Immigrazione di massa e diritto degl’Italiani

venerdì 29 settembre 2023


...al tempo che passaro i Mori d’Africa il mar, e in Francia nocquer tanto...(Ludovico Ariosto, Proemio dell’Orlando Furioso)

L’afflusso disordinato di popolazioni africane sulle coste italiane, specialmente sul ventre molle dell’eroica Lampedusa, pone problemi che sarebbero in astratto pure risolubili se in concreto non suscitassero due mali politici: la paura, il sentimento più deleterio per la vita di una nazione, e la faziosità, il pregiudizio peggiore per un governo democratico.

L’approdo crescente di migliaia e migliaia di esuli pone agl’Italiani problemi di varia natura: umanitari, economici, costituzionali, morali, sui quali non esiste consenso e impossibili da risolvere in base a ciascun convincimento soggettivo, sebbene in democrazia una decisione inglobi anche qualcosa del punto di vista d’altri.

Attenendosi ai precetti costituzionali, al senso di umanità, alla morale religiosa oppure laica, alle necessità economiche, può capitare di fare bella figura nei consessi internazionali, nei Consigli dei ministri, nelle sedute parlamentari e nei talk-show, ma non di cavare un ragno dal buco, neppure per metà. L’emigrazione di massa africana verso l’Europa, della quale la penisola italiana rappresenta anche geograficamente una sorta d’ancora di salvezza per gli emigranti, non richiede il sospetto di complotti per essere spiegata, dal momento che la spiegazione è in re ipsa e non ha una causa unica.

A Niccolò Machiavelli, che pure spesso sembra non aver insegnato nulla, nel mondo reale parve “più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa”. Anche l’imponente fenomeno dell’immigrazione dal Nord Africa conviene riguardare con la lente machiavelliana e, alle strette, con spirito machiavellico. Tre sono i punti indiscutibili, comunque considerati: il primo, tutte le politiche finora attuate non hanno comportato la riduzione del fenomeno, bensì l’accrescimento; il secondo, le barche utilizzate dagli emigranti per la traversata del Mediterraneo non sono di loro proprietà; il terzo, la migrazione avviene con il consenso o la connivenza o la protezione o lo sfruttamento delle autorità costiere africane: più precisamente, con la commistione dei quattro atteggiamenti.

Gli emigranti hanno il “diritto” di emigrare? La risposta è sì, le leggi dei loro Stati lo consentano oppure no. Lo Stato italiano ha il dovere di accoglierli? La risposta è no, salvo l’eccezione del “diritto d’asilo” riconosciuto espressamente dall’articolo 10 della Costituzione allo straniero “al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. I cittadini di Stati extra Ue possono entrare in Italia con passaporto e visto d’ingresso e permanervi con il permesso di soggiorno. L’articolo 10, ispirato all’evidenza dalla ragione politica di accogliere singoli perseguitati in nome della libertà, non criminali nei Paesi d’origine, non fu pensato per la fuga d’intere popolazioni di rifugiati per fame, povertà, regimi illiberali. Oggi esistono una Convenzione e un Protocollo sullo status dei rifugiati, documenti richiamati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. “Il principio fondamentale è quello del non-refoulement, che afferma che nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate. Oggi è ormai considerato una norma di diritto internazionale consuetudinario”. Questo principio non equivale affatto al dovere indiscriminato di accoglienza, come sostengono alcune tesi correnti e partiti che vi s’ispirano, a parte l’estrema difficoltà di stabilire il dove, il quando, il come “la vita o la libertà del rifugiato potrebbero essere seriamente minacciate”. Ai rifugiati vengono riservati trattamenti legali e materiali i più disparati, fino all’abbandono per strada.

Su questo impianto di disposizioni della Costituzione, delle norme internazionali generalmente riconosciute, dei trattati internazionali, del diritto comunitario, dei patti tra governi Ue sono proliferati a dismisura leggi e provvedimenti il cui unico risultato consiste nell’incertezza e nella frammentarietà del trattamento legale riservato dall’Italia ai malcapitati sul nostro suolo patrio. Il Testo Unico sull’immigrazione è “unico” all’italiana, essendo sfilacciato in mille codicilli e prassi. Il tutto sempre ondivago e cangiante al ritmo degli sbarchi e dell’allarme, ingigantito o sminuito dai media e dai partiti a seconda delle rispettive convenienze politiche.

Insomma, grande è la confusione, incerto il daffare, precipitoso il farlo. L’unica verità effettuale è che nessuno, per tanti motivi d’ogni genere, vuole o sa prendere il toro per le corna e realizzare il necessario.

Lao Tzu e Machiavelli, distanti duemila anni, concordano tuttavia sul punto che tutte le cose cominciano piccole per poi diventare grandi e incontrollabili. È quello che sta accadendo al fenomeno migratorio. Lo Stato, che lo subisce, contribuisce ad ingigantirlo fronteggiandolo con metodi e mezzi inadeguati, obbedendo alla pressione politica del “non va fatto” e giuridica del “lo vuole il diritto interno ed internazionale” e umanitaria del “la vita umana innanzitutto”. Tolleranza e scrupoli verso il fenomeno migratorio sono assimilabili al medico pietoso che renda mortale la ferita, sebbene siano parte integrante dell’ortodossia prevalente.

Per la “Fattoria degli animali” George Orwell scrisse un’introduzione, poi soppressa, intitolata “La libertà di stampa”, un piccolo gioiello da leggere e rileggere. Vi era scritto: “Chiunque sfidi il conformismo corrente, si troverà zittito con efficacia sbalorditiva. Un’opinione che vada veramente controcorrente, non ottiene quasi mai la giusta considerazione, né sulla stampa popolare né su quella intellettuale” (Orwell, 1982, pag. 27). Nove anni fa, per l’appunto, allorché il fenomeno migratorio era ancora alquanto “piccolo” e il Governo era nelle mani della sinistra, scrissi a Sergio Romano questa lettera: “L’operazione Mare nostrum suscita legittimo orgoglio per la marina militare che salva e per l’Italia che accoglie i disperati. Tuttavia la brutalità e l’ingordigia degli scafisti non possono essere represse da occasionali arresti a cose fatte. È evidente che costoro sono parte di un’industria, come i negrieri d’un tempo. Senza la connivenza e la cointeressenza delle autorità locali, il traffico sarebbe impossibile. Nell’immediato, i barconi individuabili vuoti sulle coste di partenza devono essere distrutti da azioni di commando. Ne abbiamo gli uomini, i mezzi e il diritto. Ovviamente uno Stato degno del nome queste cose le fa e non le dice. Gli scafisti e i loro manutengoli capirebbero l’antifona. E anche le autorità del posto. Nato e Ue non ci aiuteranno. Dobbiamo farlo da soli. E le lacrime sono di coccodrillo” (Corriere della Sera, 2 luglio 2014)

Adesso mi guardo bene dall’esagerare la mia profezia perché era troppo facile prevedere quello che sarebbe accaduto e accade oggi sotto i nostri occhi. Anche il governo di destra annaspa tra visite e donativi ai governanti compiacenti con gli scafisti e compiaciuti delle cortesie, mentre il fenomeno diventa sempre più ingestibile, inquietante, dispendioso. La stupida autoconsolazione, che ritiene questa immigrazione di massa alla stregua di un fenomeno naturale inarrestabile come la lava, costituisce in realtà una confessione d’impotenza. Invece lo Stato deve agire, ma non pagando un pizzo ai governi mafiosi, bensì considerando “atto ostile”, come è, il loro chiudere un occhio e perciò deve aprirglielo con le buone o con le cattive. Lo Stato deve riconoscersi in conflitto con tali governi che contro di noi muovono l’offensiva con mezzi subdoli, non bellici ma sicuramente ostili. Non serve il blocco navale, che, fattibilità a parte, costituisce un aperto atto di guerra guerreggiata e qui sarebbe inammissibile, ingiustificato, sproporzionato. Occorrono bensì reazioni e ritorsioni mirate e adeguate all’atto ostile. È legittima difesa tra Stati.

Non ho cambiato idea, grosso modo. Il fenomeno, stando così le cose, non sarà risolto con le buone intenzioni, con la “condivisione”, con leggi e provvedimenti, necessariamente sempre in fieri, ma con comportamenti funzionali e lecite vie di fatto. Se non impareranno a temerci, almeno un po’, continueranno a comportarsi slealmente. Giungeremo al punto che disordini e morti sul nostro suolo ci costringeranno a fare peggio, più di quanto con meno avremmo ottenuto a tempo debito. Questi son problemi capitali per la nazione. Bisogna parlarne né a mezza bocca né con gratuita sicumera. Come insegna Orwell, “se libertà vuol dire veramente qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuole sentire”.


di Pietro Di Muccio de Quattro