martedì 25 giugno 2024
Il tema dell’evasione fiscale rappresenta da sempre uno dei principali cavalli di battaglia della sinistra politico-sindacale. Nella semplificazione propagandistica con cui viene affrontata la complessa questione, i paladini dello statalismo tassaiolo ci spiegano da decenni che se tutti pagassero tutto non solo la pressione fiscale si alleggerirebbe, ma anche i servizi pubblici migliorerebbero in qualità e in quantità. Ebbene, quest'equazione è stata fortemente messa in discussione per ben 21 anni da Luciano Lattanzi, ricercatore nella prestigiosa Università di Urbino, che si è dato alla macchia per tutto questo tempo, riuscendo lo stesso a percepire un cospicuo stipendio mensile tra i 2.500 e i tremila euro. Come riportato da buona parte della stampa nazionale, questo signore vinse nel 1997 un concorso per entrare nel Dipartimento di Scienze pure e applicate (settore ambientale), e dopo circa 6 anni scomparve dai radar. Nessuno dei suoi colleghi di Università lo ha più visto. Secondo il Resto del Carlino, il giornale che ha sollevato il caso, vi sarebbero decine di altre analoghe situazioni, senza che nessuno abbai mai mosso un dito per eliminare questo ennesimo scempio dei quattrini del contribuente. Secondo quanto riporta in un argomentato articolo Roberto Damiani, l’imbarazzante vicenda avrebbe “fatto fare un salto dalla sedia anche alla procuratrice della Repubblica di Urbino Simonetta Catani, che ha aperto un fascicolo d’indagine per accertare se possano esserci risvolti penali sul caso”.
Sempre a parere di Damiani, è assai probabile “che la magistratura di Urbino invierà una segnalazione alla procura della Corte dei conti delle Marche essendo il ruolo di ricercatore universitario un impiego pubblico. La piega che sta prendendo la storia è semplice: non si può far finta di niente – prosegue il giornalista – su quanto è accaduto dal 2003, ultimo anno di lavoro di ricerca del dottor Lattanzi, ad oggi che è scoppiato il caso di 21 anni di assenza continuata dal luogo di lavoro e senza che nessun direttore del Dipartimento di Scienze pure e applicate (settore ambientale) abbia mai sollevato un problema ai vari rettori che si sono susseguiti nel tempo”. Ed è proprio da qui che viene da porsi la classica domanda delle cento pistole: come è stato possibile che la nostra burocrazia, sempre molto inflessibile con i cittadini comuni anche per la mancanza di una sola virgola, non si sia accorta che un signore stava vivendo di rendita a spese nostre senza alcuna preoccupazione? Tant’è che il nostro “eroe” sembra che abbia ricoperto il ruolo di presidente di seggio, incassando il relativo emolumento, durante le appena passate elezioni europee.
Abbastanza ridicole, ad essere buoni, le spiegazioni di Andrea Viceré, direttore del dipartimento interessato: “L’ho cercato ripetutamente. Non mi ha mai risposto né si è mai presentato. Io ci tengo a dire però che non sono il suo datore di lavoro, questo ruolo ce l’ha il rettore. Io ho il potere di dare parere negativi sulla produttività del ricercatore e mi sono attenuto a questo. Andrebbe inquadrato bene il problema disciplinare di Lattanzi, ma non sarà facile”. Nel frattempo, intervistato dall’antica testata bolognese, il protagonista della surreale vicenda ha cercato di minimizzare con argomenti degni del teatro dell’assurdo: “È vero, non faccio ricerca dal 2003. La mia carriera è andata a rotoli perché ho fatto tanti progetti, ma senza ricevere i fondi. Così sono rimasto a casa, pagato perché sono di ruolo. Non ho nemmeno un computer e non conosco il direttore del dipartimento. Adesso però torno in facoltà a vedere quanto mi manca per la pensione”. A questo punto dobbiamo convenire con quanto sostenuto dal compianto Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia nel secondo Governo Prodi, secondo cui “pagare la tasse è una cosa bellissima”. Soprattutto quando ciò consente a tante persone bisognose di dedicarsi, con onore e disciplina, alla famosissima arte di Michelasso: mangiare, bere e andare a spasso. Viva l’Italia!
di Claudio Romiti