Il salto all’indietro del Pd

giovedì 30 novembre 2023


Sebbene i sondaggi, soprattutto quando sono distanti dagli appuntamenti elettorali, abbiano un valore puramente indicativo, ciononostante essi continuano a confermare la crisi del Partito democratico, ancora di più impantanato in mezzo al guado sotto la guida della pasionaria Elly Schlein.

In particolare, secondo la Supermedia Agi/Youtrend, che elabora un calcolo ponderato dei sondaggi nazionali, il Pd scende di un altro decimo rispetto al rilevamento di settimane fa e si attesta al 19,3 per cento, il dato più basso da marzo quando la nuova segretaria si è insediata al Nazareno.

D’altro canto, come diciamo sin dall’insediamento della stessa Schlein, riportare in auge molto della linea politica di Fausto Bertinotti, il quale come è noto ruppe proprio a causa della svolta moderata del Pds, a cui aveva aderito obtorto collo dopo lo scioglimento del Partito comunista italiano, non sembra costituire una grande novità per i potenziali elettori di un partito sempre in bilico tra riformismo e radicalismo. Tant’è che, proprio come Bertinotti, la Schlein ha tra i suoi cavalli di battaglia la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: il famoso o famigerato “lavorare meno per lavorare tutti”.

Sta di fatto che, per quanto la stessa leader dem ultimamente si stia sforzando di allargare i suoi orizzonti, avendo probabilmente capito che la sua vecchia nicchia radical chic non porta molto lontano, il suo piglio da estremista e, soprattutto, una crescente incertezza e titubanza su alcuni temi del momento – tra cui la guerra in Medio Oriente e le questioni nodali dell’economia – rendono piuttosto debole la sua leadership.

In pratica, alla Schlein manca una linea politicamente spendibile, sulla quale costruire una alternativa credibile all’attuale maggioranza di governo. Invece, sotto la sua direzione il Pd prosegue la navigazione a vista nel bel mezzo di una nebbia programmatica, il che, sempre secondo i sondaggi, lo tiene inchiodato sotto la soglia di guardia del 20 per cento.

Certo è che dopo i fasti della vocazione maggioritaria di Walter Veltroni e la sfolgorante meteora di Matteo Renzi, che alle Europee del 2014, con il 40,81 per cento dei consensi, ottenne un risultato mai raggiunto da altri, si tratta di un enorme salto all’indietro.


di Claudio Romiti