Trump: metafisica della pallottola

mercoledì 17 luglio 2024


Una pallottola può cambiare la storia. Soprattutto se quella pallottola sia stata destinata a fermare un potente della Terra. È accaduto in passato, accadrà in futuro. Tuttavia, non tutte le pallottole compiono a dovere la missione per le quali sono state esplose. Il bersaglio può essere mancato o soltanto sfiorato; può cadere ferito a morte o può restare inerte al suolo ma vivo; può essere portato via in barella, intubato, con un paramedico accanto che, visibilmente esagitato, maneggia gli elettrodi del defibrillatore come un prete con l’aspersorio. O può invece balzare in piedi emulando l’agilità del grillo per convincere il mondo, che assiste sbigottito e impotente all’inverarsi di una catastrofe, che l’immortalità è data sotto forma di virtù eroica, stigma di una paganità moderna segretamente coltivata dai semidei del potere nel tempo storico corrente. La pallottola che ha colpito Donald Trump di striscio non è che il potente strumento di cui una Divina Provvidenza sui generis, parente alla lontana di quella invocata dai cristiani fin dai lontanissimi nascondimenti catacombali. Ma è anche il veicolo di cui si serve il destino per consentire la transizione palingenetica dell’eroe.

Cade Donald l’iracondo, il bugiardo, il rancoroso, risorge Trump l’invincibile, il combattente, l’indomito capitano della sua anima immortale. Muore sotto il piombo mancato dell’assassino l’uomo di parte, risorge il capo, la guida del suo popolo, l’unto del Signore. Se le immagini dell’attentato al candidato alla Presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump, avessero richiesto una colonna sonora, quella sarebbe stata Fortuna imperatrix mundi nei Carmina Burana di Carl Orff. La pallottola è creatrice di un mito che irrompe sulla scena di un’America demitologizzata, che dalla sincope comunitaria delle Torri gemelle ha smarrito il suo Ethos lasciando che fossero le sole regole a fare da collante a una società divisa nelle profondità delle sue viscere. Trump non è l’araba fenice che risorge dalle sue ceneri ma la salamandra della tradizione alchemica che attraversa illesa le fiamme infernali essendo essa stessa creatura di fuoco.

È l’eroico Svipdagr della mitologia norrena. Il pugno chiuso roteato nell’aria da Donald è grido d’arme per i fedeli, è incitamento alla battaglia per la sua gente; è la spada fiammeggiante, il Fiat lux, che illumina l’attimo “sacro” dell’uomo che rinasce a un diverso e più alto piano esistenziale. C’è un che di esoterico in ciò che è accaduto in quel pomeriggio tra i capannoni fantasma, scarne spoglie di una metallurgia defunta da decenni, della cittadina di Butler in Pennsylvania, segno che ovunque sotto la grande volta celeste possa manifestarsi un’epifania. Trump, che espone il suo corpo vulnerato, è il re Artù del ciclo bretone, che ha scelto il suo Lancillotto da avere al fianco nella cavalcata trionfale verso la Casa Bianca. È James David Vance, 39enne senatore dell’Ohio, moderno paradigma del perfetto utilizzatore dell’ascensore sociale, salito dai quartieri poveri di Middletown fin su, all’iperuranio della politica del Grand Old Party. Uomo d’affari, marine ai tempi della guerra in Iraq, prima severo critico del tycoon oggi suo fedele soldato.

Lo viviamo con gli occhi dell’immaginazione il momento dell’investitura rituale del giovane Vance. Lui, inginocchiato in segno di cavalleresca deferenza davanti al suo King Arthur che, a sua volta, imponendogli la mano sulla spalla pronuncia la formula rituale dell’ordinazione del nuovo cavaliere: “Io, Donald Trump, destinato a stare al vertice del potere planetario per grazia di Dio e volontà della nazione, ti creo, ti costituisco, ti nomino candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti d’America”. C’è magia in tutto questo, che lo si creda o no. Ma se la manifestazione eroica ha inondato di luce la figura di Trump, dove sono finite le tenebre? Evidentemente sul campo dei suoi nemici. L’ombra l’abbiamo vista stampata sul volto di un Joe Biden, incarnazione vivente della caducità della vita, della corruttibilità del corpo e della mente, della debolezza dell’esistenza che si piega alla forza del destino come canna che si flette al vento. Canna esile, grama, che non ha chance al tavolo di poker con gli elementi che la tiranneggiano. Eppure quella canna resta al suo posto in attesa di un accadimento salvifico, che sfugga alla volontà umana. Joe Biden è in fondo l’onesto e devoto kamikaze che attende l’arrivo di un vento prodigioso spinto da una divinità amica che tragga fuori dalle secche nelle quali è arenata la gracile navicella della sua ricandidatura.

Di tutto questo gli americani – quelli di “Noi, popolo degli Stati Uniti” – hanno contezza; il mito ha schiuso loro la dimensione del mistero nella trasfigurazione del leader dall’umano all’eroico. Da oggi l’America sa di essere tornata ad avere un commander-in-chief, un comandante in capo. Che non è poca roba, particolarmente dopo gli anni di declino della forza della più potente nazione del mondo; dopo il tempo dell’onta scandita dal vergognoso ritiro dell’Occidente dall’Afghanistan; dopo l’orgia propagandistica sull’individuazione del nemico ontologico – la Russia di Vladimir Putin – e dopo l’affermarsi su entrambe le sponde dell’Atlantico dell’idea autolesionista di ergersi a difensori del Bene contro il Male assoluto – tale proclamato dall’Occidente democratico inaudita altera parte – per giustificare un’esistenza in vita politica altrimenti non riscontrabile attraverso l’osservazione dei parametri vitali. Tuttavia, mentre la sponda americana comincia a vedere l’alba di un nuovo giorno, quella europea resta avvolta nelle nebbie dove si vive l’atmosfera del tempo sospeso. Nelle stesse ore della palingenesi trumpiana, Bruxelles celebra fuori stagione la notte di Halloween, affollata da capi di Stato e di Governo che sembrano vivi ma che in realtà sono politicamente morti. A dimostrazione che gli zombie non sono solo quelli che si vedono al cinema. Sono giorni frenetici per la signora Ursula von der Leyen, una spaesata regina della notte di mozartiana memoria, che gira come una trottola per assicurarsi i voti di improbabili papageni che la rivogliano regina senza corona a Bruxelles per altri cinque anni.

Per stare alla filmografia da romanzo gotico, c’è un’impressionante somiglianza tra la baronessa Ursula e Nicole Kidman del film The Others. Nel film l’attrice interpreta una donna paranoica, ossessionata dall’idea che la casa in cui abita sia infestata da presenze soprannaturali. Le teme e fa di tutto perché i suoi due figli evitino di entrare in contatto con le entità venute dal mondo dei morti. Il film si chiude con un colpo di scena. I misteriosi domestici finiscono per svelare la verità alla paranoica padrona di casa: i fantasmi che occupano l’abitazione sono loro; lei, la signora, è una suicida che, prima di togliersi la vita, ha ammazzato i suoi bambini e quei strani rumori uditi sono i passi degli umani, vivi, che visitano la casa abbandonata con l’intenzione di acquistarla. Con tutto ciò che sta accadendo nel mondo, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Olaf Scholz sembrano ectoplasmi intenti a danzare sul ponte di una nave fantasma, affondata anni prima dopo una collisione con l’iceberg della globalizzazione. E il Parlamento europeo trasformato in una gigantesca casa degli spiriti dove figure eteree mimano gesti di vita reale ma è solo finzione perché in ciò che dicono e fanno non c’è niente di vivo. Se ne accorto il furetto di Kiev, Volodymyr Zelens’kyj, il quale, dopo aver intonato cori patriottici con gli amici europei appena ieri l’altro, avendo annusato il cambiamento del vento negli Stati Uniti, si è precipitato ad annunciare la decisione di convocare una nuova conferenza di pace per l’autunno, questa volta con la presenza del Governo russo. L’effetto Trump comincia a farsi sentire ben prima che la gente si rechi alle urne per votarlo. Mancano poco più di cento giorni al voto e Donald non deve fare nulla per influenzare gli americani. Ha già provveduto la pallottola a fare ciò che andava fatto per rimettere la nazione sui giusti binari. O, come dicono dalle parti dei bivacchi dei mandriani trumpiani riuniti a festeggiare sotto il cielo stellato di Milwaukee, il ritorno del capo dal mondo dei morti: Make America Great Again.


di Cristofaro Sola