giovedì 1 febbraio 2024
L’Ifo Institute (Leibniz Institute for Economic Research at the University of Munich) svolge dal 1948 attività di ricerca ed analisi su questioni legate al lavoro, all’economia, alla politica economica nazionale e soprattutto a quella europea. Il quotidiano MilanoFinanza ha sempre definito l’Ifo il barometro della ricchezza tedesca, perché anticipa cosa succederà nel mondo del lavoro europeo. Da un paio di mesi agenzie e quotidiani ci raccontano d’una sorta di crisi economica tedesca, ma l’uomo di strada non comprende come possa riflettersi sulle altre economie dell’Ue. L’indagine Ifo non parla di vera e propria crisi tedesca, piuttosto di forte propensione al licenziamento del personale umano, soprattutto dell’opportunità offerta dalla tecnologia affinché i dipendenti vengano avvicendati con umanoidi, con robot ed intelligenza artificiale in genere.
Klaus Wohlrabe (responsabile sondaggi Ifo) ammette a MilanoFinanza: “Le aziende sono piuttosto riluttanti ad assumere nuovo personale. Una prima tornata di licenziamenti sta diventando sempre più probabile”. Ovviamente c’è tanta cautela nel raccontare tutti i motivi della crisi Ue iniziata in Germania. Ma è sbagliato chiamarla crisi, piuttosto sostituzione del fattore umano di produzione: infatti a decidere di licenziare, soprattutto quando il fatturato aumenta, sono le imprese che hanno pianificato nello scorso biennio di sostituire il fattore di produzione umano con robot di ultima generazione. Viene infranto il contratto con l’uomo per siglarne uno con l’Ai, ovvero con i colossi multinazionali cibernetici. Ad agevolare queste scelte stanno provvedendo aiuti bancari e leggi che consentono la fuoriuscita di umani e l’assunzione di umanoidi: è anche la cultura del nostro tempo. Infatti, da metà ‘800 fino a pochi anni fa, sussisteva una sorta di venerazione studentesca della classe operaia e contadina, mentre oggi i figli delle classi medie e medio-alte che frequentano università e master sono per la maggior parte contrari al lavoro umano, considerando ormai inutile e superato l’impiego della cosiddetta manodopera. Torna alla memoria il ‘68, e va storicizzato il fenomeno che vedeva studenti ed operai unirsi nella lotta per i diritti dei lavoratori. Uno studente universitario di oggi non scenderebbe mai in strada a fianco di operai, contadini, braccianti ed artigiani, perché considera queste categorie del lavoro ormai scientificamente superate: anzi le considera nocive al Pianeta ed al clima. Perché gli studenti hanno fatto proprio lo slogan che vede nel fattore antropico, nel lavoro umano, il primo fattore d’inquinamento della Terra. Ecco perché gli studenti tedeschi plaudono alla sostituzione degli umani con i robot nei cicli produttivi. Una vera e propria guerra e sfida generazionale. Così i giovani fortunati benestanti e studenti manifestano un disprezzo aristocratico verso il lavoro, inteso come poíesis (come “fare”), che ci riporta a prima del “contratto sociale” (a prima del ‘700), anzi al disprezzo classico del lavoro manuale.
Ed è proprio il tedesco Friedrich Nietzsche che, nella difesa dei valori pagano-aristocratici contro quelli cristiano-democratici, ispeziona la scaturigine del pensiero classico: lo fa nel suo tempo, per comprendere il fardello ideologico caricato sul concetto di lavoro, ovvero l’enfasi d’ideologia socialista che capovolgeva la scala valoriale aristocratica. Così il filosofo dell’Alta Sassonia si convinceva che “una civiltà superiore può sorgere solo là dove ci sono due distinte caste della società: quella di coloro che lavorano (Arbeitenden) e quella di coloro che oziano (Müssigen), capaci del vero ozio, o con espressione più forte − spiegava Nietzsche − : la casta del lavoro forzato (Zwangs-Arbeif) e la casta del lavoro libero (Frei-Arbeif)… Così ci parla la voce morente dei tempi antichi − s’interrogava il filosofo − ma dove ci sono ancora orecchie per sentirla?”. Oggi il suo monito avrebbe non pochi seguaci.
Il filosofo tedesco parla così dopo aver approfondito il senso aristocratico nell’Etica Nicomachea di Aristotele: il filosofo greco poneva come condizione d’elevazione alla vita contemplativa (bios theoretikos) la disponibilità di risorse materiali; e perché la felicità del filosofare è di chi si è elevato dal non praticare una vita da operaio o commerciante, “ovvero vite ignobili e contrarie alle virtù che dovrebbero albergare in chi si candida alla vita pubblica” (chiariva nella Politica). Ecco che Aristotele mette in guardia i cittadini dal conflitto d’interessi che alberga in chi lavora manualmente (operai, contadini, artigiani), considerando degni della politica solo coloro che per nascita e censo si possono considerare liberi da impegni e non abbrutiti nel lavoro quotidiano: un po’ come Gualtieri e la Schlein.
Si narra che, finita la Seconda guerra mondiale, Federico Fellini giovane squattrinato dalla visione aristocratica avesse spernacchiato un gruppo d’operai intenti a riparare la strada per il Valico della Siligata (nei pressi di Firenzuola): “Lavoratoriiii!!! Prrrrr! Prrrr!!!”, roboante pernacchia accompagnata da risata degli amici di bisbocce. Il regista poi immortalerà la scena, facendola interpretare ad Alberto Sordi ne “I Vitelloni”. La critica cinematografica dell’epoca si divideva, alcuni non si fecero scrupoli ad etichettare la trovata dei “vitelloni” come goliardia di destra. Ma i tempi cambiano, oggi è la sinistra della “povertà sostenibile” e della tecnologia che non inquina a spernacchiare i lavoratori poiché rei d’inquinare. Una sonora pernacchia al lavoro umano la sta facendo la tecnologia, il capitalismo clientelare alla Bill Gates, il pensiero di Davos… Nessuno osa criticare, anzi qualcuno del Pd vede in questo cambiamento delle parti una sorta di progresso, forse un ritorno all’aristocratico, al classico, alla tragica esclusione dal partecipare alla vita civile.
di Ruggiero Capone