Ritorna lo spettro del 2011

venerdì 22 settembre 2023


Negli ambienti finanziari internazionali comincia a tirare una brutta aria per l’Italia. Il grado d’intensità della perturbazione in arrivo sul nostro Paese lo dà l’indice barometrico dello spread tra Btp decennali e Bund 10Y che già segna un significativo rialzo nelle ultime settimane. Per intenderci: si è passati dai 162,890 punti base della chiusura dello scorso 11 settembre ai 175,070 del 20 settembre. Potrebbe non voler dire niente, ma è così che è cominciata nella sciagurata primavera del 2011. E sappiamo com’è finita.

D’istinto, essendoci scottati una volta, non vorremmo ritrovarci nelle stesse condizioni. Cioè in quelle di una nazione a sovranità limitata, che non è più libera di decidere da chi farsi governare. È vero che nello studio delle dinamiche storiche i parallelismi raramente funzionano, tuttavia, pur non essendo inclini a credere ai complotti, quando la realtà s’incarica di squadernarli ai nostri occhi di osservatori, è impossibile ignorarli.

Giorgia Meloni ha puntato le sue carte su un accordo finanziario con il presidente Kaïs Saïed per bloccare le partenze degli immigrati assiepati sulle sponde tunisine del Canale di Sicilia. Non senza difficoltà è riuscita a convincere la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di seguirla su questa strada. Cosicché in luglio è stato siglato un Memorandum d’intesa Ue-Tunisia che, tra gli altri impegni assunti, prevedeva l’immediata erogazione di 250 milioni di euro a Tunisi perché evitasse la bancarotta delle finanze pubbliche e disponesse dei denari necessari per pagare gli stipendi alle locali Forze dell’ordine che svolgono attività di contrasto al traffico illegale d’immigrati verso le coste italiane.

In questi giorni scopriamo che l’accordo non procede. E perché? Tunisi non ha ricevuto un quattrino di quelli promessi. Grazie al lavoro da segugio di Gian Micalessin, storico collaboratore de Il Giornale, viene alla luce una torbida manovra orchestrata nelle “sacre stanze” di Bruxelles per bloccare l’intesa. L’autore ne è il socialista spagnolo Josep Borrell, vicepresidente della Commissione nonché Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza. A spingere Borrell a imbastire una congiura contro l’Italia non è la fantomatica “Spectre” dei film di James Bond ma la sinistra italiana, presente nell’Europarlamento. La stessa sinistra che, grazie al “soccorso rosso” dei suoi sodali continentali, si prepara a boicottare tutti i possibili accordi con gli Stati nordafricani di partenza degli immigrati irregolari, ipotizzati da Giorgia Meloni sul modello del Memorandum con la Tunisia. A cominciare da quello in via di stesura con l’Egitto di al-Sisi.

Il pretesto addotto dalla sinistra per giustificare il boicottaggio è che in quei Paesi non vi sarebbe la democrazia come la concepiamo in Occidente. Eppure, quando si trattò di rovesciare una montagna di miliardi di euro sul tiranno turco Recep Tayyip Erdoğan, perché trattenesse in casa propria l’onda migratoria siriana, nessuno dei “compagni” emise un fiato. In quell’occasione, era stata la signora Merkel a imporre l’accordo enormemente oneroso per l’Unione europea. Adesso che uno straccio d’intesa la propone Giorgia Meloni, le anime belle del progressismo si ricordano dei diritti umani. Squarciato il velo d’ipocrisia che avvolge la centrale di potere di Bruxelles, anche un bambino capirebbe che lasciare precipitare la Tunisia nel caos per i troppi debiti contratti innescherebbe l’esplosione della bomba migratoria verso l’Italia.

Non è tutto. Nei giorni scorsi, è comparso un velenoso articolo sul Financial Time che decretava la fine della luna di miele del Governo Meloni con i mercati finanziari. L’articolo, a firma della giornalista Amy Kazmin, descrive un mondo delle imprese e degli investitori inquieto e perplesso circa le capacità del Governo Meloni di guidare il Paese in una congiuntura sfavorevole. Ci si immagina che la responsabile di un giudizio tanto severo abbia girato il Paese in lungo e in largo, abbia intervistato una marea di imprenditori prima di emettere la sua sentenza. Invece, si scopre, leggendo il testo, che la signora Kazmin non si è affatto consumata le suole delle scarpe per elaborare la sua analisi sull’Italia ma, per usare un’espressione gergale, si è fermata alla prima taverna.

La fonte delle sue asserzioni è Filippo Taddei, oggi capo economista per l’Europa meridionale di Goldman Sachs. Peccato che la giornalista ometta di dire che Taddei, prima di fare il finanziere di alto bordo, sia stato negli anni tra il 2013 e il 2017 il responsabile economico del Partito Democratico, voluto da Matteo Renzi al suo fianco come fidato consigliere. Aver chiesto a lui notizie sul Governo italiano è stato come chiedere a un marito, sbattuto fuori di casa dalla moglie, notizie sulle virtù della consorte.

Si obietterà: Taddei sarà pure persona di parte e perciò poco attendibile, tuttavia la frenata dell’economia nazionale c’è e non è un’invenzione di un renziano rancoroso per essere stato politicamente trombato, insieme al suo capo. Vero, ma qualcuno si è scomodato a chiedere alla signora Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, se la politica suicida di innalzamento dei tassi d’interesse sull’euro per battere l’inflazione, condotta a tappe forzate dal board della Bce, potesse aver sortito effetti negativi sulla crescita del nostro Prodotto interno lordo? Se lo avesse fatto, avrebbe scoperto che sì, la spirale al rialzo del costo del denaro c’entra eccome con la frenata della nostra economia.

Per tornare al capitolo immigrazione, in queste ore la Francia rafforza i controlli ai varchi di frontiera con l’Italia per evitare che qualche povero Cristo africano riesca ad attraversarli da clandestino. La Germania, da par suo, fa sapere che sospende la procedura di presa in carico volontaria di qualche migrante sbarcato in Italia. Ribadiamo: non siamo di natura complottisti. Ma, come diceva Agatha Christie, un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. E qui siamo oltre i tre indizi. Comunque, ipotizziamo pure l’esistenza di un complotto per defenestrare Meloni prima delle Europee del prossimo anno. Che si fa?

Non si casca nella trappola. Bisogna tenere la barra dritta e restare concentrati sugli obiettivi di medio-lungo termine. Di una cosa si deve essere certi: nessuna congiura di palazzo può essere concepita senza la complicità di una delle componenti della coalizione del centrodestra. Occorre che una sufficiente dose di parlamentari del centrodestra si renda disponibile a rompere l’alleanza per andare ad appoggiare una soluzione del tipo “Governo Monti”, magari in nome di una pelosissima “responsabilità nazionale” alla quale non crederebbe neanche un ubriaco. Bisogna che il centrodestra faccia muro. Fintantoché la maggioranza mantiene i suoi numeri, nessuno potrà nulla. Anche i “poteri forti”, ovunque essi siano annidati, dovranno farsene una ragione.

Ora, la domanda è: reggerà il muro del centrodestra alle pressioni esterne? Inutile negarlo, i sospetti – se sospetti vi possono essere – ricadono principalmente sulla componente forzista della coalizione. In passato è da lì che sono venuti i pasticci più grossi. Silvio Berlusconi non c’è più e per stabilire chi adesso comandi nel partito è sufficiente registrare che le liste dei candidati alle prossime elezioni le stilerà il segretario nazionale, Antonio Tajani, legatissimo alla famiglia del defunto leader. Tajani saprà tenere il punto, anche se le pressioni a interrompere l’esperienza del Governo Meloni dovessero pervenirgli da ambienti della galassia Mediaset? Complicato rispondere. C’è da pregare, perché la tempesta si allontani prima di dover verificare a nostre spese quanto siano solidi gli infissi e le pareti della casa dei moderati.


di Cristofaro Sola