La Sindrome cinese di Beppe Grillo

venerdì 8 settembre 2023


C’era una volta la “Sindrome cinese” e c’è ancora. Solo che è leggermente diversa da quella degli anni Settanta (come la narrò il film omonimo con una scatenata Jane Fonda militante antimilitarista cioè anti Usa-Pentagono), non tanto o non soltanto perché il contesto è cambiato e la storia ancora di più, ma per una sorta di capovolgimento della “questione Cina”, chiamiamola così.

Capovolgimento che sta proprio nell’assunto di un cinesismo-maoismo che negli anni Settanta si schierava in difesa del grande Paese minacciato dal truce capitalismo a difesa di un pericolo nucleare che già allora era apparso a chiunque di buon senso semplicemente fazioso e del tutto ridicolo, pardon, fantascientifico, e che oggi è cosa ben diversa ma altrettanto ridicola.

In fondo è un segno dei tempi che a vantare le magnifiche sorti e progressive e tecnologiche del Paese della Grande muraglia sia un comico prestato, come si dice, alla politica e per essere più precisi alla leggenda(ria) Via della Seta della quale vale l’antica massima: “Che vi sia ognun lo dice, dove sia, nessun lo sa”.

In realtà con la sua uscita il fondatore del Movimento 5 Stelle si è messo in studiato e voluto controcanto rispetto al bravo Antonio Tajani che in trasferta a Pechino ha, a nome del Governo, confermato i buoni rapporti commerciali con l’Impero Celeste in piena modernizzazione digitale, non potendo se non mettere da parte, per l’occasione, i percorsi setaioli che già all’epoca, appena diventato ministro, il grillino Luigi Di Maio evocava inneggiandovi dalla Farnesina.

L’intervento a gamba tesa dell’amico cinese con i suoi peana a dir poco propagandistici e non a caso affidati alla mitica Intelligenza artificiale che parla il mandarino, ha tuttavia un aspetto che meriterebbe delle riflessioni meno superficiali di quelle snocciolate dalla maggioranza dei media italiani che si sono soffermati sulla trovatina grillina di offrire la parallela Via del Basilico. Magari sforzandosi di ricordare, come ha rilevato opportunamente Il Foglio, quanto scriveva sul suo blog qualche anno fa il comico genovese: “Gli italiani sono un popolo fatto di persone che pagherebbero per vendersi”.

Una sindrome, per così dire, cinese.


di Paolo Pillitteri