martedì 14 novembre 2023
Poteva andarci peggio, a sentire l’ultimo comizio di Beppe Grillo. Per fortuna, ci siamo. E ci restiamo...
Il bello è che nell’ultimo exploit con Fabio Fazio (il comico genovese non andava in tivù dal 2010, intervistato da Bruno Vespa) Beppe ne ha dette di cotte e di crude contro i “suoi grillini” ma, forse, è mancato alla sua artistica alterigia il capo un po’ più chino per i disastri che lui stesso ha arrecato alla politica e al Paese. Dai quali ci siamo salvati, anche se la politica tout court ne ha subito una piaga che sanguina tuttora.
Ebbene sì, noi lo dicevamo e l’abbiamo scritto tante volte, ma non ci saremmo mai immaginati che fosse proprio lui in prima persona a rivolgere una inesorabile critica, questa volta contro sé stesso e, ovviamente, contro la sua banda. Ma la frase choc è storica: “Io ho davvero peggiorato il paese! (sic)”. È proprio così.
“È un bell’uomo – riferendosi poi a Giuseppe Conte – laureato, con un super curriculum. Poi all’inizio quando parlava si capiva poco, quindi era perfetto per la politica...”. Di Luigi Di Maio, un tempo soprannominato “la cartelletta”, ha ricordato che era il politico più preparato “ma non ci aspettavamo che si facesse prendere così dal potere”. E a proposito dell’attuale Esecutivo: “Questo Governo è una decalcomania, più gli sputi addosso più si appiccica”, ecc. ecc.. L’invettiva più sottile ma forse la meno opportuna è per l’avvocato Giulia Bongiorno, legale di parte avversa nel processo per stupro a carico del figlio: “Fa dei comizietti di fronte al tribunale dove si discute una causa a porte chiuse; è inopportuno”.
L’one man show di Grillo sembra come chiudere l’avventura del suo Movimento (nato anche e soprattutto con le idee e gli stimoli di Gianroberto Casaleggio), ma la sostanza più vera e concreta deriva proprio dal fallimento di quelle “idee” che consistevano, in sostanza, in una opposizione senza limiti ai governi, a chi fa politica, al potere. E non solo.
È su tale aspetto che il giudizio non può che essere di molto negativo, irrimediabile appunto. Perché con l’arrivo di Grillo vi è stato l’avvento sul palcoscenico nazionale di una contro-politica (o non-politica) che ha minato alle basi il senso, il significato e l’opera della Polis, che sta non soltanto nell’insieme di più persone dalle stesse idee ma, soprattutto, dai programmi, dalle realizzazioni, dalle azioni, dai comportamenti dei loro “esecutori” e dai loro atteggiamenti (rapporti) con gli avversari.
La voluta trasformazione dell’avversario in nemico è la prima delle operazioni compiute dal capo dei Cinque Stelle accompagnando questa sorta di guerra senza tregua con una costanza di comportamenti alla cui base stava l’insulto, la denigrazione, la preconcetta ostilità, l’avversione se non l’odio. Ecco, una forma di odio si è quasi sempre intravista in molti dei comportamenti di Grillo e dei suoi. Ma sta in questa voluta omissione, in questa dimenticanza di una colpa, di una intollerabile responsabilità comune per il disprezzo dell’avversario, sia questo il Governo o un parlamentare o un politico, il grave e colpevole limite dell’ultimo one man show di Grillo.
Perché, diciamolo inter nos, l’attrazione (la fame) del potere è una voce irresistibile alla quale nessuno è in grado di resistere e tantomeno i seguaci del comico genovese che, con la Presidenza del Consiglio a Conte, hanno raggiunto il non plus ultra del potere. È in questo specchio che la rentrée di Grillo in Che tempo che fa si è riflettuto – al di là, appunto, dei tentativi di un’auto-riabilitazione fuori tempo massimo – il tramonto di uno dei protagonisti d’antan di una politica che proprio lui si era impegnato a svuotare di senso e di significato colpendola a fondo in nome di un niente gridato e, purtroppo, esaltato da non pochi in questo Paese. Ma, come si diceva all’inizio, siamo rimasti vivi.
Eccoci al redde rationem, al cammino all’indietro di uno che si proclamava totus politicus alla sua più vera e triste realtà di comico.
Che non fa ridere.
di Paolo Pillitteri