martedì 9 gennaio 2024
Un bell’articolo scritto la scorsa settimana da Carlo Lottieri per “Il Giornale”, l’endorsement in tempi non sospetti di Nicola Porro, le analisi su “Libero” di Daniele Capezzone e Maurizio Stefanini (quest’ultimo anche su “Il Foglio”), qualche corrispondenza di Francesco Giubilei dall’America Latina (sempre su “Il Giornale”), Iuri Maria Prado su “Linkiesta”, un’intemerata sorprendente di Luigi Marattin (parlamentare di Italia Viva) su “Il Riformista”: le uniche cose degne di essere lette su Javier Milei, tra quelle pubblicate negli ultimi mesi dalla stampa italiana, sono finite qui. Forse qualcosa ci è sfuggito – e chiediamo umilmente perdono agli eventuali autori – ma tutto il resto della produzione giornalistica nostrana sull’attuale presidente argentino è, molto semplicemente, spazzatura. A volte spazzatura generata dall’odio ideologico, a volte spazzatura dettata dall’ignoranza più palese, ma sempre di spazzatura si tratta.
Milei è un personaggio singolare, non c’è dubbio. Ma è francamente inaccettabile la pigrizia intellettuale con cui le sue idee e le sue proposte di riforma della moribonda economia argentina vengono accostate (anzi, equiparate tout court) al “duo del demonio” Trump-Bolsonaro. Qualche analogia, soprattutto nel metodo più che nella sostanza, naturalmente c’è. Ma la sensazione è che, quasi sempre, si cerchi questa equivalenza forzata per evitare di entrare troppo nel dettaglio. Un dettaglio che farebbe letteralmente impazzire il giornalista medio di sinistra, abituato a dividere il mondo in “buoni e cattivi” senza fare troppe distinzioni.
L’economia austriaca? Ludwig von Mises? Friedrich August von Hayek? Murray Rothbard? I Chicago Boys? Jesús Huerta de Soto? E chi sono costoro, se non gli abilitatori accademici dell’estrema destra mondiale? Sì, perché nella vulgata giornalistica contemporanea (non solo in Italia), tutto il pensiero liberale classico, proprio come le sue derivazioni minarchiche o anarco-capitaliste, sono accomunate senza pudore a fascismo (ancora?), nazismo e autoritarismo in genere. E allora via con definizioni iperboliche sempre più spinte, in cui il termine “ultraliberista” diventa quasi un complimento di fronte a “ultradestra”, “estrema destra”, “trumpiano”, “populista”, “la peggiore destra” (copyright: “Il Fatto quotidiano”), “amico dei dittatori”. Con un utilizzo degli aggettivi quasi psichedelico: “inquietante”, “pazzo”, “negazionista”, “cospirazionista”, “ultrà”, “capellone”, “fascista liberale” (copyright: “Il Manifesto”), “pazzo”, “estremista”, “reazionario”. E ci fermiamo qui per pietà nei confronti dei nostri lettori.
La realtà, è facile intuirlo, diventa un accessorio ridondante. Quasi fastidioso. Finalmente gli elettori argentini si sono ribellati a quell’ircocervo nazi-maoista (ma sì, divertiamoci anche noi) che viene comunemente chiamato “peronismo” e che ha portato ripetutamente una nazione ricca di risorse naturali alla bancarotta finanziaria? Minuzie. Milei in pochi giorni di presidenza ha già messo in piedi una serie di riforme promesse, a chiare lettere, durante la campagna elettorale (cioè l’esatto opposto di quello che viene usualmente definito “populismo”)? Un altro insignificante dettaglio. Il neo-presidente vuole riportare l’Argentina fermamente nel campo occidentale (rifiuto di entrare nei “brics”, appoggio a Israele e Ucraina), quando i suoi vicini (Lula, Maduro e compagnucci sparsi) flirtano con Hamas e Putin? Un altro segnale della deriva fascio-liberista.
Capite bene che di fronte a questa imbarazzante dissociazione mentale dalla realtà ci sia ben poco da fare. Se non provare a diffondere – anche sui canali informativi tradizionali (per il resto, grazie a Dio, c’è Elon Musk) – qualche brandello di verità. Nella speranza che una scheggia impazzita colpisca soprattutto le generazioni più giovani. Per i più anziani, ci è rimasta solo la motosega.
di Andrea Mancia