venerdì 26 gennaio 2024
Potrebbe sembrare una fissa, ma non lo è. La verità è che non riusciamo a distogliere lo sguardo da ciò che sta accadendo nel Mar Rosso, perché è lì che l’Italia rischia di avvitarsi in un drammatico loop esistenziale. Certo, anche le discussioni che animano la politica sono importanti nella misura in cui incidono sulla vita degli italiani. Ma, al momento, passano in seconda linea tanto le frescacce demagogiche dispensate con generosità dai leader dell’opposizione quanto le risposte piccate del presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, che non fa mistero di non gradire le provocazioni del centrosinistra.
Insistiamo: l’attenzione del Paese dovrebbe essere per intero focalizzata sulla crisi del traffico marittimo mercantile dal Golfo di Aden al Mar Rosso. Perché – ci sia consentita l’iperbole – sabotare con attacchi missilistici il flusso commerciale dall’Oriente al Mediterraneo via Canale di Suez e viceversa, come fanno i terroristi yemeniti delle milizie Houthi, è come spezzare la cannula che porta l’ossigeno dalla bombola al paziente. Nella circostanza, il paziente è principalmente l’economia italiana.
Ieri l’altro, Il Giornale ha pubblicato un’analisi sul tema, del politologo ed esperto di strategia militare Edward Luttwak. A nostro avviso, l’articolo andrebbe stampato in milioni di copie e distribuito nelle scuole per insegnare ai nostri giovani cosa sia l’Italia, quale peso geopolitico abbia nel Mediterraneo e quale ruolo di primaria importanza strategica ricopra la sua Marina militare. Cosa dice in buona sostanza Luttwak? Che dalla crisi della navigazione nel Mar Rosso “nessun grande Paese, nessun membro del G7 o del G20, ha subito danni economici maggiori dell’Italia”. Ma dice anche che, dati alla mano, per le potenzialità della sua flotta da guerra – l’Italia ha di gran lunga la Marina più forte del Mediterraneo (Luttwak) – “l’Italia potrebbe addirittura sollevare le marine statunitensi e britanniche dai compiti di pattugliamento e assumersi la responsabilità esclusiva di proteggere la navigazione nel Mar Rosso. Ciò significherebbe che l’Italia diventerebbe immediatamente la potenza più importante per l’Egitto, che sta soffrendo molto per la perdita dei proventi del Canale di Suez, e per l’Arabia Saudita, il cui porto di Gedda è essenziale per l’economia non petrolifera del Paese”.
Non sono parole campate in aria, pensieri sconnessi, un tanto per dire. Il politologo di origini rumene, vissuto a lungo nel nostro Paese, passa in rassegna le caratteristiche tecniche di alcune unità navali della nostra flotta, giudicandole idonee a svolgere i compiti di protezione e difesa del traffico mercantile nell’area a rischio del Mar Rosso. In particolare, l’impiego anche di uno solo dei due cacciatorpediniere lanciamissili classe Orizzonte (Ddgh) – Caio Duilio (D554) e Andrea Doria (D553) – affiancati da una squadriglia di fregate multi-missione (Fremm) di ultima generazione in dotazione alla nostra Marina militare – potrebbe annichilire la minaccia terroristica intercettando i non avanzatissimi missili e droni di fabbricazione iraniana di cui si servono gli Houthi. Per Luttwak, la classificazione delle due navi come cacciatorpediniere sarebbe perfino riduttiva viste le caratteristiche di stazza e le capacità di fuoco di cui dispongono. Ha ragione. Stiamo parlando di due unità più simili a incrociatori, da 6700 t p.c. di dislocamento, 152 metri circa di lunghezza e una velocità di 29 nodi. L’armamento è costituito da 3 cannoni multiruolo a cadenza di tiro super rapido (120 colpi al minuto) Oto Melara 76/62 SR (società del gruppo Leonardo-Finmeccanica); 2 cannoni automatici a corto raggio Oto Melara Oerlikon KBA 25/80; il sistema missilistico d’arma navale antiaerea (Paams – Principal Anti Air Missile System) si compone di 6 lanciatori verticali e di 48 celle per gli efficacissimi missili Aster 15 (gittata 30 km) e Aster 30 (gittata 120 km), sperando che non li abbiamo dati tutti in dono all’esercito ucraino.
Quindi, i mezzi offensivi le donne e gli uomini preparati a maneggiarli li abbiamo. Perché non impiegarli? Cosa ci frena, se non la preoccupazione dei politici di perdere consenso per non essere stati capiti dall’opinione pubblica? E cosa ci sarà da capire quando sui banchi dei supermercati i prezzi dei beni di largo consumo schizzeranno alle stelle, quando non ci si potrà accostare al distributore per fare il pieno all’auto per l’inarrivabile costo della benzina e del gasolio e quando l’inflazione tornerà a divorare i salari dei lavoratori? La politica, per salvare se stessa, dirà che sarà stata colpa della crisi di Suez, alla quale l’Italia non avrà potuto porre rimedio perché in Costituzione è scritto che il nostro Paese rifiuta la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. A quel punto, cosa se ne farà la gente di una tale giustificazione? Cosa metterà in tavola: pane, Costituzione e pacifismo? Si obietterà: ci stiamo preparando a partecipare a una missione europea di protezione del traffico mercantile in transito nel Mar Rosso. Suvvia, siamo seri. Anche un bambino capirebbe che, per come la si sta congegnando, è quasi una presa in giro. È l’ennesimo vorrei-ma-non-posso della solita Unione europea indecisa a tutto. Se si volessero fare le cose perbene bisognerebbe ora, non domani o dopodomani, aderire attivamente all’operazione “Prosperity Guardian” implementata su impulso anglo-statunitense. Lo ha spiegato bene Luttwak. Essere in “Prosperity Guardian” darebbe accesso alla rete di intelligence che sta lavorando all’individuazione dei siti Houthi dai quali partono gli attacchi missilistici.
Sembrava che, dopo il colloquio telefonico dello scorso 19 dicembre tra il ministro della Difesa Guido Crosetto e il suo omologo statunitense Lloyd Austin, l’Italia dovesse essere della partita. Poi, qualcosa deve essere accaduto nell’ambito del Governo e dei partiti della maggioranza, perché lo slancio iniziale a stare con l’iniziativa statunitense si è arenato e ha preso corpo l’idea di mettere su una robetta europea da pesi piuma. Finora la capacità della Meloni di stare sulla scena internazionale ci è piaciuta moltissimo. In questa circostanza, invece, sembra che abbia perso smalto. Non va bene. In un momento nel quale l’interesse della nazione è messo a repentaglio, ci aspettiamo dal premier un comportamento meno timido e più coraggioso. Siamo consapevoli che l’ok al lancio di missili contro qualcun altro faccia un brutto effetto sui pacifici italiani, anche quando quel qualcuno sia un pericoloso gruppo terrorista che per statuto ci vorrebbe morti. Illustre presidente Giorgia Meloni, cosa sono questi pensieri tristi? Pensi piuttosto a quanto le sarà grata l’Italia per lo scampato pericolo grazie a ciò che avranno saputo fare gli uomini e le donne della nostra Marina militare per difenderci dal male. E dalla miseria. Perciò, faccia la cosa giusta. Muova le navi, senza attendere la benedizione di Bruxelles. Che la sua basta e avanza.
di Cristofaro Sola