venerdì 23 febbraio 2024
La sinistra ha trovato il suo Babau. È Matteo Salvini. Qualsiasi cosa il leader leghista dica o faccia, per i progressisti è il reprobo che rovina l’immagine dell’Italia, la umilia, le fa perdere la considerazione delle altre nazioni.
L’ultima volta in cui la sinistra ha parlato (male) di lui ha dell’incredibile. L’occasione è stata la morte in circostanze sospette del dissidente russo Alexei Navalny. Nel mentre tutti in coro si sono ritrovati ad attribuire la responsabilità del decesso a Vladimir Putin, Salvini si è mostrato un filo prudente nel saltare subito alle conclusioni. Tanto è bastato perché Il campo largo dei progressisti lo riempisse di insulti. Poco è mancato che il solito Angelo Bonelli presentasse un esposto in Procura contro il leghista per complicità morale nella pianificazione dei crimini di Stato compiuti in Russia. In compenso, uno sfacciato Carlo Calenda si è spinto oltre nella caccia all’untore. Partendo dal presupposto che tra la Lega e il partito di Putin, Russia Unita, in passato sia stato siglato un accordo di partenariato politico-ideologico, il piccolo capo della piccola Azione ha sfidato il “Capitano” a mostrare la disdetta dell’intesa, pena la presentazione in Parlamento di una mozione di sfiducia individuale motivata con queste parole: “Un ministro della Repubblica non può essere partner politico di un dittatore assassino e imperialista che vuole disgregare l’Ue”.
Ma con quale faccia Calenda si erge a vindice della libertà conculcata dalla tirannide? Proprio lui che tra i politici ancora sulla piazza ha maggiormente onorato il rapporto con Mosca firmando accordi commerciali per partnership economiche con profili geostrategici. Era il 3 giugno 2017, in quel di San Pietroburgo al Forum economico internazionale, che Carlo Calenda, nella qualità di ministro dello Sviluppo economico del Governo Gentiloni, dava prova delle sue capacità negoziali con le autorità russe. Era lì in missione per far tornare a crescere la bilancia commerciale tra i due Paesi, nonostante nel mondo non spirasse una bella aria. Eppure, chi fosse Vladimir Putin lo si sapeva già. La Crimea se l’era presa e l’Europa aveva varato il pacchetto di sanzioni contro di lui e i suoi sodali. Nonostante ciò, Calenda era a San Pietroburgo ad amichevolmente interloquire col medesimo Governo che oggi vorrebbe vedere abbattuto in nome della democrazia e della libertà. Qualcuno direbbe che è un segno dei tempi: invertebrati messi a rappresentare il popolo sovrano. Il problema però non è solo il leader di Azione. È tutta la sinistra che glissa sui trascorsi putiniani dei suoi dirigenti, avviluppata in un imbarazzante silenzio. Chi in Italia era, e forse è ancora, in rapporti personali con l’autocrate Putin? Sua eminenza Romano Prodi, prossimo alla beatificazione dall’ecumene progressista, non ha nulla da dire in proposito? E il serioso Enrico Letta, cosa ricorda dell’incontro con Putin a Trieste nel novembre 2013, che portò alla sigla di 28 accordi commerciali tra la Russia e l’Italia? Era un sosia o c’era lui a stringere la mano al tiranno? Ed era lui a Sochi, nel febbraio del 2014, all’inaugurazione delle Olimpiadi invernali, a fare da corona alla consacrazione del despota? O era il solito sosia?
L’ultima oscenità pronunciata sull’argomento è quella di Giuseppe Conte che si dice pronto a sostenere in Aula la mozione di sfiducia a Salvini se Azione di Calenda la presenterà. Sì, proprio lui, Conte. Con il suo Movimento ha tenuto bordone a quel pendaglio da forca che è il presidente venezuelano Nicolás Maduro non riconoscendo nel febbraio del 2019 la legittimità della scelta di Juan Guaidó, accettata da tutti gli Stati occidentali, alla guida della transizione democratica del Venezuela. Ora pretende di fare l’esame del sangue all’ex alleato leghista per misurarne il grado di adesione agli ideali di libertà e di democrazia. È il bue che chiama cornuto l’asino. Ci vuole una bella faccia tosta. Ma non è stato lui, Giuseppe Conte, da presidente del Consiglio nei giorni del Covid a chiamare Putin per farsi aiutare a gestire l’emergenza sanitaria? E non è stato sempre lui a salutare, domenica 22 marzo 2020, come grande successo personale l’arrivo all’aeroporto militare di Pratica di Mare di 9 aerei Ilyushin provenienti da Mosca con forniture e apparecchiature non ispezionate dai nostri servizi di sicurezza e con 100 militari dell’Armata russa specialisti nella guerra batteriologica che si sono mossi indisturbati sul suolo italiano? Sorprenderà, ma anche i tiranni conoscono le buone maniere. E Putin non fa eccezione. L’8 maggio 2020, Vladimir Putin telefonò a Giuseppe Conte per fargli gli auguri per la ricorrenza del 75esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. In quell’occasione, fonti di Palazzo Chigi fecero trapelare parti del contenuto della conversazione. Putin avrebbe detto all’amico italiano: “La storia insegna che quando i popoli si uniscono le grandi sfide della storia si vincono”. Non risulta che l’avvocato di Volturara Appula gli abbia risposto: ma che cavolo dici, io con un tiranno come te non ho nulla da spartire. Non era il 2000 ma il 2020, scarsi quattro anni fa. Sarà forse per questo motivo che il leader russo ha tenuto a far sapere al mondo che in Italia si è trovato sempre molto bene e che tanti sono ancora gli amici sparsi nei Paesi che oggi sono ostili alla Russia. È a Salvini – che al più ha fatto un giro turistico e un selfie sulla Piazza Rossa – che si riferiva o a qualcun altro che fa lo smemorato a proposito dei legami d’amicizia – e d’affari – intrattenuti con l’autocrate del Cremlino?
Presto la guerra – che Putin sta vincendo – finirà e se, come tutto lascia intendere, a Washington cambierà l’inquilino della Casa Bianca, i rapporti con Mosca verranno ristabiliti. E gli antiputiniani di casa nostra a quel punto che faranno? Se la prenderanno con Salvini per non averli sufficientemente convinti che Putin non è quel “pazzo, figlio di puttana” come oggi lo apostrofa il presidente Usa Joe Biden. Perché, in fondo, non conta la verità ma la necessità di avere sempre qualcuno il cui sacrificio serve a mondarci dei nostri peccati. E il “Capitano” ha il profilo perfetto del Girolimoni della politica, il mostro da sbattere in prima pagina. Sempre e comunque.
di Cristofaro Sola