Andare sopra le righe e lasciare le cose come prima

mercoledì 22 novembre 2023


È chiaro che l’assassinio di Giulia Cecchettin sollevi un’ondata di emozione e di protesta. E, a ben vedere, è un dato positivo in una società molto indifferente che in questi giorni è stata catapultata su un’ondata di media e di piazze francamente sopra le righe che, in realtà, è tipica di noi latini. Ed è altrettanto chiaro che la figura del presunto assassino, Filippo Turetta, sia giustamente trattata come quella di un soggetto tanto più sanguinario quanto più omicida accanito contro una inerme ragazza. La sua ex ragazza. Semmai, il problema nasce quando l’inevitabile eccesso di informazione del delitto si scompone in tante scene horror, ripetute all’infinito dai mass-media, accompagnate dalle considerazioni “femministe” e dalla più varie, più esagitate proposte e improvvisate considerazioni – ma anche giudizi –che pare facciano dei maschi italiani dei potenziali criminali. Il tutto finisce, spesso, in risse furibonde lasciando però, come ben sappiamo, le cose come stanno. Del resto, senza riflessioni si va a ruota libera e non ce ne è per nessuno.

Bisogna pur dire che, senza alcun dubbio, sono stati compiuti dei grandi passi in avanti sul tema delle “donne” in Italia (e in Europa), le quali hanno conquistato ruoli, funzioni e sedi decisionali inimmaginabili quaranta-cinquanta anni fa, dimostrando che la superiorità dell’uomo è cosa antica e superata, se non ridicola. Chissà se la pensi così (di nascosto) la donna che incontro ogni mattina, con il viso ben coperto e accompagnata da un uomo che, mi confermano, sia di nazionalità libanese. Il problema hic et nunc sollevato dall’assassinio di Giulia ci ricorda, bensì, che il male è dentro l’uomo, essendo tuttavia diverso nel suo cupo fondo. E la figura laida del presunto omicida ci parla di un soggetto che denoterebbe le non qualità di uomo frustrato e “umiliato” dalla indubbia superiorità di Giulia e, a ogni modo, con quel suo sottofondo di insospettato maschilismo incapace di accettare una decisione che non gli piace. Un “no” che, a quanto pare, avrebbe scatenato i peggiori istinti. La tragedia di Giulia si inquadra in un contesto di femminicidi che fa impressione, che suscita indignazione e che richiede provvedimenti, attenzione, comportamenti da seguire. Ma al di là di vie e piazze tumultuose – riconducendo i ragionamenti e i provvedimenti in un quadro di dati effettivi – va pur detto che, dalle statistiche recenti dell’Onu, laddove si citano i tassi dei casi al mondo di femminicidio in ambito familiare, il dato più basso è quello dell’Italia. Il che non assolve una società come la nostra, qua e là ancora intrisa di maschilismo.

L’ultima tesi accusatoria ha colpevolizzato un presunto patriarcato (in antitesi al matriarcato?). E si inquadra in questa tecnica “a chi la dice più grossa”, pur col suo sapore di controinformazione moderna, à la page, colta. E tuttavia, anche in questa ennesima svolta del dibattito, quella del patriarcato non solo non convince ma è finalizzata a un ampliamento, se non a una battuta da talk show, della questione che ha alla sua base un caso di femminicidio. Se da questo si trasvola verso un’accusa sociologica e politica generale, tipo il patriarcato, il rischio è di non voler o poter guardare con maggiore attenzione e predisposizione critica al fatto stesso, che è appunto uno (non unico, naturalmente) e, successivamente, alle conclusioni cosiddette politiche.

Che debba essere posto un attento sguardo sulla famiglia nella sua dimensione italiana è indiscutibile, come lo è il ruolo della scuola, non meno di quello della cultura. Ma il ruolo più incisivo non può che essere quello scolastico. Insomma, il patriarcato è tema per dir così biblico e quindi afferrabile, a chi piace, come proposta nel cosiddetto volare alto rispetto a un caso di femminicidio di cui, allo stato, manca la “versione” del presunto assassino per completare i quattro quinti del quadro di sangue e di vergogna. Certo, la scuola può e deve fare molto come luogo primario di educazione ma anche la famiglia dovrebbe impegnarsi più da vicino nei confronti dei propri figli. Innanzitutto, non dimenticandoli o lasciandoli andare, come si dice, a fare quello che vogliono senza un minimo di educazione impartita fin dall’inizio. Il che richiede padri presenti e non presunti, altro che patriarcato in una società dove i ruoli paterni sono quanto mai elusi e i padri sono assenti e i laissez faire, laissez aller rappresentano la regola. Cosicché, scompaiono i rapporti interpersonali, peraltro messi a tacere dall’uso sproporzionato ma comodo dei cellulari.

Si dovrebbe a questo punto gettare uno sguardo sui media, di cui tivù, cinema e social anarchici sono lo specchio deformato di fatti, persone, rapporti, società in cui la violenza (vedi la tivù), anche la più feroce e la più gratuita, fa grondare sangue mediatico da mane a sera. Si sa, per ragioni di audience. Potremmo andare avanti all’infinito e qualcuno ci potrebbe lanciare una volontà censoria, in un contesto nazionale – e internazionale – ricco di bavagli, compresi quelli di chi alza troppo la voce, generalizzando e pontificando a destra e manca. Lasciando le cose come stanno.


di Paolo Pillitteri