martedì 30 gennaio 2024
“Sentirsi di sinistra” ha rappresentato una scelta e un atteggiamento mentale, che hanno connotato realtà molto diverse nel tempo e nei vari Paesi, anche se qualcosa di comune doveva esserci, se praticamente dappertutto una distinzione tra destra e sinistra si è riproposta quasi sempre. Qualcosa in comune sussisteva: lo Stato pervasivo, l’egualitarismo sociale, l’idea di un paradiso terrestre in luogo di quello trascendente e la pianificazione dall’alto. Ma le differenze, tra i giacobini dell’“ami du Peuple” Jean Marat e i socialisti umanitari dell’Ottocento, tra i socialdemocratici e il torvo comunismo leninista, e perfino tra Deng Xiaoping e la “banda dei quattro” di Lin Piao restavano enormi. C’era una progettualità su cui si dividevano, per i metodi certo, ma inevitabilmente anche per i fini, tra sinistra democratica e sinistra comunista.
Oggi però, nelle nuove condizioni del villaggio globale molto frammentato il progetto, o meglio i progetti non si vedono più con sufficiente chiarezza ed è rimasto solo il “sentirsi di sinistra”, ma profondamente modificato. La fiducia nel progresso, fosse quella rozza e brutale del “socialismo più elettrificazione” di Stalin, o quella più sofisticata e morbida dello Stato sociale del Fabianesimo, delle socialdemocrazie scandinave o di Lord Beveridge, è venuta largamente meno. Oggi a sinistra non si crede ormai più nelle “magnifiche sorti e progressive”. Una sinistra mondiale, delusa e mortificata dalle sue troppe sconfitte, ma incapace di riconoscere semplicemente che le destre liberali avevano più ragioni (non tutte le ragioni, ma più ragioni), ha di fatto abbandonato ogni progetto compiuto e ottimistico di progresso e sviluppo. Vediamo perché. La sinistra, complessivamente, ha sempre stimato poco l’uomo comune. Lo avrebbe voluto più altruista, più generoso, più ecologista, più sociale e magari più casto e più dedito alla cucina mediterranea. Ma insomma così com’è, coi suoi difetti, l’uomo non le è mai piaciuto, non le piace proprio. Ecco perché la sinistra ha sempre avuto un atteggiamento pedagogico per cambiare l’uomo, per farne un uomo nuovo. Eterna illusione e pericolosa attitudine di tutte le dittature, dure o morbide. Naturalmente, per “insegnare” bisognava sentirsi o almeno dichiararsi in qualche modo superiori. E questo, fin che ha potuto, la sinistra lo ha fatto e perfino teorizzato: la classe operaia guida della società, il Partito comunista guida della classe operaia, il Comitato centrale guida del Partito comunista, il Politburo guida del Comitato centrale, il primo segretario guida del Politburo. La società collettivizzata interamente sottoposta a questa piramide gerarchica di potere. Con buona pace del mito dell’uguaglianza. Il politically correct e l’autocertificazione di bontà e altruismo, che le sinistre occidentali si attribuiscono da sé, ha avuto una funzione del tutto simile. Il problema è che oggi il fallimento sul piano storico delle sue ricette e il rifiuto di riconoscerlo ha spinto la sinistra ad andare ben oltre nella sua critica degli esseri umani, per poter attribuire loro la colpa del suo disastroso insuccesso, tanto da dare l’impressione di considerarli ormai in massa come cattivi cittadini e irredimibili peccatori e di arrivare a generalizzate conclusioni catastrofiche sul futuro.
E non siamo qui di fronte ad una presa di coscienza di nuovi problemi e ad un maggiore stimolo nel provare a risolverli, ma al suo esatto opposto, al precipitare in un pessimismo talmente sistematico e senza speranza da portare all’inazione e alla paralisi. Quasi tutto da sinistra viene ormai estremizzato e deformato a cominciare dal linguaggio, sempre più connotato da iperboli, anche su argomenti di scarsa o nessuna rilevanza. Sempre più spesso si sente dire incredibile, intollerabile, irricevibile, inaccettabile, tanto da finire per dare l’impressione di mettere tutto sullo stesso piano, dalla produzione di energia alle piste ciclabili, dalla decimazione di popolazioni, alla diminuzione delle foche monache, dagli Stati terroristici alle democrazie imperfette. Tipici esempi, da noi, sono Giuseppe Grillo ed Elly Schlein, che trattano tutto con la stessa esagerata agitazione, monocorde, superficiale e approssimativa, ma sempre estrema. Una sinistra sempre meno culturalmente preparata e sempre più concitata sta diffondendo un catastrofismo spinto, che non lascia speranza, inquinando ogni dibattito con un’ideologia fumosa e imprecisa ma radicalizzata, che falsa ogni dibattito. A cominciare dalla scienza, che, dopo secoli dal processo a Galileo Galilei, si cerca nuovamente di sottoporre a condizionamenti politici da parte del politically correct di sinistra, che tenta in tutti i modi di condizionarne esiti, metodiche e libertà di ricerca. Dall’energia nucleare, alla biomedicina, agli Ogm non vi è dibattito scientifico che non venga inquinato da intrusioni politico-ideologiche, da parte di politici partigiani, che non aspettano le conclusioni tecniche della scienza con i procedimenti oggettivi suoi propri, per scegliere e decidere solo dopo in maniera consapevole. Ma pretendono di indirizzarne i risultati e questo perfino nei meccanismi di selezione degli scienziati, sovvertiti dall’introduzione di quote obbligatorie di genere e di gruppo, laddove unici ed esclusivi criteri dovrebbero essere merito e competenza.
Una sinistra cresciuta sull’illusione marxiana di fare una teoria totalmente “scientifica” della politica (la politica è anche arte ricordava Otto von Bismarck): il che non è possibile, arriva all’opposto di espellere quasi completamente dalle sue considerazioni la scienza e il suo metodo, che invece è necessario. Al posto di esponenti culturali militanti, dotati di doppiezza e spesso pedanti, ma strutturati e metodici, la sinistra oggi si affida a rozzi agitatori, al posto di storici e professori universitari schiera rapper, attori e improvvisati influencer, sostituendo la “chiara fama” con la semplice notorietà, e le grandi manifestazioni operaie con caricaturali sfilate di orgoglio gay. L’uguaglianza, svincolata dalla libertà riconosciuta come primo valore, è degenerata prima in egualitarismo, poi in tendenza obbligatoria all’uniformizzazione di tutto e di tutti, fino al tentativo di ridurre le persone a numeri, a masse indifferenziate, guidate magari da algoritmi. Differenze di cultura, di impegno, di nazione, di genere, di religione, di gusti, di ideali, di speranze, tutte da annullare in una corsa senza fine verso l’omologazione forzata, verso lo zombie senza storia, proprietà, autonomia, sesso, spazio di vita e desideri individuali che il politically correct cerca di imporre, con una pressione normativa e mediatica senza precedenti.
La “cancel culture” e l’irrazionale manicheismo ecologico sono solo le ultime e più radicali manifestazioni di una ventata che, ormai, ha assunto caratteristiche totalitarie per la violenza verbale con cui si esercita. E porta alla continua richiesta di limitazioni di legge per tutte le opinioni contrarie, o semplicemente devianti, sostenuta da un poderoso schieramento politico e di stampa, che ritiene che lo Stato abbia sempre il diritto di cambiare con la forza la società sottostante, anziché esserne l’evolutiva rappresentazione. Leggi dirigiste malamente camuffate da ecologiche, che devastano interi settori dell’economia, imposizioni che cancellano il merito e la libertà a partire dalle selezioni delle candidature elettorali e la demonizzazione mediatica delle opinioni contrarie, fino proprio al tentativo sempre più esteso di vietarle per legge. La simulata indignazione a comando, il fingersi seriosi per nascondere di non essere più seri, la raccolta di firme di sconosciuti, promossi su certi giornali a intellettuali di grido, dalla “società di mutua ammirazione” annidata nei sottoscala di case editrici della subcultura “impegnata” sono la cifra di una sinistra devastata ed irriconoscibile. Della sinistra di una volta, col suo progetto radicalmente sbagliato, ma esistente, non c’è più nulla. Solo l’assuefazione a una vita di privilegi cui non sanno rinunciare.
Ma qualcosa si deve pur trovare per sopravvivere aggregati e, pian piano, quasi inavvertitamente e del tutto inconsapevolmente, a sinistra hanno recuperato in forma rozza e indistinta una regressione già vista apparire nei periodi bui del passato: il nichilismo. Un nichilismo in forma generica, superficiale ed estrema, di attrazione verso il nulla. Lo sconsolato striscione che accompagnò le convulsioni finali del crollo del comunismo sovietico a Mosca – che diceva “da settant’anni in marcia verso il nulla” – era l’epitaffio del fallimento storico del marxismo realizzato. Ma descriveva il passato, un passato terribile di errori e violenze, ma passato. Oggi, nel politically correct, nella cancel culture, nell’approccio woke e gender, il nulla sembra invece diventato un’inavvertita vocazione, un’attrazione fatale verso la distruzione di ogni ordine esistente, anche quando basato su tradizioni divenute tali perché sentite fino ad oggi come naturali. È un atteggiamento semiautomatico di ripulsa di ogni cosa che ci sembrava positiva. Una villetta di periferia – con padre e madre che lavorano, due figli bene educati, che vanno a scuola, il giardino ben tenuto con le rose e la frutta – richiama spesso in costoro l’idea che dietro questa immagine di serena rispettabilità si annidino, se non proprio pulsioni naziste, almeno egoismo e insensibilità ai problemi del mondo. Mentre uno sbandato, anche quando tale solo per indolenza e asocialità, attira la loro immediata simpatia come vittima del mondo borghese. Le scelte, le responsabilità e i meriti individuali, sono annullati, sostituiti da una generica responsabilità/irresponsabilità di tutti verso tutti.
Vengono alimentate astiose polemiche collettive su ciò che è “normale”, in una materia così strettamente individuale come l’inclinazione sessuale, derivanti alla radice dal voler ignorare il doppio significato della parola normale, che certamente non può significare che “di norma” un omosessuale debba cessare di essere tale (abbiamo tutti per fortuna il libero arbitrio). Ma non può neanche puerilmente negare che l’eterosessualità sia normale nel senso di usuale, sennò saremmo estinti. E dunque certe polemiche appaiono sterili e forzate, quando non addirittura propagandistiche, specie laddove pretendono di portare lo Stato all’interno delle famiglie, per contrastare un presunto ambiente patriarcale, anche quando non c’è o di finire per criminalizzare anche il semplice e tradizionale corteggiamento. Non sono nuove nella storia improvvise ondate irrazionali e violente, ma sbaglierebbe chi semplicemente paragonasse quella di oggi agli iconoclasti, ai luddisti o a Fra Girolamo Savonarola, perché oggi una tale sbandata è molto più pericolosa, per l’ipersviluppo tecnologico e la presenza di armi di distruzione di massa.
Oggi, in un mondo fortemente instabile e condizionato da ondate mediatiche improvvise e fulminanti, con armi nucleari ormai molto diffuse, una sinistra sostanzialmente nichilista è un pericolo molto maggiore che per il passato. E non solo per le nostre libertà e il nostro sistema liberale, ma anche per le pacifiche relazioni internazionali. Dalla guerra contro l’energia, alla distruzione di ogni ordine tradizionale, dal rifiuto del rigoroso metodo scientifico, alla crescente intolleranza per il pensiero non allineato, fino alla giustificazione della violenza anarcoide, il “cupio dissolvi” da cui la sinistra sembra sempre più affetta è ormai un pericolo su scala mondiale, che tende a scusare anche tutte le peggiori e arcaiche dittature panreligiose, purché antioccidentali. Mentre nega ogni credibilità a Paesi che, pur non essendo ancora delle democrazie compiute, stanno però provando a muovere piccoli passi almeno verso una maggiore tolleranza e moderazione.
Questa attrazione fatale verso il nulla della sinistra sta generando, nei Paesi dove la democrazia resiste, uno spostamento crescente di molti elettori verso destra e ha i connotati di una scelta in favore della vita e dei valori positivi, di lavoro, ottimismo e speranza nel futuro. È un fenomeno generalizzato e costruttivo, destinato a durare, che tocca molti aspetti, dalla ripresa dei voli spaziali in luogo di un futuro di costrizione, alla diversificazione delle fonti energetiche il luogo della penuria, da un ordinato “melting pot” in luogo di concitate invasioni, al recupero dei valori tradizionali e una visione più serena del futuro, in luogo della disperazione. Il mondo è messo a rischio da una sinistra così autodistruttiva. Speriamo allora che a sinistra ritrovino almeno un po’ della un tempo esistente tradizione democratica, quella dei Turati, dei Saragat, dei Rocard, degli Schröder, dei Prodi. Speriamo che anche a sinistra finiscano per levarsi delle voci contro questa spaventosa ventata irrazionale, che la corrode pericolosamente.
di Giuseppe Basini