giovedì 4 luglio 2024
Chi si occupa seriamente di analizzare i fatti della politica, non può far finta di non sapere che da tempo, almeno in tutto l’Occidente, le differenze tra le varie forze di Governo sono sempre più sfumate. Ed è proprio sulle sfumature di colore, se così le vogliamo definire, che le stesse forze politiche mettono le proprie bandierine, tanto per dimostrare al proprio elettorato il potenziale di fare cose vagamente in linea con il loro orientamento di base. Ma nella realtà, in un mondo sempre più dominato da una economia globalizzata e vincolato ai limiti imposti da un sistema mondiale complessivamente molto esposto sul piano finanziario, nessuna di tali forze politiche, una volta giunta nella stanza dei bottoni, potrebbe mai permettersi nessuna pericolosa fuga in avanti, almeno rispetto a ciò che essa avrebbe promesso o potuto promettere quando si trovava nella comoda poltrona degli oppositori.
Tanto è vero che la nostra attuale premier, Giorgia Meloni, una volta giunta a Palazzo Chigi, ha correttamente abbandonato gran parte dell’antico armamentario ideologico di nicchia, grazie al quale Fratelli d’Italia era riuscito faticosamente a sopravvivere negli anni della rottamazione renziana e della delirante onestà organizzata da un comico genovese, per approdare con pieno merito nel regno incontrastato della cosiddetta Realpolitik. In tal senso, osservando da lontano la parabola francese della destra lepenista, sempre più proiettata verso la storica conquista dell’Eliseo, sembra che su molte questioni, su tutte la permanenza della Francia nella moneta unica, l’antico radicalismo si stia gradualmente ridimensionando, come è logico che accada a chi pensa di riuscire a ottenere la chance di governare un Paese inserito nel consorzio delle società più avanzate.
Idem con patate per quanto riguarda l’eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Anche in questo caso, ammesso e non concesso che il Tycoon abbia in animo di ribaltare completamente la politica estera della maggiore potenza mondiale, così come paventano i suoi avversari democratici, non credo che il complesso sistema istituzionale degli Stati Uniti starebbe tranquillamente a guardare. In questo caso, proprio perché siamo di fronte a una democrazia compiuta, i vari contrappesi posti per bilanciare il sistema presidenziale eserciterebbero un freno importante all’azione del capo supremo.
Quindi, in particolare, questa idea molto sinistra secondo la quale ogniqualvolta dovesse governare la destra arriverebbero le cavallette, insieme al resto delle proverbiali piaghe d’Egitto, rappresenta un logoro espediente propagandistico, soprattutto quando si è drammaticamente a corto di proposte concrete da presentare al relativo elettorato. Ed è proprio in questo senso che si comprende meglio la strana ossessione, di cui ci siamo più volte occupati su queste pagine, della sinistra radicale italiana – di cui fa parte a pieno titolo il Partito democratico di Elly Schlein – per i fantasmi di un fascismo morto e sepolto. Non potendo, difatti, dimostrare che le medesime cavallette siano alla fine arrivate, visto che Meloni governa da quasi due anni con risultati discreti, alla stessa sinistra radicale non resta che intentare ai danni della destra un surreale processo alle intenzioni, basato su una molto presunta nostalgia per un famoso ventennio finito ufficialmente il 25 luglio del 1943.
E se questo è l’unico argomento per battere i propri avversari al potere, quest’ultimi dovrebbero veramente combinare un disastro per farsi sconfiggere alle prossime elezioni politiche dall’Armata Brancaleone che ha come principale collante il cantare uniti “Bella ciao”.
di Claudio Romiti