giovedì 16 maggio 2024
Ovidio, nelle sue Metamorfosi, racconta il mito del rapimento della giovane fanciulla figlia di Agenore chiamata Europa, mito poi ritratto da Tiziano e da Rembrandt, circuita da Zeus e da quest’ultimo condotta al di là del mare, verso terre ignote, lontano dalla terra natia, verso ovest. Il mito suddetto, come ogni mito, proprio in ragione della sua vocazione fondativa, è sempre bisognoso di essere interpretato, poiché la comprensione della realtà passa attraverso la comprensione del mito in quanto, come insegnato da Mario Untersteiner, il mito è trasformato in un mezzo di argomentazione per le cose della vita.
Il predetto mito di Europa, dunque, può essere inteso almeno in un duplice senso: da un lato come identificazione essenziale tra l’Occidente e l’Europa; dall’altro lato come fondazione spirituale dell’Europa. Alla luce della prima interpretazione, non può darsi Occidente senza l’Europa, e sebbene l’affermazione possa apparire evidente ai più, l’inverno demografico che l’Europa sta attraversando – in misura grandemente maggiore rispetto a ogni altra parte dell’Occidente – dovrebbe indurre a riflettere sulla non auto-evidenza della predetta identificazione.
Se è vero, dunque, che non può darsi Occidente senza Europa, alla luce della seconda interpretazione è altrettanto vero che non può darsi Europa senza che questa comprenda la sua vocazione spirituale, anche se non a tutti è chiaro cosa intendere con una tale locuzione. Nel mito suddetto, la sua vocazione consiste nel seguire Zeus che la conduce verso il tramonto: così, oggi, il suo compito dovrebbe essere quello di seguire il logos che la conduce verso ovest, cioè in una direzione distinta da quella delle teocrazie islamiche del Medio Oriente e del totalitarismo capital-comunista cinese.
L’Europa, dunque, senza dubbio non può rimanere inerte e immobile nel tempo, ma altrettanto senza dubbio non può ogni sua azione essere realmente ritenuta conforme alla sua specifica natura come descritta e fondata dal suo stesso mito. L’Europa, infatti, più volte è venuta meno al suo essere: due conflitti mondiali – nati in Europa – l’avvento dei regimi totalitari – le cui ideologie sono state forgiate in Europa – e altre piccole o grandi nefandezze sono gli esempi più fulgidi delle occasioni in cui l’Europa è entrata in conflitto con se stessa e con l’umanità. La realtà europea, anzi, a ben guardare il sentiero della sua storia, è probabilmente più caratterizzata dal tradimento della sua natura che dal riconoscimento e dalla attuazione di quest’ultima. Non è stata, forse, l’Europa il teatro delle guerre più sanguinose della storia? Non è stata forse l’Europa che ha trasformato la pretesa unificatrice del Cristianesimo in una moltitudine di conflitti religiosi? Non è stata forse l’Europa a creare quelle divisioni sociali e politiche che hanno poi condotto agli esperimenti del socialismo, quello utopistico prima e quello reale poi? E tutto questo, senza considerare il resto, non è forse il tradimento più diretto di quella presunta natura idilliaca e mitologica dell’Europa come luogo di umanità e civilizzazione?
La realtà dell’Europa, insomma, appare ben più miserevole di quanto la sua natura e la sua vocazione possano essere descritte dai suoi stessi miti fondativi. L’Europa storica ha stravolto l’Europa mitologica; l’Europa concreta ha smentito l’Europa ideale; l’Europa moderna ha sfatato l’Europa antica. Secondo questa prospettiva, ampiamente diffusa a quasi ogni livello della cultura europea attuale e di quella dell’ultimo mezzo secolo almeno, la realtà dell’Europa è che in essa si sono avvicendate le più dure e crude forme di anti-umanità che, per esempio, hanno condotto al colonialismo, al nazionalismo, al nazismo. L’Europa del mito e della fondazione originaria di tutte le cose si è sbriciolata, insomma, sotto il peso dell’Europa della realtà, cioè di quell’Europa che pare abbia travolto la possibilità di esprimere una compiuta unitarietà culturale stabile e pacifica dei popoli europei.
In tal senso, alla strutturazione mitologica e fondativa dell’unità europea si sono andate sostituendo sovrastrutturazioni e tentativi molteplici e stratificati posti in essere al fine di unificare ciò che è sempre apparso come irrimediabilmente diviso. Cioè, appunto, l’habitat europeo. Regni, popoli, tradizioni, nazioni e Stati sono divenuti così sempre più marginali non soltanto lungo la linea del tempo e dello spazio, ma anche nell’immaginario politico e culturale del continente europeo che, dopo il Secondo conflitto mondiale, non a caso ha dato vita a quelle forme primordiali di condivisione del commercio (carbone, acciaio, energia atomica) le quali hanno fornito l’illusione non soltanto di un futuro eternamente prospero e diuturnamente pacifico, ma soprattutto di una reale ed effettiva forma di unità europea.
Con la nascita della Ceca, della Cee e dell’Euratom nel 1957, all’Europa fondata sulla forza culturale e razionale del mito subentrava un’Europa siderurgica e atomica fondata sugli interessi di schiere di affaristi, febbrilmente impegnati negli scambi commerciali proprio sotto le mura della Cortina di ferro eretta dal blocco sovietico, che stendeva la sua ombra dalla lontanissima Mosca, fino al cuore dell’Europa, cioè fino alla Germania divisa in due. Il sogno mitico della nascita di una civiltà, dunque, si è ben presto tramutato nella visione metallurgica della sua riunificazione, dimenticando la forza naturale e unitaria del mito e optando per quella riunificatrice, ma sintetica dello scambio delle merci. All’Europa come tradizione è stata preferita l’Europa come mercato, all’Europa come scena dell’essere è stata sostituita l’Europa come piazza dell’avere, all’Europa come civiltà della ragione è subentrata l’Europa come stanza del calcolo.
Alla luce di ciò, sarebbe bene cominciare a chiedersi per un verso quanto l’Europa possa continuare a prolungarsi nel futuro del tutto svincolata dal suo passato, e, per altro verso, quali altezze possa pensare di raggiungere una entità che ha reciso i suoi legami con le proprie stesse fondamenta. Trovare una risposta a questi interrogativi è il compito più arduo e gravoso che attualmente spetta a tutti gli europei, soprattutto a coloro i quali hanno deciso di ignorare l’Europa del mito e della razionalità a essa, prediligendo l’Europa della metallica utilità.
di Aldo Rocco Vitale