Abendland: note sulla civiltà del tramonto

venerdì 10 maggio 2024


“Possiamo già dirci occidentali nel senso rivelato dal nostro passaggio attraverso la notte del mondo?”. Così Martin Heidegger si interrogava sulla natura dell’Abendland, cioè della terra del tramonto, ovvero dell’Occidente. Occidente: un termine tanto usato e abusato quanto vasto e denso nella sua poliedricità semantica, storica e filologica. Ma forse anche qualcosa di più di questo, intendendolo dal singolare punto di vista della prospettiva filosofica, come quella heideggeriana appunto, che a differenza di altre prospettive non ne monodimensionalizza la struttura, anzi la arricchisce, la approfondisce, donandole appunto profondità, cioè quello spessore umano, intellettuale, sostanziale che l’Occidente sembra aver perduto o quanto meno dimenticato. L’Occidente, infatti, sembra aver smarrito la propria strada, la consapevolezza intorno alla propria vocazione, la stessa capacità di pensare alla propria natura, così impegnato a produrre beni di consumo e di lusso, così concentrato a perfezionare i ritrovati della tecnica e della tecnologia, così immerso nel raggiungimento di sempre nuovi traguardi di crescita economica e industriale. L’Occidente ha smesso di pensare, perché ha cessato di essere e ha cessato di essere perché ha smesso di pensare.

L’Occidente, del resto, non può essere pensato finché non si pensa esso stesso per ciò che è, come Abendland, cioè finché non riscopre la propria essenza, il proprio essere terra del tramonto, spazio di passaggio tra la barbarie e la civiltà, momento di raccoglimento tra l’essere e il divenire, pensiero tra il silenzio e la parola, elemento di raccordo tra lo sfacelo nebbioso della storia che si ossida con il tempo e l’eternità della salvezza ultramondana che adamantina e luminosa come un’alba si staglia oltre le finestre del tempo, al di là dei confini della storia. Abendland: questa terra del tramonto che si specchia nella linea dell’orizzonte che cela il sole, che proviene dal fragore del giorno e che attende, come con il fiato sospeso, l’ingiungere della notte. Abendland: quella terra del tramonto in cui la notte trova dimora e si possono compiere tutti i sogni o tutti gli incubi di cui l’animo umano è capace, come il Tempio della concordia di Agrigento o il campo di sterminio di Auschwitz. Abendland: la terra del tramonto che ha visto sorgere l’umanità, l’umanità come consapevolezza cosciente di sé, l’umanità come compito di fuoriuscire dalle tenebre della natura empirica innalzandosi al di sopra dell’animalità, ergendo il busto e sollevando lo sguardo fino alla contemplazione estatica del cosmo.

L’Occidente, dunque, come terra del tramonto, come tempo di attesa tra il giorno e la notte, come terra di mezzo, come campo di coltivazione dell’umano tra l’al di qua e l’al di là, come vocazione dell’umano e all’un tempo come tentazione di una sua possibile negazione. Un Occidente diadico e bicefalo, diviso tra un’Europa che vive della rendita degli antichi fasti delle sue glorie culturali, ma che poi se ne vergogna, e un nuovo mondo privo di pudore e di storia che vive militarmente proiettato verso la conquista del futuro e delle stelle. All’Europa impietrita, immobile sotto il peso dei suoi capitelli dorici, dei suoi contrafforti gotici, dei suoi pilastri ideologici, si contrappone la febbrile e inarrestabile macchina produttiva dell’America, sorda ai principi fondativi dell’umano, cieca dinnanzi a qualunque dimensione ontologica intesa come ostacolo allo sviluppo dell’homo faber che trova Oltreoceano il suo habitat naturale. L’Occidente come terra del tramonto pare al tramonto esso stesso: ma in quale senso? Cosa sta tramontando? Perché sta tramontando? Quali forze lo spingono verso la linea dell’orizzonte della storia?

Destino inesorabile probabilmente, dato che il verbo latino “occido”, da cui proviene il termine Occidente, significa all’un tempo “tramontare”, nella sua forma intransitiva, e “uccidere”, nella sua forma transitiva, per cui l’inevitabile domanda: cosa sta facendo tramontare l’Occidente? Cosa sta uccidendo l’Occidente? Le risposte potrebbero essere storiche, retoriche, ideologiche, geopolitiche, economiche, ma tutte insufficienti a cogliere l’effettiva gravità della realtà se svincolate dal piano fondamentale, cioè da quello ontologico. L’Abendland è oramai la terra del tramonto del senso, la terra del crepuscolo della ragione, la terra della notte dello spirito. L’Occidente non è più in grado di esercitare le forze dello spirito, divenendo destinato a essere cancellato dai cieli della storia, come un giorno nell’ora della sua fine, come una stella non più in grado di emettere la sua energia, come un sole destinato a calare dietro la linea del tempo. In Occidente non si pensa più all’umano, del resto è sopraggiunto il post-umano; non si pensa più all’essere, del resto è l’epoca dell’apparire; non si pensa più, del resto è l’epoca dell’agire.

L’Abendland, allora, è la terra in cui il pensiero trova la sua fine: lo dimostrano, tra i vari esempi possibili, le miserrime condizioni in cui ovunque, al di qua come al di là dell’Atlantico, versano le istituzioni universitarie così ricche di saperi, ma così povere di verità, così piene di mezzi e di tecniche, ma così vuote di scopi e di umanità, così ricolme di concetti, ma così carenti di razionalità. L’Abendland è terra dei ruderi dello spirito, in cui Dio è stato ucciso dai teologi, il diritto è stato assassinato dai giuristi, l’arte è stata annientata dagli artisti, la filosofia è stata annullata dai filosofi, la medicina è stata eutanasizzata dai medici, la scienza è stata distrutta dagli scienziati: ciascuno ignaro del fatto eppure ognuno fiero del proprio misfatto, poiché, in sostanza, è sempre estremamente difficile presiedere il tribunale che giudica se stessi o, più semplicemente, perché non tutti sanno leggere e scrutare nell’abisso oscuro del proprio stesso analfabetismo. L’Abendland, in conclusione, è davvero terra del tramonto e, forse, nessuno dei suoi abitanti potrà impedire l’ineluttabilità di questo tramonto, poiché, sempre con le lucidissime parole di Martin Heidegger, “ormai solo un Dio ci può salvare”.


di Aldo Rocco Vitale