giovedì 15 febbraio 2024
L’accordo di Schengen è quanto di più liberale sussista nell’Unione europea. Esso rimuove le frontiere tra gli Stati membri aderenti, per attuare quella libera circolazione di persone, merci e capitali che, assieme alla libertà di stabilimento delle imprese, è il cardine dell’integrazione comunitaria fin dai Trattati di Roma del 1957.
Questa libertà, in un momento di irragionevoli rigurgiti bellicistici, va anche difesa. Per questo il ministro degli Affari esteri italiano, Antonio Tajani, insiste sempre sulla necessità di una difesa comune. È stato il più grande sostenitore della nostra partecipazione all’unità navale europea a presidio dei traffici per Suez, nel Mar Rosso. E l’Italia, in questo momento, comanda quella missione. Adesso, Germania, Polonia e Olanda hanno costituito tra loro una Schengen militare, cioè una zona di libera circolazione per le loro forze armate, qualora sia indispensabile alla difesa comune. Perché l’Italia non ha ancora aderito?
Eppure, dovrebbe essere interessatissima. All’epoca della Guerra fredda, la maggioranza delle sue unità era concentrata nel triveneto. Infatti, attraverso l’Ucraina, l’Ungheria e l’Austria corre una zona pianeggiante, una vera pista da corsa per unità corazzate, che sbatte sulle nostre Alpi orientali. Per questo, nel Triveneto, vi sono, tra strade e ferrovie, tanti cavalcavia e sottopassi, per impedire ai trasporti di mezzi e truppe d’ostacolarsi a vicenda. Tajani, Guido Crosetto e Giorgia Meloni ci riflettano in fretta.
di Riccardo Scarpa