mercoledì 15 maggio 2024
Le ipotesi sono ipotesi. Tutte legittime, se argomentate adeguatamente. E ciascuno può farsi l’idea che più gli aggrada degli accadimenti che ne costellano la vita quotidiana. Si chiama libertà di pensiero. Vale anche per l’affaire ligure, che sta assumendo una pessima piega. Dopo il clamore mediatico prodotto dall’arresto ai domiciliari del Governatore Giovanni Toti, qualcuno ha cominciato a porsi l’unica domanda che conta: cui prodest? A chi giova l’improvvisa bufera mediatico-giudiziaria che si è abbattuta sulla terra ligure come libecciata fuori stagione? Non avendo alcuno la verità in tasca non si può fare altro che stare col naso all’insù a rincorrere le ipotesi più disparate, neanche fossero carducciane farfalle sotto l’arco di Tito. Al riguardo, una di esse ci ha particolarmente colpito. Segnatamente quella che mette in connessione l’iniziativa giudiziaria con la decisione (politica) di un potere dello Stato di mandare in crisi l’Esecutivo Meloni sulla realizzazione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), fondamentale banco di prova per verificare l’efficacia dell’azione di Governo. Proviamo a spiegarlo. La condizione imprescindibile in forza della quale l’Europa ha concesso un gigantesco finanziamento all’Italia è data dalla tempestività della realizzazione delle opere progettate e ammesse a finanziamento nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
La deadline è fissata per il 2026. Non sono previste proroghe. Ciò significa che tutto quanto “cantierizzato” dovrà essere portato a compimento entro la scadenza. In caso contrario, l’Italia dovrà restituire i quattrini ricevuti. La realizzazione esecutiva non dipende esclusivamente dall’Amministrazione centrale. Entrano in gioco le competenze territoriali degli Enti locali, a cominciare dalle Regioni. La Regione Liguria, al momento, ha in essere 211 interventi per un ammontare di 561.039.122,28 euro di risorse assegnate, che gestisce da soggetto attuatore. La quota più consistente è allocata sulla Missione 6 (166 progetti) che attiene al comparto della salute. In complessivo, il quadro sugli stati di avanzamento è confortante: 131 in fase di esecuzione, 27 in fase di affidamento, 40 conclusi e solo 13 in fase di progettazione. Ora, l’arresto del Governatore rischia di bloccare la macchina del Pnrr. Si potrebbe pensare a un danno circoscritto al territorio ligure, ma non è così. La preoccupazione che agita il Governo è nell’effetto contaminante dell’inchiesta genovese che, a cascata, potrebbe irrompere in tutte le realtà interessate dagli interventi del Pnrr e coperte dal regime normativo “speciale” e derogatorio, introdotto per consentire un’efficace, tempestiva ed efficiente realizzazione degli interventi a essi riferiti. Se così fosse, l’Italia rischierebbe la deflagrazione nucleare nei conti pubblici oltre a una devastante perdita di credibilità sul piano internazionale. Se così fosse, bisognerebbe ammettere che i magistrati, ben prima degli ayatollah iraniani, si siano dotati dell’arma nucleare a scopo di deterrenza contro quella politica che vorrebbe rimettere i rapporti tra i poteri dello Stato sui giusti binari costituzionali.
Se tale ipotesi divenisse realtà, davanti all’odierna maggioranza si spalancherebbe l’abisso. Eppure, non tutti i mali vengono per nuocere. Costretto dalla necessità storica, il centrodestra sarebbe spinto ad affrontare – non a chiacchiere ma con atti giuridicamente rilevanti – una volta per tutte il braccio di ferro con la magistratura. Alla resa senza condizioni all’avversario, con la rinuncia di fatto a toccare i poteri d’influenza esercitati da una parte ideologicamente orientata della magistratura, è possibile opporre una soluzione alternativa. Il Governo deve disinnescare la minaccia del blocco delle opere pubbliche finanziate ampliando lo spazio d’applicazione del potere sostitutivo di cui dispone alle situazioni nelle quali inchieste giudiziarie possano interferire nella tempistica per il completamento delle opere finanziate. Una mossa del genere darebbe un segnale di forza della politica che i mercati finanziari, gli investitori internazionali e l’opinione pubblica italiana apprezzerebbero. E, soprattutto, neutralizzerebbe l’effetto ricatto – qualora mai vi fosse – che le ipotesi complottistiche più ardite attribuiscono alla congetturata “lobby dei magistrati”, pronta a scendere in guerra contro la “riforma Nordio” di separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente.
D’altro canto, il sospetto che il malcapitato Giovanni Toti da indagato possa trasformarsi in ostaggio di una parte contro l’altra in un’apocalittica – istituzionalmente parlando – sfida all’O.k. Corral, è reale. Non un perdigiorno qualunque ma un esperto di questioni giudiziarie – avendo fatto entrambe le parti in commedia, di accusatore e di accusato – qual è Luca Palamara, ha spiegato con lodevole chiarezza in un articolo pubblicato dal Giornale che l’arresto del Governatore della Liguria si sia fondato sulla contestazione di un reato già prescritto. Giacché non osiamo neppure lontanamente immaginare che il Giudice per le indagini preliminari, che ha mandato Toti ai domiciliari, non conoscesse l’esistenza della norma a cui fa riferimento Palamara nel suo articolo. È di tutta evidenza che il provvedimento cautelare sia da interpretare come un messaggio meta-processuale inviato ai reali destinatari, che stanno a Roma e guidano il Paese.
Un provvedimento di avocazione delle attività operative implementate sul territorio ligure depotenzierebbe l’effetto shock della carcerazione preventiva – anche nella sua forma attenuata di detenzione domiciliare – utilizzato da strumento di pressione per costringere l’indagato a dimettersi dai propri incarichi istituzionali. Lo scopo presumibile è di riportare anticipatamente i cittadini liguri alle urne nell’auspicio di un cambio di maggioranza sollecitato da una reazione emotiva degli elettori, disgustati dalle rivelazioni che stanno affiorando ad arte sui media. Francamente, nessuno aveva previsto che si potesse scatenare un tale conflitto tra poteri in un momento storico tanto delicato per la nazione e per il mondo. Nessuno, tranne Guido Crosetto, che in tempi non sospetti aveva avvertito il centrodestra che “L’unico pericolo per il Governo è l’opposizione giudiziaria”. Che il ministro della Difesa sia un veggente con tanto di sfera di cristallo? Se così fosse, avremmo una richiesta da sottoporgli: sei numeri al Superenalotto.
di Cristofaro Sola