giovedì 5 ottobre 2023
Nei programmi enunciati in varie sedi e occasioni dalla presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, il secondo anno del suo Governo dovrebbe essere dedicato alle grandi riforme. Tra le prime, dovrebbe esserci quella costituzionale, per calibrare meglio i rapporti tra poteri e istituzioni dello Stato. Centrale, negli enunciati, dovrebbe essere il presidenzialismo, cioè la riscrittura dei rapporti tra Capo dello Stato e Governo.
Si discute tra presidenzialismo puro “all’americana”, o semi-presidenzialismo “alla francese”. Giorgia Meloni ha dichiarato una certa indifferenza a questa scelta, perché l’importante sarebbe che i cittadini potessero avere la sicura possibilità di scegliere i governi senza essere fregati, poi, dalla partitocrazia con ribaltoni arbitrari. Tutte due le forme, a suo dire, andrebbero bene per questo fine. Nel dettaglio, sembra preferire il sistema semi-presidenziale francese, poiché raccolse il consenso anche di forze oggi all’opposizione. Sceglierebbe, così, la via di minore resistenza.
Però gioverebbe chiarire a lettori liberali la differenza. Nel presidenzialismo puro “all’americana” gli elettori scelgono direttamente il Capo dello Stato, il quale ha poi la pienezza dei poteri esecutivi: sceglie lui l’indirizzo nelle varie politiche di competenza dell’Amministrazione, che attua attraverso i suoi ministri. Lui li nomina, a lui rispondono e il Parlamento, sul Governo, non ha alcun potere. Il suo Esecutivo, però, non ha nessun potere legislativo. Questo spetta solo al Parlamento. Niente decreti legge o legislativi: solo decreti esecutivi, cioè di mera esecuzione di norme di legge, senza nessuna variante normativa. Se ci dovesse provare, come negli Stati Uniti d’America ha provato più di qualche presidente, qualunque giudice dichiarerebbe nullo il provvedimento. È, cioè, il presidenzialismo puro: la garanzia della separazione, netta e totale, dei poteri.
Nel semi-presidenzialismo “alla francese”, invece, il Capo dello Stato è eletto dai cittadini ma nomina un presidente del Consiglio dei ministri, il quale forma un Governo che deve comunque avere la fiducia del Parlamento, pur se le scelte fondamentali di politica estera e interna vengono dettate dal Capo dello Stato. Questi, inoltre, conserva il potere di legiferare per decreto, anche se poi il Parlamento deve votare su quelle norme. Non si tratta di perseguire una separazione costituzionale tra poteri, ma di un delicato bilanciamento che, come succede con tutte le bilance, se oscilla troppo può entrare in crisi. Per risolverla, un principe-presidente può riuscire anche a farsi imperatore, come successe a Luigi Napoleone-Napoleone III, ma non riuscì a Charles de Gaulle.
Renato Altissimo ammonì, in un dibattito interno nella allora sede del Partito Liberale in via Frattina, perché di queste cose se ne discute da sempre, che la Costituzione degli Stati Uniti d’America è quasi identica a quella degli Stati Uniti Messicani. Quello che conta è anche il tipo di società da regolare, altrimenti si corre il rischio di sognare il Nordamerica e di risvegliarsi invece in Messico. Oggi c’è anche la possibilità di ridestarsi nella Federazione Russa, perché anche quell’ordinamento è simile.
di Riccardo Scarpa