwf non disdegnerebbe di proteggere dall’estinzione, come i panda. La verità è che due decenni di crisi economica e sociale, che non ha conosciuto soluzione di continuità, combinati con il radicamento del bipolarismo, intervenuto a modificare sul piano antropologico le meccaniche della rappresentanza politica, hanno ridotto considerevolmente lo spazio di espansione della cosiddetta area moderata. La moderazione è sempre stata appannaggio di una borghesia il cui tratto distintivo principale era l’agiatezza.
La disgregazione dell’universo borghese, che ha condotto la sua componente più corposa a scivolare verso condizioni di precarietà e di disagio economico, ha innescato un processo di sclerotizzazione della dialettica democratica e di polarizzazione ideologica nella composizione unitaria delle istanze di quell’ampia fascia sociale – il ceto medio – non più disponibile a pagare da sola il prezzo del progresso. Tale radicalizzazione ha avuto inevitabili ricadute anche sulla qualità della domanda di rappresentanza espressa dal corpo elettorale. I moderati, come profilati in una brillante analisi del francese Abel Bonnard risalente al 1936, che “desiderano di riconciliarsi con i propri avversari è certamente perché hanno paura di battersi e perché un’ingenua doppiezza mormora loro che, per disarmare un rivale temuto, il miglior mezzo è di abbracciarlo”, non sono più attuali. Dopo gli anni bui della Seconda Repubblica, funestati dalla tirannide dell’ambiguità moralistica del valore debole della trasparenza, il tempo storico presente è caratterizzato dal bisogno, diffuso presso la pubblica opinione, di chiarezza. Chiarezza nei programmi; chiarezza nelle alleanze e nelle scelte di campo; chiarezza nella difesa dei valori condivisi. Il buonsenso, che si scopre appartenere al popolo più di quanto, in passato, sia appartenuto alle classi dominanti, oggi richiede che il partito o la coalizione di partiti a cui si affida la rappresentanza siano dotati di una Weltanschauung, una visione del mondo e del futuro dell’uomo, sulla quale costruire un’egemonia all’interno della società.
Richiesta incompatibile con la natura della prassi moderata, strutturalmente vocata al compromesso. Se volessimo applicare al dominio della politica la legge economica della domanda e dell’offerta, ne dedurremmo che in un tempo storico nel quale la dominante culturale è l’ideologia progressista ed egualitaria, l’unica risposta che validamente le si può opporre non è la resa moderata al pensiero forte e totalizzante della sinistra ma il rafforzamento del conservatorismo – nato e sviluppatosi a destra – nell’azione politica quotidiana e sistemica. Intendiamoci, però. Conservazione non vuol dire, per usare le parole del Bonnard, “montare ansiosamente la guardia davanti al denaro”. E neppure opposizione pregiudiziale al cambiamento. Essere conservatori significa avere un’anima. Significa credere nei valori perenni che hanno sostenuto l’evoluzione del genere umano, sebbene essa si sia prodotta, nelle civiltà che ne sono state interessate, a diverse gradazioni nel recepimento e in periodi storici differenti e non accomunabili. Essere conservatori significa lotta senza quartiere al relativismo culturale e a tutte le sue ingannevoli proliferazioni. Un’impostazione squisitamente moderata saprebbe essere all’altezza di una tale battaglia?
Se il moderato è colui che pensa che il massimo nella vita politica sia farsi appuntare al petto delle medaglie al merito e che a farlo siano quelli della parte avversa, allora ancora una volta dobbiamo lodare il saggio Bonnard quando, a proposito dei moderati, scrive: “In una società disgregata, dove mancano le qualità dell’uomo mentre vi pullulano i difetti dell’individuo, la reputazione dell’intelligenza è il premio promesso ai disertori”. Pier Silvio Berlusconi è una brava persona e un figlio – e un fratello di Marina – devoto. Di televisione se ne intende e la fa bene. È quindi comprensibile che, nella sua visione imprenditoriale, alberghi l’aspirazione a una società riconciliata che faccia ampio consumo dei prodotti televisivi forniti da Mediaset. Tuttavia, la realtà che tracima dai confini della finzione mediatica è altra cosa. È roba tosta, che va trattata con la ruvidità e con la chiarezza della buona politica. Sembra che Giorgia Meloni lo stia facendo bene. Lasciamola lavorare e non inventiamoci pietre d’inciampo e scenari immaginifici che in questo momento non servono a nessuno. Si cercano i moderati in politica? Qualcosa dalle parti di Carlo Calenda e Matteo Renzi ci sarebbe già. Ma siamo a numeri da prefisso telefonico, un campo da calcetto li conterrebbe tutti. Andare alla scoperta della mitica prateria dove starebbero le masse di moderati? Liberi di farlo. L’unica cosa però che ci sovviene è che tutti coloro che si sono illusi di ritrovare Atlantide negli abissi dell’Oceano hanno fatto ritorno a casa con le pive nel sacco.
di Cristofaro Sola