mercoledì 13 marzo 2024
Riguardo al voto in Abruzzo, vi sono due dati acclarati. Uno positivo, l’altro negativo. Quello positivo: il centrodestra ha vinto con largo margine e la sinistra ha perso. Il candidato alla presidenza, Marco Marsilio di Fratelli d’Italia, ha lasciato dietro il rappresentante del “campo largo”, Luciano D’Amico, di 7 punti tondi (53,50 per cento a 46,50 per cento). Tanta roba, che smonta integralmente la narrazione, architettata dalla sinistra, di un testa-a-testa fino all’ultimo voto e di un centrodestra terrorizzato, confuso, in preda al panico per la quasi certa seconda sconfitta consecutiva dopo le Regionali in Sardegna. Invece, a finire contro il muro del consenso è stato il “campo di Agramante” della sinistra, la cui posticcia sintonia programmatica non è stata ritenuta credibile dalla maggioranza dei votanti abruzzesi.
Quello negativo: l’affluenza alle urne è stata deludente. Domenica ha votato il 52,19 per cento degli aventi diritto. Dato in calo dello 0,92 per cento rispetto alle Regionali del 2019. Dov’è finita l’altra metà degli abruzzesi? Perché ha disertato le urne? Sono interrogativi sui quali sarà opportuno interrogarsi. Se in tanti sono mancati all’appello ci sarà stata una ragione e quella ragione va scoperta e indagata. Ma torniamo al responso delle urne. Il centrodestra in Abruzzo avanza complessivamente in numeri assoluti rispetto ai precedenti appuntamenti elettorali. Nel confronto con le Regionali del 2019, +21.637 voti; +18.017 rispetto al risultato dell’uninominale per la Camera dei deputati alle Politiche del 2022. È di tutta evidenza che il combinato disposto della buona amministrazione dell’uscente Marsilio e l’efficace azione del Governo Meloni ha ricevuto l’apprezzamento di un segmento di elettorato che, in passato, non ha votato per il centrodestra.
Nell’ambito della coalizione vi è stato un rovesciamento dei rapporti di forza che potrebbe generare malumore tra alleati. Oggi il primo partito in Abruzzo è Fratelli d’Italia (24,10 per cento); Forza Italia ha conquistato un sorprendente 13,44 per cento; la Lega ha subito un calo netto attestandosi al 7,56 per cento. Ma non è la Caporetto di Matteo Salvini. L’arretramento della Lega, che resta lontanissima dalla performance del 2019 (27,53 per cento), è fisiologico se si tiene conto della perdita di centralità del personaggio Salvini non più alla guida della coalizione. Esiste un effetto “voto utile” anche nei rapporti intra-coalizionali, che funge da pull factor a vantaggio del primo partito in termini di consensi dell’alleanza. Il Salvini leader del centrodestra nell’arco della legislatura 2018-2022 ha reclutato anche in Abruzzo quadri dirigenti periferici provenienti da Forza Italia. Si ricorderà come in quel momento storico il movimento berlusconiano non godesse di buona salute, al punto che la maggioranza dei commentatori politici ne prognosticava prossima la fase terminale della parabola politica. Previsione smentita dopo la morte di Silvio Berlusconi grazie alla scelta di Antonio Tajani di rendere Forza Italia più accogliente per i nostalgici del centrismo democristiano della Prima Repubblica.
Sul fronte leghista, invece, il calo di consenso è andato di pari passo con la perdita di appeal del personaggio mediatico Matteo Salvini. Ulteriore elemento di crisi, che ha accelerato il controesodo dei quadri intermedi di estrazione moderata – e con essi i bacini elettorali di riferimento – inducendoli a fare ritorno alla casa madre forzista, è stato determinato dalla mossa tattica di Salvini, rivelatasi azzardata, di sostituirsi a Fratelli d’Italia nella rappresentanza dello spazio politico tradizionalmente occupato dal nazionalismo intransigente della frazione antisistema della destra radicale. Giacché i rapporti all’interno del centrodestra seguono la logica dei vasi comunicanti, i fenomeni rilevati – voto utile e ritorno alle appartenenze partitiche originarie – nel caso dell’Abruzzo sono resi plasticamente evidenti dai numeri del travaso elettorale tra le tornate regionali del 2019 e del 2024. Va aggiunto un dettaglio non secondario. Salvini, all’acme della sua ascesa nel gradimento degli italiani, aveva puntato su due obiettivi strategici: il contrasto “a valle” dell’immigrazione clandestina, con la chiusura dei porti e con i divieti di sbarco, e la lotta alla mondializzazione dell’economia di mercato interpretata come opposizione frontale al paradigma eurocratico.
Diversamente, Giorgia Meloni ha lavorato da premier a smontare le strategie salviniane innestando le politiche securitarie sulle strategie di contrasto “a monte” dell’immigrazione mediante accordi bilaterali, avallati dalla Commissione europea, con i Paesi di partenza dei clandestini dalle sponde africane del Mediterraneo e riposizionando la sua offerta politica all’interno di un europeismo critico ma partecipato al fianco e non contro quell’establishment continentale del quale la presidente Ursula von der Leyen si è fatta interprete e garante. Rebus sic stantibus, quale soglia di consenso Salvini avrebbe dovuto prevedere per distinguere una perdita contenibile da una disfatta? Il 7,56 per cento ottenuto la scorsa domenica non è distante dal 9,1 per cento conseguito il mese scorso alle Regionali in Sardegna, sebbene sommando i voti di lista della Lega (3,7 per cento) a quelli dell’alleato in loco, il Partito Sardo d’Azione (5,4 per cento); è in linea con l’8,27 per cento conquistato nel 2022 alle Politiche per la Camera dei deputati in Abruzzo e con l’8,79 per cento raggiunto su scala nazionale alle politiche del 2022. Il “Capitano” può tirare un sospiro di sollievo visto l’esito abruzzese perché il dato consolidato intorno all’8 per cento gli consente di mantenere vivo il progetto di ancoraggio della Lega a una dimensione nazionale di partito sottratto al destino asfittico di movimento/sindacato dei territori inclusi nel perimetro padano. D’altro canto, la consistenza demografica delle aree in cui è suddivisa l’Italia indica che il 50 per cento circa dell’universo elettorale si concentra nelle regioni del Nord; l’altro 50 per cento è distribuito nel Centro-Sud.
Adesso il problema di Salvini si focalizza sul Nord al quale ha promesso l’autonomia differenziata. Lì la priorità è riconquistare i consensi perduti a vantaggio di Fratelli d’Italia. L’esito del confronto elettorale alle Europee ci dirà molto sullo stato di avanzamento della rinascita salviniana dopo la débâcle del 2022. La scelta di presidiare la casamatta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti potrebbe restituirgli nel tempo – e di pari passo con l’implementazione del piano di sviluppo infrastrutturale che l’Italia attende da decenni – una porzione di consenso perso negli ultimi anni. La parentesi abruzzese, dunque, si è chiusa bene per il centrodestra. Il rinsavimento immediato dei tre leader dopo la follia tafazziana, esibita in occasione del voto in Sardegna, si è reso palpabile nel leale sostegno alla candidatura Marsilio.
Tra qualche settimana toccherà alla Basilicata. Per il centrodestra confermare l’uscente Vito Bardi alla presidenza della Regione è imperativo categorico, a patto però che Giorgia Meloni & soci non caschino nella trappola della sinistra di trasformare anche quella elezione locale in una sorta di giudizio universale per il Governo. Il voto regionale deve rimanere pur sempre un’espressione di giudizio sull’amministrazione del territorio, scevra da implicazioni politiche di carattere generale. Il voto in Basilicata non dovrà essere l’ennesima linea del Piave segnata in rosso sulla road map del Governo Meloni. Il centrodestra ha bisogno di rimanere concentrato e compatto in vista di un traguardo ancora lontano: la scadenza naturale della legislatura nel 2027. Pensare ora a rese dei conti interne all’alleanza sarebbe atto di puro autolesionismo. Tuttavia, se per mantenersi reattivi un pizzico di agitazione nelle dinamiche interne alla coalizione non guasta, ci raccomandiamo che sia un caos calmo e senza isterismi. La perdita di lucidità fa commettere stupidaggini. E noi di un altro Papeete non vogliamo neppure sentirne parlare. Ci siamo capiti, Matteo?
di Cristofaro Sola