lunedì 27 novembre 2023
L’ultima doppietta secca è andata a segno prima in Argentina (facendo, dicono, arrabbiare Papa Francesco) e dopo in Olanda. Poi si vedrà. La destra vince alla grande. Un esempio utile, per intendersi, è la differenza fra Antonio Tajani e Matteo Salvini. Lasciamo per ora tranquilla, si fa per dire, la “sora Giorgia” (copyright del geniale Dagospia) che viaggia di corsa (è sempre di corsa, non nel recinto fra via della Scrofa e Palazzo Chigi, ma da Roma a Berlino indi al Cairo, a Zagabria, in Marocco e via girando, come una trottola, vestita sempre con classe). Stavamo dicendo che se dovrà accasarsi per le elezioni europee, lei già è la presidente dei conservatori, i quali sono certamente di destra ma diversi ancorché, poco europeisti, soprattutto se non sono al Governo. Ci siamo capiti.
Certo che il sovranismo ha segnato tanti punti. Ed è uno degli assi su cui ruotano o poggiano tutte le destre, perché è altrettanto certo che l’Europa, con le sue strutture burocratiche o gestionali o finanziarie, non naviga in acque tranquille, stimolando i governi a una retrocessione di quello che fu lo spirito europeo. E che ebbe una grande leader, forse l’ultima, a farlo spirare come vento favorevole. Diciamo Angela Merkel, poi il silenzio, a parte qualche movimento di Emmanuel Macron che gioca una partita per conto suo, forse un po’ malinconicamente romantico. Novembre è il tempo dell’immortale Les feuilles mortes. Lungi da noi un’analisi approfondita che altri più bravi stanno elaborando, non fosse altro perché, se una mezza Europa sarà di destra e quindi anti-Europa, i due corni del problema sono destinati a cozzare. Senza che la politica trovi una via d’uscita a questo tunnel. La politica, dunque, la bella sconosciuta o, meglio, scomparsa o quasi, giacché una delle concause degli avvenimenti di cui parliamo è l’estrema debolezza di una politica forte, capace, orgogliosa di se stessa, dal lungo sguardo in avanti, dalla visone reale dei problemi senza gli abbandoni alla globalizzazione, che tutto avvolge e tutto silenzia. Solo il pensiero della massa imponente di astenuti dovrebbe innescare fasi nuove e nuovi orgogli, rispetto a un distacco e a una diffidenza destinati a crescere.
L’anno prossimo ci sono le Europee. Ci mancano i grandi leader, che sono indispensabili perché in grado di volare alto. Capaci, appunto, di esprimere forze, obiettivi, progetti, realizzazioni a fronte di interi popoli oggi assorbiti dalla modernizzazione, che spesso si traduce nella finta rivoluzione dei social network che stanno distruggendo ogni rapporto interpersonale, esattamente come i cellulari onnipresenti sostituiscono persone, incontri e contatti con una sorta di metafisica del soggetto. Grandi leader: cancellati o assenti per ragioni naturali. Ma è lecito chiedersi se i Konrad Adenauer, i François Mitterrand, i Bettino Craxi, gli Alcide De Gasperi, i Charles de Gaulle e appunto una Angela Merkel, con una Margaret Thatcher e lo stesso Silvio Berlusconi – e ne dimentico altri – avendo a che fare con problemi colossali, avrebbero avuto bisogno di social, talk-show o cellulari per darci il grande progetto dell’Europa? Il fatto è che tutte queste debolezze estreme segnalano il distacco più pesante e preoccupante: quello con l’Occidente, con la nostra vera Patria, le nostre radici, la nostra cultura, le nostre battaglie e i nostri ideali. Questi doni sono consumati passo dopo passo, mentre l’invasione dell’immigrazione, senza averne predisposto progetti in anticipo, aumenta disagi, preoccupazioni e paure. Sullo sfondo di un mondo islamico tanto pieno di soldi e di patriarcato, quello vero, quanto ricco di avance verso i nostri Paesi. A cominciare da Israele. Per ora.
di Paolo Pillitteri