lunedì 28 agosto 2023
L’imperativo categorico della nuova morale è pensarla tutti allo stesso modo. La regola è quella scritta e dettata dal politicamente corretto. Guai a passare il limite. L’eterodossia è la parola tabù di questo mondo “liquido” il cui unico dogma ammesso alla professione di fede è il relativismo in tutte le forme applicabili al reale. Capirete bene che, vivendo in un sistema culturale in cui basta niente per essere giudicato eretico, la sola comparsa di un “cigno nero”, cioè di una persona notoriamente apprezzata nel suo ambito professionale che mette nero su bianco un pensiero alternativo a quello che passa il convento dell’omologazione di massa; che non si nasconde dietro metafore e perifrasi per dire ciò che pensa; che non teme le conseguenze del suo dire, mi provoca un moto di fanciullesca eccitazione.
L’uscita pubblica del generale Roberto Vannacci con quel suo libro – Il mondo al contrario – ha rotto le uova nel paniere dei benpensanti e ha costretto il pur bravo ministro della Difesa, Guido Crosetto, a disporne l’allontanamento dall’incarico ricoperto di direttore dell’Istituto geografico militare (Igm). Sì, sto con il generale Vannacci e spiego il perché. Trovo inconcepibile che una persona, ancorché alto ufficiale dell’Esercito, non possa esprimere liberamente il suo pensiero su argomenti che esulano dalle materie attinenti all’attività professionale svolta. Trovo inaccettabile che la solita combriccola di (mediocri) intellettuali progressisti si sia arrogata il diritto di censurare il pensiero di Vannacci pur ammettendo, non senza una robusta dose di insopportabile arroganza, di non aver letto il libro incriminato e di non avere alcuna intenzione di leggerlo. E i politici – dolorosamente anche qualcuno del centrodestra – che sono andati dietro agli odiosi guardiani della morale del politicamente corretto? Anche loro si sono abbandonati ai pregiudizi per non prendersi il disturbo di farsi un proprio giudizio del lavoro del generale leggendo il libro.
Sembra di rivivere i tempi del processo alle idee di Oriana Fallaci, riversate nei suoi libri-denuncia. Lei, la più acuta e lungimirante “strega” che i chierici dei nostri giorni abbiano avuto l’ardire di mettere al rogo. E come fu per l’aggressione mediatica alla Fallaci, non ci sto ad assistere inerme alla lapidazione delle idee espresse nel libro del generale Vannacci perché quelle idee sono opinioni e per essere uno che scrive per un giornale che si chiama L’Opinione non potrei mai essere anche se lo volessi – ma vi assicuro, non lo voglio – dalla parte di chi alle opinioni scomode negherebbe ogni diritto di cittadinanza. Trovo inaccettabile che un intero sistema di potere si scagli contro un uomo solo. Sarà un riflesso pavloviano che mi trascino dietro dalle stagioni adolescenziali del mio protestare giovanile, ma proprio non riesco a non simpatizzare con l’attaccato quando una masnada di bulli lo accerchia per sopraffarlo. Trovo inaccettabile l’ipocrisia dei tanti, troppi, sepolcri imbiancati che, per non volere scontentare nessuno dei contendenti, si esibiscono in un triplo salto mortale con avvitamento verbale per dire che: pur riconoscendo al generale Vannacci l’inviolabile diritto a esprimere le proprie idee, lo si censura ugualmente perché, attesa la sua posizione di figura istituzionale di alto profilo, avrebbe dovuto tacere e non esporsi mediaticamente rendendo pubbliche le sue idee.
Ci vuole un bel coraggio e una bilancia parecchio starata per sostenere una cosa del genere. L’”usi a obbedir tacendo, e tacendo morir” vale per i carabinieri. E neanche sempre, visto che quando hanno pescato tra le loro fila una mela marcia non hanno taciuto ma hanno denunciato. I generali è meglio che tacciano, invece ai giudici è permesso di strologare sull’universo mondo? Eppure, non sono anch’essi profili istituzionali? Per decenni i magistrati mediaticamente più esposti non si sono fatti scrupolo di “dettare la linea” agli italiani dalle pagine di quotidiani e di riviste a chiaro orientamento politico – come Micromega – non per affrontare argomenti attinenti alla dottrina giurisprudenziale – generalmente affidati alle pubblicazioni di settore – ma per dire la loro sulla qualunque. Per quei magistrati delle Procure alle luci della ribalta mediatica, che negli anni Novanta si autoproclamarono custodi dell’etica repubblicana, vedersi pubblicato un proprio scritto su Micromega rappresentava un passaggio di status, una promozione al rango di avanguardia intellettuale dell’egemone “cultura della giurisdizione”. Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Antonio Di Pietro, Giancarlo Caselli, Marcello Maddalena, Edmondo Bruti Liberati, Agostino Cordova, ci sono passati tutti da quella redazione del giustizialismo militante, eppure nessuno si è mai azzardato a contestargli le medesime ragioni di opportunità che oggi si vorrebbero addurre a censura dell’iniziativa editoriale di Vannacci.
Sto con Vannacci perché un fior di soldato, con un curriculum più che esemplare, merita rispetto sempre. Anche quando dice o scrive cose urticanti per i benpensanti. Sto con Vannacci perché è un parà nell’anima e, come tale, conosce il senso dell’onore e il corrispondente senso dell’onta, a dispetto di un mondo che ha perso cognizione valoriale dell’uno e dell’altro sentimento. Sto con Vannacci perché il titolo scelto per la sua fatica letteraria – Il mondo al contrario – richiama alla mente, scevro da ipocriti pudori, il titolo di un capolavoro del Pensiero – Il mondo alla rovescia – di Julius Evola. Si tratta dell’opera filosofica che è stata uno degli architravi nella costruzione della mia visione del mondo ed è stata la trama degli ideali della mia gioventù e, per dirla con le parole del compianto Renato Del Ponte: “La preziosa miniera spirituale a cui attingere nei momenti di crisi”. Sebbene non sappia dire quanto consapevolmente, anche Roberto Vannacci ha provato a dimostrare, con il suo scritto, che una Weltanschauung poggiata sul buonsenso e opposta alla marea montante del politamente-corretto esiste. E per questo lo ringrazio. Sto con Vannacci perché, come lui, credo nei valori costitutivi della società strutturata secondo i canoni tradizionali e sono certo di condividere tale credo con la maggioranza degli italiani. Perciò, ugualmente al generale, ho personalmente in odio l’arroganza delle minoranze ideologiche che nel nostro Paese tendono a imporsi con piglio dittatoriale. Sto con Vannacci perché, per quanto non condivida tutte le sue posizioni, sento di sposare il senso profondo del suo messaggio. Sto con Vannacci perché non potrebbe essere diversamente quando leggo espressioni del tipo: “Non sono cittadino del mondo. Non credo alle patrie aperte, ideologiche o a quelle di tutti. A me, che ho vissuto per anni in zone di conflitto lontano dalla mia terra, distante dalla mia famiglia, dai miei affetti e dai miei parenti sognando ogni notte il momento del ritorno, questa fregnaccia non la raccontate”. Sono pensieri che mi appartengono. Del resto, quante volte, a proposito della sulfurea retorica delle “porte aperte” e dell’abbattimento di tutte le frontiere, ho scritto “a me queste stupidaggini non le venite a raccontare”? Sto con Vannacci fin quando continuerà a essere il soldato coraggioso e retto che in questa estate dal caldo asfissiante ha dimostrato di essere. Starei un po’ meno con lui se, lasciandosi irretire dalle sirene dei partiti in cerca di star per le prossime campagne elettorali, decidesse di appendere al chiodo l’onorata divisa e di buttarsi in politica.
Il suo libro è servito a dare una scossa al mondo conservatore, in particolare al partito di Giorgia Meloni, cresciuto nel consenso proprio per aver sostenuto quei principi valoriali ai quali si è ispirato Roberto Vannacci, e che oggi, che è al Governo della nazione, rischia pericolosi sbandamenti in direzione dell’omologazione al pensiero unico del politicamente corretto. La purezza identitaria non esiste nella realtà. Credo la sappia bene il generale Vannacci. Perciò, non sarebbe di alcuna utilità per la causa della destra che l’ennesimo “puro” finisse per contaminarsi con la politica politicante. Il ministro Crosetto, rimuovendolo dall’incarico che ricopriva fino a qualche giorno fa, ha compiuto un atto di giustizia compassionevole. Già, perché la domanda vera che dovremmo porci non è perché Vannacci sia stato rimosso dalla direzione dell’Istituto geografico militare, ma cosa diamine ci facesse lì uno con la sua storia militare alle spalle. Se è vero che, come centrodestra, abbiamo sempre predicato il principio meritocratico dell’uomo giusto al posto giusto, Vannacci non merita processi e messe all’indice per le sue idee né di finire la carriera militare su un binario morto della Pubblica amministrazione. Merita invece la riconoscenza della Patria per i servizi resi e quelli che ancora potrà rendere stando ai vertici operativi del nostro Esercito.
di Cristofaro Sola