lunedì 27 novembre 2023
Con tutto il rispetto per le donne uccise nell’ambito dei rapporti di coppia, secondo il prefetto di Padova, Vincenzo Messina, il loro numero sarebbe assai più basso di quello che viene sbandierato soprattutto da alcuni ben noti professionisti delle emergenze, in gran parte di area progressista: 40 in luogo delle 107 vittime conteggiate, le quali rappresenterebbero il totale di tutte le donne italiane assassinate dall’inizio dell’anno.
Comunque sia, anche conteggiando tra i femminicidi l’intera platea di queste poverette, il nostro Paese si troverebbe comunque agli ultimi posti in Europa sul piano di questa fattispecie di reato. Ciononostante, la particolarità della tragica morte di Giulia Cecchettin, anomala rispetto ad altre vicende della cosiddetta violenza di genere, in cui generalmente l’uccisione rappresenta l’ultimo atto di una escalation di violenza, ha scatenato un vero e proprio terremoto mediatico, riverberandosi inesorabilmente sul mondo politico. D’altro canto, dal momento che la stessa cultura progressista esercita ancora una sorta di egemonia nel mondo dell’informazione, dettando di fatto l’agenda delle varie emergenze (basti pensare a quella climatica, su cui molti autorevoli scienziati nutrono seri dubbi, o a quella delle morti sul lavoro, stabili da oltre 30 anni e che pure qui ci vedono piuttosto in basso nella classifica europea), l’orrenda vicenda della povera ragazza veneta ha fatto da stura alle peggiori tendenze radicaleggianti e assai utopistiche dei citati, sinistri professionisti dell’emergenza.
Costoro, in sostanza, dichiarano di battersi per sconfiggere definitivamente la cosiddetta violenza di genere, assumendo, non si sa bene su quale base, che il problema da sradicare sarebbe la cultura patriarcale, la quale sarebbe ancora dominante in Italia. Cultura patriarcale, che a mio avviso in questo momento rappresenta qualcosa di simile all’Araba fenice, la cui sinistra asserzione deriverebbe da alcune dichiarazioni espresse da Elena Cecchettin, sconvolta dalla tragica scomparsa dell’amata sorella.
Ebbene, tirando le somme di questo quadro, a dir poco sconclusionato, vista la ridotta dimensione del fenomeno – sebbene anche un solo morto rappresenta sempre un dramma per l’intera società – dovremmo concludere che l’obiettivo finale dei più accaniti sostenitori di questa campagna, a cui si sono aggregati sciacalli mediatici di ogni tipo, dovrebbe portare all’azzeramento dei citati femminicidi. E, visto che ci siamo, per non farci mancare nulla, bisognerebbe anche eliminare i maschi assassinati, i quali, per la cronaca, rappresentano a oggi circa il 65 per cento degli omicidi commessi in Italia. Tutto ciò ancora una volta mi riporta alla mente un celebre aforisma di Ferdinando Martini, che fu governatore dell’Eritrea dopo il disastro di Adua del 1896: “Chi dice che gli italiani – di una certa sinistra aggiungo io – non sanno quello che vogliono? Su certi punti, anzi, essi sono irremovibili. Vogliono la grandezza senza spese, le economie senza sacrifici e la guerra senza morti. Il disegno è stupendo, forse è difficile da effettuare”.
di Claudio Romiti