sabato 2 dicembre 2023
Cosa accomuna, nella vicenda politica di Matteo Salvini, il mese di dicembre e le elezioni europee? Entrambi portano fortuna al leader leghista.
Era il 7 dicembre 2013 quando un rampante Salvini conquistò la segreteria della Lega asfaltando nelle urne congressuali il capo storico, Umberto Bossi. E fu alle Europee del 2014 che il neosegretario ottenne il suo primo successo elettorale riportando il patito a un dignitoso 6,16 per cento, ben più del 4,09 per cento delle Politiche dell’anno precedente che aveva reso manifesta la crisi del Carroccio. Il 2014 fu l’anno dell’inizio di una cavalcata vittoriosa che conobbe l’acme del successo alle Europee del 2019, dove la Lega totalizzò un sontuoso 34,33 per cento. Il miglior risultato di sempre per il partito di Alberto da Giussano.
Ed eccoci, dunque, a un nuovo dicembre con vista sulle Europee del 2024. Considerato il favorevole allineamento astrale, Salvini prova a risalire la china del consenso malamente perduto negli ultimi anni. Il fischio d’inizio partita il “Capitano” lo darà domenica 3 dicembre dal palco della Fortezza da Basso a Firenze dove, per l’occasione, s’incontreranno le delegazioni dei movimenti politici europei aderenti, a Strasburgo, al Gruppo parlamentare Identità e Democrazia. Ci sarà il meglio del sovranismo continentale. Parteciperanno il francese Rassemblement National, la tedesca Alternative für Deutschland, l’olandese Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, la polacca Confederazione della Corona Polacca, il bulgaro Revival, la romena Alleanza per l’Unione dei Romeni, il danese Partito del Popolo Danese, l’estone Partito popolare conservatore dell’Estonia, il ceco Svoboda a přímá demokracie, il belga Interesse Fiammingo, l’austriaco Partito della Libertà Austriaco. All’incontro non ci saranno fisicamente Marine Le Pen e il fresco vincitore delle elezioni in Olanda, Geert Wilders. Le due “star” interverranno in videochiamata.
Scopo della manifestazione leghista è approvare un manifesto comune che caratterizzi l’offerta programmatica del Gruppo Identità e Democrazia alle prossime Europee. La parola chiave sarà: “Libertà”. Il progetto politico: la costruzione di un’altra Europa che sia l’opposto del modello di Unione plasmato dall’alleanza di centrosinistra. Però, la sostanza strategica dell’incontro è altra cosa. Salvini vuole convincere i suoi alleati in Europa a compiere un passo verso il dialogo con le forze della destra e del centro per dare vita, nel contesto comunitario, a una governance delle istituzioni europee affrancata dalla presenza della sinistra socialista e progressista. Un progetto che, se condotto a buon fine, sposterebbe verso il centrodestra l’asse degli equilibri politici interni nel maggior numero degli Stati membri dell’Ue.
Sotto questo aspetto, constatato l’appiattimento di Forza Italia sulle ambiguità progressiste del Partito popolare europeo, Matteo Salvini si candida a essere l’erede morale di Silvio Berlusconi, che fece della convergenza tra le destre e il centro la sua grande intuizione politica. L’impresa è ardua, quasi impossibile per i livori e le diffidenze – quando non vere e proprie inimicizie – che dividono il centro popolare dall’area sovranista. Purtuttavia, essa va tentata. E il fatto che Salvini se la intesti farà recuperare punti alla Lega nel confronto con Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni – non dimentichiamolo – al momento è anche il presidente dei Conservatori e Riformisti europei. La sua partita a Bruxelles mira altrove rispetto al progetto salviniano. La leader conservatrice, per i prossimi cinque anni in Europa, volentieri accetterebbe di sostituire la componente socialista nell’ambito di un riformato patto della maggioranza “Ursula”. Tale scenario non costituirebbe un problema per la tenuta, in Italia, del centrodestra. Diversamente, se il tentativo di Salvini dovesse essere premiato dalle urne in misura maggiore del consenso dato alla Meloni, nel nostro Paese si aprirebbe una stagione di forte instabilità politica. Sarebbe un déjà-vu.
Nel 2019, alla vittoria salviniana di maggio fece seguito l’estate del Papeete, quella in cui la classe dirigente leghista spinse il suo capo a compiere un inspiegabile suicidio politico rompendo nel momento sbagliato il patto di governo con i Cinque Stelle. Si dice che errare sia umano, perseverare diabolico. Si spera che Salvini abbia imparato la lezione del 2019 e non pensi di commettere il medesimo errore. Perché ciò non accada è necessario che il leader leghista non perda la bussola. Ma è parimenti decisivo che gli alleati – forzisti e meloniani – facciano la loro parte nell’evitare che la competizione alle Europee degeneri in una crisi del sodalizio di centrodestra. Ciò comporta un cambio di atteggiamento nei riguardi del leader leghista. Bisogna ascoltarlo – e non lo snobbarlo – quando pone un problema reale nel definire incomprensibili i veti posti dai popolari del Ppe al gruppo di Identità e Democrazia. Come dargli torto quando manifesta il suo dispiacere verso coloro che preferiscono cedere il potere alla sinistra piuttosto che dialogare con i sovranisti?
La prossima primavera va comunque messa in conto la possibilità di un exploit di Identità e Democrazia. I risultati che giungono dalle verifiche elettorali interne ai singoli Stati restituiscono la fotografia di una destra sovranista in forte ascesa ai danni di una sinistra in fase calante ovunque. La vittoria di Geert Wilders in Olanda lo dimostra. Potrebbe, tuttavia, accadere che dalle urne delle Europee non vengano fuori i numeri sufficienti per rifare a Bruxelles il centrosinistra. Soprattutto se, in Francia, il tracollo di Emmanuel Macron dovesse portare all’assottigliamento dei seggi per i liberali – terza gamba della maggioranza “Ursula” – nell’Europarlamento. A quel punto scatterebbe l’opzione a cui lavora Giorgia Meloni: i Conservatori al posto dei socialisti. Ma se neanche con tale formula vi fossero i voti sufficienti per una maggioranza parlamentare a Strasburgo? Bisognerebbe convincere i Conservatori a fare un’ammucchiata con i socialisti in nome dell’opposizione alla montante marea sovranista. E la Meloni starebbe con la sinistra pur nella consapevolezza di causare contraccolpi nel suo elettorato? Di certo, lascerebbe uno spazio alla sua destra che l’alleato leghista provvederebbe prontamente a colmare.
C’è di che riflettere. Intanto, siamo al fischio d’inizio. I prossimi mesi ci diranno chi avrà avuto la meglio nel giocare una partita che espone il centrodestra nostrano a non pochi rischi d’implosione.
di Cristofaro Sola