Cum Chico Salis

lunedì 20 maggio 2024


Sassolini di Lehner

La famiglia è la colonna portante della società e merita di essere considerata sacra, intoccabile, necessaria, indispensabile. Perciò, non oso sminuirla, ponendo solo dei distinguo. Del resto, è pure tenacemente incoercibile: i bolscevichi, ad esempio, cercarono invano di sradicarla, perché secondo il demente Lenin, con i neuroni devastati dalla sifilide, “la famiglia è la più grande infamia creata nei Paesi civili”.

Aleksandra Kollontaj cercò di affogare l’infamia dei Paesi civili nei padiglioni del libero amore, dove le donne messe incinta (non si sapeva nemmeno da chi, fra i tanti passanti) si sarebbero così affrancate dalla gabbia familiare e dal patriarcato, affidando i nascituri di padre ignoto allo Stato. Affidare qualcosa allo Stato, come avviene spesso e ovunque, significa abbandonarla o gettarla nel cesso.

La femminista idiota, in realtà, non liberò affatto le donne, rendendole col libero amore e la poliandria bolscevica carne da macello a disposizione dei maschi testosteronici. A colpi di una botta e via, la “liberatrice” Aleksandra finì per riempire le strade di orfanelli, spesso organizzatisi – dovevano pur sopravvivere – in bande criminali. Gli spietati bambini randagi in russo besprizornyj, oltre a rubare, scippare, rapinare, uccidevano. Eppure, neppure i comunisti riuscirono nella distruzione della famiglia-infamia, che rimase colonna portante anche nell’Urss.

Premesso che è naturale e giusto amare la macro-famiglia, chiamata Patria, mi piace mettere alcuni paletti. Così come esiste il familismo più o meno amorale, la stessa discutibile sintomatologia denota, talvolta, il patriottismo. Il familismo fa sì che si difenda a spada tratta un figlio accusato con prove inconfutabili di stupro, mentre genitori seri dovrebbero evitare di divenirne complici. Un padre esemplare, dopo aver assestato uno sganassone allo stupratore, si chiederebbe dove abbia sbagliato nel tirar su un rampollo tanto esecrabile. E, intanto, invece di lamentarsi e straparlare, accetterebbe l’eventuale condanna come accadimento giusto e dovuto, preoccupandosi soltanto di evitare al figliuolo violentatore la dura nemesi carceraria della sodomizzazione.

Il familismo più o meno amorale riduce un padre a schierarsi a spada tratta con una figliuola che parte per Budapest non per visitare il Bastione dei Pescatori e il Castello di Buda, e, magari, assaggiare un vero gulash ungherese, bensì per bastonare i magiari avversari politici. Riguardo al patriottismo più o meno amorale, mi disturba l’impegno nel cercare di riportare in Italia, come se avessimo scarsità di delinquenti, un incallito truffatore nonché presunto mandante di un omicidio. A ruota di Antonio Tajani, ecco Giorgia Meloni che va addirittura ad accogliere Chico Forti a Pratica di Mare. Invero, si tratta di una promessa mantenuta da parte della premier, che fece una testa tanta a Biden per il trasferimento in Italia dell’ergastolano, ma la campagna elettorale per le europee giustifica o no siffatti esagerati e gratuiti onori istituzionali?

In aggiunta, si tenta disperatamente di trasferire da noi la squadrista militante. Falce, martello e manganello non sono meglio di olio di ricino e manganello. Certo, si tratta di italiani, ma l’italianità non è un titolo di merito in sé: anche il partigiano che uccideva i prigionieri, squartandoli a colpi di vanga era piemontese; anche il comunista assassino Francesco Moranino era piemontese; anche Palmiro Togliatti, nonostante avesse preso la cittadinanza sovietica, scatarrando sulla nazionalità dei mandolinisti, era piemontese. Anche la professoressa sodale con la brigatista rossa assassina è romana; anche certi magistrati multiculturalisti che assolvono l’islamico violento con la moglie perché il comportamento è dettato dalla propria cultura, sono italiani. Tuttavia, l’italianità non può giustificarli o indurre al perdono, a meno che non si sia caduti nei bassifondi del patriottismo amorale.

La sinistra fondamentalista candida la Salis alle Europee, come a dire che la violenza, se è rossa, va premiata ed eletta, ma perché mai la Farnesina si è data tanto da fare per una persona intrisa di odio? Tajani, dirà: è italiana. Ed io, nel mio piccolo, gli risponderò: chissenefrega!


di Giancarlo Lehner