venerdì 12 luglio 2024
L’attesissima conferenza stampa di Joe Biden al termine del vertice della Nato, tenutosi a Washington dal 9 all’11 luglio in occasione del settantacinquesimo anniversario dell’Alleanza Atlantica, doveva essere per il presidente americano l’occasione di rivincita personale per dimostrare al mondo che è ancora perfettamente in grado di guidare gli Stati Uniti. Un momento peraltro assai raro questo, perché il capo della Casa Bianca è decisamente refrattario agli incontri con la stampa e infatti l’ultima occasione prima di quella tenutasi ieri sera (la scorsa notte da noi) era stata ben otto mesi fa, dopo l’incontro con Xi Jinping. Mai un presidente americano, quanto meno da Ronald Reagan in avanti, aveva tenuto così pochi briefing con i media come Biden. In effetti a febbraio ci aveva riprovato, invitando una ristretta cerchia di giornalisti fidati con l’idea di respingere le accuse sulla sua mancanza di memoria contenute nel rapporto del procuratore speciale Hur, ma anche quell’occasione fu un disastro: Biden confuse il presidente messicano con quello egiziano e quando una giornalista gli fece notare che aveva scambiato anche Kamala Harris con Donald Trump, il presidente fece un sorrisetto e lasciò la sala lentamente. Ovvio, quindi, che l’occasione di vedere il presidente dem per la prima volta dopo il devastante confronto con Trump fosse tra le più ghiotte dei tempi recenti per la stampa americana e mondiale. Molti giornalisti sono però rimasti delusi (eufemismo) perché la Casa Bianca ha limitato gli accrediti alla stampa e solo 150 reporter sono stati ammessi. La delusione dei colleghi presenti si è presto trasformata in evidente soddisfazione quando, e non c’erano dubbi, Biden ha inanellato anche qui una serie di gaffe: prima ha chiamato sul podio Volodymyr Zelensky presentandolo come “il presidente Putin” e poi, parlando della sua vicepresidente Kamala Harris, l’ha confusa ancora una volta con Trump. Se non è un’ossessione questa, poco ci manca.
La mia attenzione si è però focalizzata su un altro passaggio dell’intervento di Biden con la stampa e cioè quello in cui il presidente Usa ha affermato che “gli alleati europei mi hanno chiesto di vincere, nessuno mi ha detto che non devo correre per la rielezione”. In questa affermazione si cela un’ovvietà, ci mancherebbe altro che anche solo un leader di un altro Paese andasse da Biden a dirgli di ritirarsi, ma pure una sicumera da parte del presidente degli Stati Uniti che non corrisponde pienamente alla realtà. Voglio qui concentrare la mia analisi su tre paesi della Nato che sono da sempre alleati fedeli degli Usa, oltre ad essere tra i membri fondatori dell’Alleanza: Regno Unito, Francia e ovviamente Italia. Il nuovo premier britannico è stato l’unico leader arrivato a Washington a poter incontrare Biden per un bilaterale, conclusosi con il consueto incontro nello studio ovale a favor di telecamere. La ragione di questo è ovviamente il fatto che Keir Starmer è stato eletto da appena una settimana e questo viaggio negli States per il vertice Nato era la prima occasione in agenda per conoscere personalmente Biden. In un’intervista rilasciata al corrispondente della Bbc in America, Starmer ha affermato di aver trovato il presidente Usa “davvero in ottima forma” e ha respinto le preoccupazioni riguardo il fatto che Biden non fosse più idoneo a guidare il suo Paese, sottolineando che “ieri abbiamo avuto un ottimo bilaterale”. Il nuovo inquilino di Downing Street ha poi proseguito affermando: “Per quasi un’ora il presidente ha analizzato tranquillamente alcune delle questioni più impegnative che stiamo affrontando a livello globale”.
Su questa difesa a testa bassa di Biden da parte del premier inglese chi scrive ha una sua idea tutta personale, in parte incentrata sull’analisi dei pesi e contrappesi tra le potenze proprio all’interno della Nato. È sicuramente fuori discussione che dopo oltre un decennio a guida Tory, un presidente democratico come Biden si trovi certamente più a suo agio con un primo ministro inglese laburista. Se si eccettuano i quattro anni della presidenza Trump, anche Barack Obama si era dovuto interfacciare per quasi tutto il suo secondo mandato con leader conservatori a capo del governo di Sua Maestà. Ora, quindi, la speranza di Biden è che l’asse con la Gran Bretagna, complice un premier affine politicamente, sugelli un rapporto paragonabile a quello che ebbero Bill Clinton e Tony Blair venticinque anni fa. In realtà il disegno di Starmer è ben diverso e per questo auspica che l’attuale inquilino della Casa Bianca resti dov’è per altri quattro anni: con un presidente americano debole, è il ragionamento che anche molti noti osservatori inglesi scrivono apertamente negli ultimi giorni, il ruolo della Gran Bretagna all’interno della Nato può diventare molto più forte. In effetti, qualche segno di questa aspirazione ad essere quanto meno il primus inter pares dell’Alleanza Atlantica da questa parte dell’Oceano lo avevano già dato sia Boris Johnson in occasione dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sia Rishi Sunak quando il 7 ottobre 2023 Hamas sferrò l’attacco ad Israele. In entrambi i casi i due premier conservatori furono ben più reattivi di Biden nel prendere posizione e sollecitare l’intervento degli alleati. Per molti analisti britannici, il disegno di Starmer rispetto al ruolo dell’Uk nella Nato sarebbe più o meno identico a quello dei due predecessori, con buona pace dell’affinità politica con Biden.
Un piano analogo, ma ovviamente non sovrapponibile per i medesimi interessi in gioco, sarebbe quello dell’altro alleato forte europeo: la Francia di Emmanuel Macron. Il capo dell’Eliseo, esasperato da una situazione politica interna al suo Paese che lo ha di fatto costretto in un vicolo cieco, non nasconde le sue ambizioni internazionali e va in giro rammentando a chiunque il peso – economico e militare – che la Francia ha sia nella Nato che nelle attività di difesa internazionale attualmente in essere su più fronti. Non a caso anche Macron ha derubricato le gaffe di Biden ad un semplice lapsus, “può capitare a tutti” ha tagliato corto il presidente francese. E poi ci siamo noi, l’Italia. Anche Giorgia Meloni ha affermato di aver trovato Biden tutto sommato in buona forma: “L’ho visto bene, un vertice ben organizzato e concreto” è stata la risposta della premier a chi gli chiedeva come avesse trovato l’inquilino della Casa Bianca. Nonostante gli ottimi rapporti personali tra Biden e Meloni, non è un segreto di Pulcinella che in passato il nostro Presidente del Consiglio abbia tifato apertamente per Trump, come pure a nessuno è sfuggita la sua irritazione per il balzo in avanti di Matteo Salvini nel fare endorsement per l’ex presidente oggi ricandidato per i Repubblicani.
La strategia di Palazzo Chigi per il momento è non prendere posizione, difendendo l’alleanza strategica tra Italia e Stati Uniti chiunque sia il presidente, ma quanto potrà andare avanti così? Meloni è certamente consapevole che con Trump alla Casa Bianca l’Italia dovrà aprire i cordoni della borsa e contribuire di più all’economia della Nato, ma questo è un problema che semmai verrà affrontato in seguito. A pochi giorni dalla convention repubblicana di Milwaukee che si aprirà lunedì prossimo e che incoronerà Trump come candidato ufficiale alla presidenza degli Stati Uniti, una scelta di campo per Giorgia Meloni comincia ad essere sentita come una necessità non solo dal suo alleato di maggioranza, ma anche da parte dei suoi stessi elettori. Joe Biden, ancora una volta, non ha fatto i conti con la realtà.
di Francesco Capozza