venerdì 27 ottobre 2023
Che gusto si prova ad avere nelle proprie mani la vita di altri esseri umani? Intendo qui la vita non in senso biologico, perché, da questo punto di vista, il potere è stato esercitato nei secoli da moltissime persone in modo più o meno autoritario (fino alla pena di morte), ma la vita in senso umano, relazionale, sociale, familiare, psicologico.
Questa domanda sorge spontanea in questi giorni, mettendo a confronto due vicende di cronaca che vedono come protagonisti persone fra loro molto lontane quanto ad attività svolta, a cultura, a sensibilità: da un lato, Nicola Gratteri, nuovo Procuratore capo di Napoli e, dall’altro, Antonio Ricci, sceneggiatore ed autore televisivo di “Striscia la notizia”.
Nel corso di una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, Gratteri ha affermato di aver fatto arrestare un suo compagno di giochi in campagna, perché aveva un arsenale di armi, dando la sensazione di rivendicare un tale operato quale prova della sua imparzialità e come se questa avesse bisogno di essere dimostrata.
Ricci invece ha rivelato che era in possesso dei “fuorionda” di Andrea Giambruno – che gli sono costati la fine del rapporto con Giorgia Meloni, forse con Mediaset e un deferimento all’Ordine dei giornalisti – da parecchi mesi e di aver deciso di pubblicizzarli adesso, infastidito da un servizio di un settimanale troppo encomiastico verso il compagno del Presidente del Consiglio.
Cosa accomuna queste due vicende, in apparenza così lontane?
Probabilmente, una marcata indifferenza verso le relazioni umane, la cui origine mi guardo bene dall’ipotizzare, ma che si lascia cogliere come uno dei segni distintivi del nostro tempo, che chiedono di essere presi sul serio.
Infatti, per un verso, Gratteri non ha esitato ad usare un potere concessogli dalla legge per riqualificare, per dir così, una relazione umana da lui intrattenuta da ragazzino con un certo soggetto, poi scoperto quale malvivente – da positiva in negativa – chiedendo e ottenendo che costui fosse arrestato.
Dal momento che in chiave giuridica il comportamento di Gratteri appare ineccepibile, cosa c’è ancora da capire? C’è da capire che proprio perché la vita lo aveva messo di fronte a questa inedita situazione che lo induceva a riqualificare il tenore di un antico rapporto umano, egli meglio avrebbe fatto ad evitare ogni obbligo in tal senso, semplicemente astenendosi dal suo ufficio “per gravi ragioni di convenienza”: chi giudica i comportamenti altrui è chiamato a qualificarli giuridicamente e ciò basta e avanza: mai a ri-qualificarli. Se ciò è concesso dal diritto, non lo è dalla coscienza.
Ed è singolare come il diritto – di solito ritenuto cieco e sordo ad ogni ragione non strettamente legale – sappia qui approntare una sorta di uscita di sicurezza, utile proprio ad evitare che si sia costretti – come Gratteri – a dover trasformare un compagno di giochi in un imputato da arrestare.
Ma a questa trasformazione, pur di asseverare la propria imparzialità, Gratteri sembra esser rimasto indifferente, perché non gli procura forse abbastanza sofferenza, che possa indurlo anche a versare qualche lagrima, visto che nella stessa intervista, a precisa domanda, egli risponde che non piange mai.
Eppure, ogni tanto qualche lagrima serve a detergere, più che gli occhi, l’anima, per evitare non solo di fare alcune cose legittime ma umanamente problematiche, ma anche di raccontarlo poi in pubblico come nulla fosse: spesso le lagrime, lungi dall’esser segno di debolezza, lo sono di sensibilità umana, di partecipazione al destino dei più fragili e il tacere ciò che a volte si è costretti a fare segno di balsamico (per la sensibilità umana) pudore .
Dal canto suo, Ricci – novello Minosse dantesco – si compiace di detenere un potere forse ancora più pervasivo ed esclusivo: quello di pubblicare, a sua assoluta discrezione, fuorionda di questo o di quello, con l’effetto di produrre a volte la completa rovina sociale e lavorativa del malcapitato.
Difficile immaginare quale archivio di audio e di video possa oggi essere in suo possesso, ma già soltanto ipotizzarlo produce un senso di inquietudine per il semplice motivo che nel modello sociale oggi in vigore è sufficiente che uno soltanto di essi sia pubblicato per rovinare un essere umano.
La cosa davvero singolare è che di questo potere assoluto ed arbitrariamente esercitato, Ricci sembra soddisfatto: a partire da quale idea di essere umano? Da quale ipotesi di rapporto umano? Da quale visione del mondo?
Nel caso in specie, Ricci si è quasi giustificato preconizzando che fra qualche anno la Meloni lo ringrazierà. E per che cosa? Per aver messo in piazza le debolezze del suo compagno? Per aver pubblicamente crocifisso il padre di sua figlia? Per averla costretta ad una dolorosa separazione personale attraverso i mezzi di comunicazione?
E se anche fossero queste cose buone, forse che un effetto buono può giustificare un mezzo moralmente cattivo per perseguirlo?
Come dire, estremizzando: ho ammazzato il mio vicino di casa; però era un malfattore da eliminare. Al contrario di quanto sembra pensare Ricci, il fine non giustifica mai i mezzi (espressione che, al contrario di quanto si crede comunemente, Machiavelli mai adoperò).
Non mi illudo che le osservazioni qui avanzate – il che inquieta assai – susciteranno un qualche sussulto di coscienza negli attori di queste vicende.
Essi continueranno beatamente e tranquillamente a fare in futuro ciò che hanno fatto fino ad oggi. A riprova che l’intelligenza non basta. Occorre qualcosa d’altro che purtroppo costoro sembrano non possedere.
di Vincenzo Vitale