All’armi son fascisti!

lunedì 13 maggio 2024


Sassolini di Lehner

Un affezionato lettore de L’Opinione delle Libertà mi chiede lumi sulle propaggini fasciste penetrate profondamente nell’Italia repubblicana. Volentieri rispondo, proponendo solo alcune diramazioni del Ventennio e di Salò fra le centinaia che potrei elencare. Premetto che non intendo giudicare le persone, né intaccare il loro valore umano, politico, professionale, rilevando esclusivamente le straordinarie capacità camaleontiche degli italiani, specie quelli che contano.

Comincio con l’emerito e preparatissimo giurista Gaetano Azzariti.

Fu a capo dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia come codificatore delle norme fasciste. Non fece mancare la sua autorevole firma sotto il Manifesto della Razza, né ebbe scrupoli nell’accettare la nomina a presidente del Tribunale della Razza. Del resto, nel 1938, fu proprio lui a stendere, emendare, revisionare le asimmetrie giuridiche delle leggi razziali. Diede, altresì, un sostanzioso apporto creativo al nuovo codice civile, arricchendolo col “dovuto” antisemitismo. Insomma, si connotò come il giurista più preparato e convinto in tema di purezza della razza ariana (“… la diversità di razza è ostacolo insuperabile alla costituzione di rapporti personali, dai quali possano derivare alterazioni biologiche o psichiche alla purezza della nostra gente”, tale il suo pensiero).

Da fervente mussoliniano, in un battibaleno si reinventò antifascista, tant’è che divenne ministro di Grazia e Giustizia nel primo Governo Badoglio (pure il maresciallo Pietro firmò). Quando Palmiro Togliatti venne nominato Guardasigilli, lo stalinista Palmiro, pur essendo a conoscenza dei trascorsi nerissimi di Azzariti, lo volle con sé, affidandogli, fra l’altro, la stesura dell’amnistia per i reati fascisti. Pur avendo più volte manifestato il suo odio per la libertà, fonte di tutti i mali dell’umanità, il giurisperito Gaetano, il 27 marzo 1947, non ebbe problemi a giurare fedeltà alla Repubblica. Azzariti fu, infine, nominato giudice costituzionale e, subito dopo, salì alla presidenza della Consulta. Dunque, il supremo controllo sulla legalità repubblicana fu affidato alle cure del già fascista e razzista Azzariti. Il nostro novello Talleyrand, se fosse giunto sino a noi, oggi sarebbe al Quirinale o sul soglio petrino.

Padre Agostino Gemelli dedicò questo dileggio funebre a un valente professore ebreo: “Un ebreo, professore di scuole medie, gran filosofo, grande socialista, Felice Momigliano, è morto suicida. I giornalisti senza spina dorsale hanno scritto necrologi piagnucolosi. Qualcuno ha accennato che era il Rettore dell’Università Mazziniana. Qualche altro ha ricordato che era un positivista in ritardo. Ma se insieme con il Positivismo, il Socialismo, il Libero Pensiero, e con il Momigliano morissero tutti i Giudei che continuano l’opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio? Sarebbe una liberazione, ancora più completa se, prima di morire, pentiti, chiedessero l'acqua del Battesimo”. Il sant’uomo, dunque, auspicava la totale cancellazione degli israeliti, ben oltre la Shoah. Nel 1938, in occasione del suicidio dell’editore ebreo Angelo Fortunato Formiggini, già sostenitore di Benito Mussolini, quindi travolto, stordito e sconvolto dalle leggi razziali, commentò: “È morto proprio come un ebreo: si è gettato da una torre per risparmiare un colpo di pistola”. Franco Cuomo inserì tra i firmatari del Manifesto della Razza anche Agostino Gemelli. Non v’è certezza della firma, ma è sicuro che Gemelli sia stato nemico giurato, anzi odiatore, di quelli che definiva “deicidi”. Il 9 gennaio 1939, in piena campagna antisemita, il razzista spirituale testimoniò così la propria fissazione antigiudaica: “… Tragica senza dubbio, e dolorosa è la situazione di coloro che non possono far parte e per il loro sangue e per la loro religione di questa magnifica Patria; tragica situazione in cui vediamo una volta di più come molte altre nei secoli, attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé e per la quale va ramingo per il mondo, incapace di trovare la pace di una patria, mentre le conseguenze dell'orribile delitto lo perseguitano ovunque e in ogni tempo”. I meriti di Agostino Gemelli sono, tuttavia, indiscutibili: a lui, insieme ad altri, si deve l’Università cattolica del Sacro Cuore, nonché il rinomato e prezioso Policlinico. Avendo tempestivamente annusato il cambiamento in divenire, saltò il fossato mussoliniano, dando un contributo alla Resistenza e alla ricostruzione della cornice liberaldemocratica.

Lino Businco, anatomopatologo alla Sapienza, non ha mai dovuto nemmeno edulcorare i suoi trascorsi nazistoidi. Eppure, fu il primo firmatario del Manifesto della Razza, militando in prima linea nella “difesa della pura razza ariana”. Vicedirettore dell'Ufficio studio e propaganda della razza, fece parte del comitato di redazione della rivista La difesa della razza. Si ritrovò felicemente per siffatti meriti accanto ad Heinrich Himmler e Rudolf Hess nel ruolo di membro del Comitato italo-germanico per le questioni razziali. Essendo cagliaritano, s’inventò l’arianità degli isolani: “… i Sardi vanno considerati come un gruppo purissimo di quegli ariani mediterranei che trovano la migliore espressione entro la razza italiana… tra i protosardi e la popolazione attuale vi è una singolare continuità di caratteri che attesta la mirabile conservazione del sangue attraverso i millenni”. Nel 1962, il dottor Businco, già collega di Himmler, ottenne l’onorificenza di “Commendatore dell’ordine al merito della Repubblica”.

Gabriele De Rosa, altro firmatario del Manifesto della Razza, caduto il fascismo, fondò un movimento cristiano-sociale, presto assorbito dai Cattolici comunisti di Franco Rodano e Adriano Ossicini. Quindi, il già fascista e razzista De Rosa si iscrisse al Partito comunista italiano, andando a lavorare come opinionista nella redazione dell’Unità. Il cattocomunismo, funesta, insensata, sterile ibridazione, gli creò problemi coscienziali, specie dopo la scomunica dei comunisti da parte di Pio XII (1949). Entrò, quindi, nella corrente della sinistra dossettiana della Democrazia cristiana. Anche De Rosa non pagò per i suoi trascorsi fascistissimi e razzisti: anzi, insegnò ai ragazzi Storia contemporanea. La sua fu una luminosa carriera universitaria: docente e addirittura Rettore a Salerno, quindi ordinario a Padova e alla Sapienza.

Enzo Santarelli, fascista, firmatario del Manifesto della Razza, come molte camicie nerissime, pensa che ti ripensa, alla fine si iscrisse al Pci. Nel 1956, divenne segretario della Federazione comunista di Ancona. Nel 1958, fu eletto deputato. L’oblio collettivo fece sì che il camerata Enzo conquistasse un posto d’onore come storico del fascismo, che, in verità, lo aveva conosciuto davvero bene e dall’interno. Anch’egli ascese alla cattedra, Università di Urbino, come docente di Storia contemporanea.   Lo spazio di un quotidiano non consente di narrare i trascorsi fascisti, nazisti, razzisti di Eugenio Scalfari, Dario Fo, Giorgio Bocca, Guido Piovene, Giovanni Spadolini, Enzo Biagi, Amintore Fanfani, Mario Missiroli, Luigi Chiarini. Tantomeno, posso raccontare le prodezze di registi e attori fascistissimi – da Alessandro Blasetti a Roberto Rossellini – della Cinecittà creata ad arte da Mussolini per la gloria del regime. Va rimarcato, peraltro, che dalla Cinecittà fascista, notevole scuola di formazione – si pensi al maestro Vittorio De Sica, allo stesso Blasetti e a Rossellini – partì il formidabile e prestigioso itinerario della cinematografia repubblicana.

C’è, infine, la pletora degli artisti, dei filosofi, degli intellettuali, dei giornalisti, degli scrittori, dei critici letterari, dei romanzieri della covata di Giuseppe Bottai, tutte notevoli personalità, con quelle sopra menzionate, che influenzarono culturalmente e politicamente l’opinione pubblica della Repubblica nata, si usa dire con non poca ipocrisia, dalla Resistenza contro il nazifascismo. Elenco solo coloro che collaborarono alla rivista Primato dell’antisemita Bottai: Nicola Abbagnano, Enzo Paci, Ugo Spirito, Galvano della Volpe, Carlo Muscetta, Mario Alicata, Walter Binni, Gianfranco Contini, Enrico Falqui, Francesco Flora, Mario Praz, Pietro Pancrazi, Giorgio Vigolo, Manlio Lupinacci, Francesco Olgiati, Luigi Salvatorelli, Nino Valeri, Giorgio Spini, Corrado Alvaro, Riccardo Bacchelli, Giovanni Comisso, Romano Bilenchi, Alessandro Bonsanti, Vitaliano Brancati, Dino Buzzati, Vincenzo Cardarelli, Emilio Cecchi, Giuseppe Dessì, Carlo Emilio Gadda, Vasco Pratolini, Cesare Pavese, Alfonso Gatto, Mario Luzi, Sandro Penna, Salvatore Quasimodo,Eugenio Montale, Vittorio Sereni, Giuseppe Ungaretti, Leo Longanesi, Paolo Monelli, Indro Montanelli, Giulio Carlo Argan, Filippo de Pisis, Renato Guttuso, Orfeo Tamburi.

Insomma, a riprova che il fascismo non fu una parentesi patologica tutta da dimenticare e da rifiutare, le sue propaggini furono molte, penetranti e, spesso, autorevoli, condizionanti, di qualità.


di Giancarlo Lehner