Assolti, dunque colpevoli

giovedì 7 dicembre 2023


Il ministro Guido Crosetto, rispondendo in Parlamento a una interpellanza, ha riferito che negli ultimi vent’anni in Italia sono state arrestate ben 30.778 persone poi riconosciute del tutto innocenti. Qualcuno ha corretto il dato affermando che non si tratta degli ultimi vent’anni, ma degli ultimi trent’anni.

Prendendo per buona la correzione, arriviamo comunque a un dato spaventoso, secondo il quale ogni anno sono state arrestati 1.025 innocenti, il che significa che ogni giorno lo sono poco meno di tre persone estranee ai fatti.

Ciò significa che nelle prossime ventiquattro ore – cioè nel tempo occorrente a queste righe per giungere sotto gli occhi del lettore – circa tre innocenti verranno arrestati: se poi conteggiassimo anche coloro che, senza essere arrestati, vengono comunque accusati in un processo e poi, dopo vari anni, assolti, il dato diviene iperbolico.

La cosa davvero strabiliante non è soltanto che nessuno dei nostri giuristi o opinionisti abbia commentato questo dato inquietante, ma anche il tenore dei pareri espressi al riguardo.

In particolare, Marco Travaglio ha affermato che fra quelle decine di migliaia di persone c’erano sicuramente molti colpevoli, in quanto quando il giudice assolve perché ritenga insufficienti le prove o quando la legge dichiara inutilizzabili certe prove o quando depenalizza un reato, le persone assolte rimangono comunque colpevoli, anche se non condannate.

Insomma, secondo Travaglio, si può essere assolti anche se colpevoli e ciò accadrebbe in molti casi.

Dove si nasconde il corto circuito mentale messo in opera con un simile pseudo-ragionamento?

Sta nella circostanza che si assume il risultato al quale occorre giungere (cioè sapere se un imputato sia colpevole o innocente) come se fosse invece un punto di partenza di carattere assiomatico: in altre parole, si scambia il traguardo con la partenza, mettendo al posto della premessa (l’ipotesi accusatoria) la conclusione (la colpevolezza dell’imputato).

Ora, se questa stramberia del pensiero rimanesse confinata nel perimetro astratto della pura logica, la cosa sarebbe già allarmante; ma siccome si traduce in sede operativa in alcune illazioni giuridicamente aberranti, allora dal semplice allarme si passa alla paura.

Infatti, affermare che benché assolti, gli imputati rimangono comunque colpevoli significa sovvertire i principi più elementari dello stato di diritto, trasformando il processo giuridico in una sorta di sterile cerimoniale al solo scopo di confermare ciò che tutti sanno già da principio e cioè che l’imputato è colpevole e che mai potrà essere considerato innocente.

Cosa che evidentemente non è, bastando poche battute per rendersene conto, soffermandosi brevemente sui tre casi che vengono posti all’attenzione da questo ineffabile “maestro del pensiero”.

Se il giudice considera le prove insufficienti, cosa dovrebbe fare se non assolvere? Dovrebbe condannare comunque fingendo che invece le prove a carico siano sufficienti?

Se alcune prove sono dichiarate dalla legge non utilizzabili, cosa dovrebbe fare il giudice se non evitare di utilizzarle? Dovrebbe condannare comunque fingendo che invece lo siano?

Se un certo fatto viene dalla legge depenalizzato, cosa dovrebbe fare il giudice se non prenderne atto? Dovrebbe condannare comunque fingendo che si tratti ancora di un reato?

Anche perché va precisato come il giudice nel processo penale non si collochi neppure in posizione di terzietà: infatti, dal momento che suo compito è sottoporre a verifica l’ipotesi accusatoria, mancando la prova dell’accusa, egli è tenuto ad assolvere anche se l’imputato rimanga silente, assente o perfino contumace.

Il giudice sottopone l’accusa ad una autentica “prova di resistenza”, soltanto superando la quale si perverrà alla condanna: ecco in che senso la posizione del giudice è spostata nel verso della tutela dell’accusato, come non potrebbe non essere in uno stato di diritto.

È la colpevolezza che va provata e non l’innocenza. Sicché l’opinione sopra menzionata che vede in ogni imputato, ance se assolto, un colpevole, capovolge la prospettiva finendo per costruire un mondo da incubo ben oltre Kafka.

Un mondo dove non si è puniti perché colpevoli, ma, al contrario, si è certamente colpevoli perché si è stati puniti: e ora perfino se si è stati assolti!


di Vincenzo Vitale