Habemus Nadef

venerdì 29 settembre 2023


E venne il giorno della Nadef. Il Governo ha licenziato la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza. Si tratta di un salutare bagno di realtà, che obbliga chi guida la nazione a dire ai cittadini la verità sui conti pubblici. A spiegare, senza trucchi e senza inganni, come stiano le cose e, soprattutto, cosa si possa fare e cosa invece no, di là dalle mirabolanti promesse e dagli entusiastici proclami spesi in campagna elettorale.

La Nadef di quest’anno è la prima del Governo Meloni (lo scorso anno il suo Esecutivo non era ancora insediato e toccò a quello uscente di Mario Draghi redigerla). È da adesso in avanti che realmente si parrà la nobilitate di Giorgia Meloni e del centrodestra. Perciò è lecito domandarsi cosa farà di concreto questo Governo per gli italiani. Che, converrete, è assai diverso dal chiedere: cosa ha promesso di fare la maggioranza di centrodestra per il Paese?

Prima che parlino i numeri, registriamo l’approccio di metodo scelto dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per la stesura della prossima Legge di bilancio. Il premier rassicura che la manovra economica, la cui scrittura prende avvio proprio dalla Nadef, sarà all’insegna della serietà e del buon senso. Una premessa eccellente per rendere credibile ciò che presenterà il Governo all’approvazione del Parlamento. E dei mercati finanziari.

La Nadef, intervenendo ad aggiornare il quadro macroeconomico delineato nel Documento di Economia e Finanza, traccia il perimetro entro il quale Governo e maggioranza potranno muoversi per dare all’Italia le risorse finanziarie necessarie per il rilancio della crescita economica. Poiché tutto viene preso in considerazione – stima sul Pil, incidenza dell’inflazione, quantificazione del debito, deficit – la Nadef è lo specchio della realtà. Che non è solo il vissuto quotidiano nel cortile di casa nostra ma tiene conto dello scenario globale e di tutte le variabili che hanno diretta e indiretta incidenza sull’andamento dell’economia nazionale e, a cascata, sui conti pubblici.

Cosa intendiamo dire? Che lì, fuori dell’uscio di casa nostra, c’è una guerra che ci complica la vita e che non possiamo ignorare. Un Governo – qualsiasi Governo – nelle condizioni date ha un’alternativa: lasciarsi travolgere dagli eventi oppure tenere la barra dritta per attraversare indenne la tempesta che gli si para davanti. L’Esecutivo Meloni ha scelto la seconda strada, a discapito della popolarità ottenuta anche grazie alle tante promesse di cambiamento fatte in campagna elettorale. Succede quando, una volta giunti alla guida della nazione, si deve avere il coraggio di dire ai cittadini: ci spiace, si può fare qualcosa ma non si può fare tutto. Ciò comporta che molti resteranno delusi, ma tale è il prezzo che deve pagare una classe politica che voglia andare oltre la consolidata prassi della propaganda finalizzata alla facile aggregazione del consenso elettorale. D’altro canto, non fu Alcide De Gasperi a spiegare che mentre “un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alle prossime generazioni”? E Giorgia Meloni, animale politico nel Dna, ha dato segni fin troppo evidenti che intende candidarsi a essere ricordata nei libri di storia come statista e non semplicemente come capopartito, passata, per una felice congiunzione astrale, da Palazzo Chigi.

E allora i numeri. Il primo dato cristallizzato nella Nadef è quello dell’andamento stimato della crescita del Pil. Dello 0,8 per cento nel 2023; dell’1,2 per cento nel 2024; dell’1 per cento nel 2025 e nel 2026. Con le “locomotive d’Europa” – a cominciare dalla Germania – in frenata, quando non in recessione, non ci si può aspettare di meglio dallo sforzo produttivo del nostro Paese. A stare con i piedi in terra, c’è da ritenere fin troppo ottimistica la previsione di crescita per il prossimo anno. Già, perché se la guerra russo-ucraina continuasse – cosa molto probabile – e, a cagione di essa, il tasso d’inflazione permanesse nella Eurozona a livelli prossimi al limite della sostenibilità, le cose per i Paesi dell’Ue peggiorerebbero notevolmente.

Il dato resta comunque un fondamentale indicatore per gli indirizzi di politica economica. Atteso che il sistema produttivo italiano è fortemente condizionato dagli andamenti della bilancia commerciale, è di tutta evidenza che un calo delle esportazioni debba essere compensato da una significativa ripresa del mercato interno. Perché ciò avvenga è necessaria una rivalutazione del potere d’acquisto dei salari. Bene, dunque, la decisione strategica assunta dal Governo di rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale e la prosecuzione del lavoro sulla delega fiscale che porterà a una riduzione della tassazione a partire dagli scaglioni di reddito più bassi.

Opportuna anche la decisione di prorogare al 31 dicembre 2023 “la garanzia statale fino all’80 per cento per l’acquisto della prima casa delle giovani coppie di età inferiore a 36 anni con Isee non superiore a 40 mila euro annui”. C’è un’emergenza abitativa che incide pesantemente nel determinare il calo demografico. La differenza sostanziale che corre tra un’impostazione di sinistra e una di destra nell’individuazione di politiche finalizzate alla mitigazione degli effetti dell’autunno demografico sul futuro della nazione e della sua economia, sta nella scelta (della sinistra) di agevolare l’ingresso in massa di stranieri nel nostro territorio attraverso l’accoglienza illimitata degli immigrati clandestini contro la linea (della destra) che privilegia tutte le misure funzionali all’incremento della genitorialità nell’ambito delle famiglie italiane. Aiutare i giovani a risolvere il problema primario della casa va esattamente nella direzione indicata dalla cultura politica della destra.

Anche la conferma delle decontribuzioni e degli interventi a favore delle famiglie con figli, introdotte quest’anno, seguono i medesimi indirizzi strategici. Spazio poi ai fondi per garantire il rinnovo dei contratti di lavoro nella Pubblica amministrazione, con particolare riguardo al comparto della Sanità, e per sostenere gli investimenti pubblici, a cominciare da quelli collegati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e alla costruzione delle opere infrastrutturali, tra le quali il Ponte sullo Stretto di Messina.

Questi, dunque, i punti chiave che segneranno la prossima Legge di bilancio. Si sarebbe potuto fare di più? E come? La coperta per quest’anno è cortissima. Già tenendo conto delle poche misure che saranno prese, nello scenario programmatico il deficit sale nel 2023 dal 4,3 per cento al 5,3 per cento. Un punto in più dovuto al costo dei Superbonus edilizi introdotti dai precedenti governi. Ciò significa che le somme disponibili per la manovra 2024 saranno intorno ai 20 miliardi di euro, di cui 14 in deficit. Ciò porterà a un assestamento del rapporto debito/Pil – per il 2024 – al 140,1 per cento.

Riguardo al tasso di disoccupazione, si stima il 7,3 per cento nel 2024, in calo rispetto alla previsione del 7,6 per cento relativa al 2023. Questi dati ci dicono che siamo lontani dalle pretese dell’Unione europea di tenere il deficit italiano entro il parametro del 3 per cento, fissato nell’ambito del Patto di stabilità che, peraltro, resta ancora sospeso per il 2023. Purtuttavia, non è possibile fare diversamente perché è l’interferenza dei fattori esogeni non controllabili, originati dalla fase congiunturale mondiale, a impedirlo. Prima o poi anche a Bruxelles dovranno comprendere che qualsiasi obiettivo l’Unione si porrà, perché venga centrato efficacemente dovrà essere sostenibile. In passato, abbiamo pagato sulla nostra pelle lo scotto di politiche scellerate – e autolesioniste – messe in campo in nome dell’austerity. Errare è umano, perseverare è diabolico. Lo tengano bene a mente i “cervelloni” a Bruxelles.

Fatta la Nadef, adesso si dovrà scendere nel dettaglio dei singoli capitoli di spesa del Bilancio. Tutto bene, dunque? Non proprio. Una piccola delusione il Governo Meloni non ce l’ha fatta mancare. Nel programmare le risorse disponibili, il documento previsionale apposta 2 miliardi di euro alla voce “spending review”, cioè alla revisione della spesa pubblica. Francamente, sarebbe stato auspicabile attendersi qualcosa di più. L’opposizione andrà a nozze, ai fini della bagarre da scatenare nelle aule parlamentari e sui media, con un taglio della spesa improduttiva tanto striminzito. C’è una burocrazia costosa che tiene per la collottola l’imprenditoria nostrana. Un colpo d’accetta secco su questo specifico capitolo sarebbe stato molto salutare per la credibilità del Governo. Evidentemente, Giorgia Meloni non se l’è sentita di spalancare quella porta. Forse per la preoccupazione che sarebbero venuti fuori, tutti insieme, troppi scheletri da gestire con l’approssimarsi della notte di Halloween. Per il resto, il nostro voto a questa Nadef c’è ed è una piena sufficienza.


di Cristofaro Sola