La giustizia: da Guicciardini a Hegel, le ragioni di una riforma

venerdì 28 giugno 2024


In un momento storico di grande rilevanza per la vita del nostro Paese, appare necessario approfondire il tema della riforma della giustizia attraverso un’analisi attenta e puntuale. Da vari giorni assistiamo a un confronto serrato e tropo spesso polemico che non aiuta il raggiungimento di una meta condivisa e foriera di esiti positivi per i cittadini. La levata di scudi, rispetto alla separazione delle carriere, nei confronti del ministro Carlo Nordio è ingenerosa e appalesa una chiusura ingiustificabile. Una chiusura che può trovare albergo solo nella logica della fazione e che deve essere abbandonata nella prospettiva di guardare agli interessi della nazione. Per arrivare a questo dovremmo essere disposti a deporre le armi delle ideologie che ci dividono. Dovremmo essere disposti ad abbandonare la logica (di guicciardiniana memoria) dell’interesse particolare al fine di sposare la dialettica (di hegeliana memoria) che, attraverso un confronto sereno, determini il superamento delle singole posizioni e il raggiungimento di condivise soluzioni. Dovremmo, insomma, essere disposti a comprendere che non siamo depositari di verità assolute immodificabili.

Il tema della separazione delle carriere non può e non deve registrare un conflitto tra magistratura, politica e avvocatura. Essa risponde, infatti, alla necessità di creare un equilibrio e un miglioramento della dialettica processuale. Il processo ha un’esigenza estetica: per cui, oltre che essere giusto, deve apparire giusto. Deve, come la moglie di Cesare, essere al di sopra di ogni sospetto. Ed è innegabile quanto alle volte possa essere imbarazzante percepire una sfiducia del cittadino che nell’esprimere un giudizio non positivo (troppo più spesso sussurrato a margine delle udienze) determina una preoccupante delegittimazione di tutti i protagonisti del processo. Per recuperare credibilità e per dare slancio e fiducia un passo significativo va fatto sposando la proposta del ministro Nordio. Solo in tal modo si garantirà una imprescindibile terzietà del giudice e un’auspicabile parità tra accusa e difesa (pubblici ministeri e avvocati).

L’oralità del processo, l’imprescindibile principio secondo cui la prova si forma in dibattimento nella concorrenza tra le parti processuali, può e deve essere garantita solo in un sistema in cui accusa e difesa siano equidistanti rispetto a un giudice. E fino a quando ci sarà una parte (il pubblico ministero) che, in ragione di rapporti di colleganza, si rivolgerà al giudice con confidenzialità, mentre un’altra parte (l’avvocato) si approccerà con deferente distanza, i cittadini coltiveranno un retro pensiero insopportabile di una giustizia in cui la bilancia pende solo da un lato. Allo stesso modo, l’imputato coltiverà l’idea di un sistema squilibrato ogni volta in cui verificherà che un giudice fa convocare in udienza un pubblico ministero dal proprio assistente affinché si presenti, mentre il proprio avvocato era lì dal primo mattino ad attendere di poter celebrare il processo. Per tutto questo bisogna andare nella direzione della riforma. Per evitare che anche solo per un istante un cittadino possa avere il sospetto che la giustizia abbia tradito sé stessa e la sua intima essenza: essere giusta!!!

Se ragionassimo in questi termini, comprenderemmo quanto sia necessario abbandonare inutili e pretestuose prese di posizioni, sulla base di ventilati e inesistenti pericoli quale il tentativo di assoggettare il magistrato del pubblico ministero al potere esecutivo. Nulla di ciò è presente nella riforma. Nessuno desidera sottrarre quote di giurisdizione, ma tutti devono comprendere che non è più possibile rinviare riforma e soluzione. Abbiamo assistito a scandali che hanno attraversato il nostro Paese, abbiamo verificato che, purtroppo, nessuno può sventolare la bandiera di una superiorità etico-morale e, soprattutto, abbiamo compreso che troppo spesso sull’altare degli interessi particolari vengono sacrificati gli interessi della collettività. Alla luce di ciò, consapevoli di essere tutti sulla stessa barca e di dover remare nella stessa direzione, abbandoniamo le paure, smettiamola di bisticciare come ragazzini in un cortile e comprendiamo che la giustizia, come diceva Piero Calamandrei, è una cosa seria!

(*) Avvocato, presidente emerito Camera penale di Salerno


di Michele Sarno (*)