sabato 2 dicembre 2023
Vabbè che con Henry Kissinger le paginate non si sono sprecate. E vabbè che solo post mortem si è da noi abituati a sprecare parole su parole. E vabbè pure che da vivo il buon Kissinger ottenne in Italia un solo libro politico-biografico cioè “Gli anni della Casa Bianca” per le edizioni Sugar, una piccola ma attenta e presente casa editrice. Un solo libro nel contesto di case editrici grandi, grosse e potenti. Da non credere.
Ma bisogna pur dire, adesso che stanno “quasi” finendo parole e musica solo a favore, che allora, tanti anni fa, gli “anni di crisi” come ripeteva spesso lo scomparso, erano contraddistinti da frequenti, affollate e violente manifestazioni di giovani contro “il massacratore in Cambogia” e il “fascista” che ha eliminato Salvador Allende, democraticamente eletto in Cile soltanto perché alleato dei comunisti. Soltanto dopo, quando questo eccezionale diplomatico aprì all’est di Cina e Urss, cioè con Mao e Breznev, la musica cambiò.
Oddio, qualcuno ha scritto (pardon, accennato) qua e là di questi “affari sporchi”, come venivano definiti dalla gauche francese, ma insomma vanno così le cose ovviamente, come si diceva (e si dice), post mortem. Ma i fatti rimangono e non sono pochi proprio per il predominio, a volte, della potenza sulla diplomazia.
Il fatto vero riguardante Kissinger consisteva non tanto o soltanto nella diplomazia, ma nel potere che rappresentava anche perché la sua forza, la sua verve, il suo capovolgimento di una antica professione in capacità di previsione, la trasformava in una forza potente in cui brillavano le stelle della politica dei governi statunitensi, difesi da lui contro tutto e tutti.
Cosicché la somma di una missione diplomatica con un messaggio esplicito della provenienza da una superpotenza, conducevano in una zona in cui era fin troppo facile per quella forza di imporsi.
Senza gli Usa, anche Kissinger sarebbe stato giudicato un buon diplomatico, che è già molto, nulla più.
E tuttavia c’era qualcosa di eccezionale e di ineguagliabile in Henry ed era – probabilmente in virtù della sua provenienza ebraico-tedesca – quella di un controllo di sé stesso anche nei momenti più tesi e drammatici, poi da lui risolti sempre con un sorriso a suo modo sardonico. E vi era, anche se non soprattutto, una forza interiore grazie alla quale si attutivano molto i cenni alla sua origine, per cui era solito definirsi “totus americanus” con in più qualche previsione nei riguardi della Cina e di Israele. Ma non dell’Europa.
Kissinger infatti non avvertiva le diffuse pulsioni per una Europa unita e chi lo ha descritto come un anticipatore delle speranza di unità del Vecchio Continente, non ha valutato il respiro ampio di una politica estera il cui perno essenziale ruotava intorno a Washington e al rapporto di questa con il grande universo cinese, senza mai dimenticare quello con Tel Aviv, capitale di uno Stato da difendere perinde ac cadaver, come sibilava qualcuno, dimenticando che la missione di un diplomatico consiste soprattutto nell’impedire i cadaveri.
di Paolo Pillitteri