Bce, banche e mutui: libere volpi in libero pollaio

mercoledì 9 agosto 2023


Governare è impegnativo. Raramente un Governo assume scelte che incontrino il favore di tutti i cittadini. È dunque assolutamente fisiologico che qualcuno resti scontento o penalizzato dall’azione dell’Esecutivo. Tuttavia, la lesione dell’interesse di un individuo o di un gruppo omogeneo di cittadini può essere sopportata e compresa se risponde alla necessità prevalente di tutela dell’interesse generale. Deve averlo compreso a proprie spese il Governo Meloni che ieri l’altro, nell’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, ha varato un Decreto “Omnibus” nel quale ha riversato tutti i rimedi possibili alle emergenze che il Paese vive in questo periodo. Dai provvedimenti sui taxi al caro-voli, passando per la lotta al granchio blu divoratore di vongole nel delta del Po, ce n’è per tutti i gusti.

Ma la decisione che ha destato maggiore stupore è senza dubbio quella relativa alla tassazione straordinaria degli extraprofitti conseguiti dalle banche grazie all’aumento dei tassi d’interesse sul costo del denaro, deciso a più riprese dalla Banca centrale europea nell’ottica del contrasto all’inflazione. La misura annunciata è forte. Si parla di un prelievo del 40 per cento qualora, dai bilanci delle banche, emerga che il margine di interesse registrato nel 2022 eccede per almeno il 3 per cento il valore dell’esercizio 2021; del 6 per cento tra il 2022 e il 2023. Come chiaramente illustrato in un report de Il Sole 24 Ore, sono previsti dei paletti all’introduzione della tassazione straordinaria. Il primo di essi stabilisce che “l’ammontare dell’imposta straordinaria, in ogni caso, non può essere superiore a una quota pari al 25 per cento del valore del patrimonio netto alla data di chiusura dell’esercizio antecedente a quello in corso al primo gennaio 2023”.

Le reazioni al provvedimento sono state discordanti. Al Governo Meloni viene contestato il metodo di assunzione della decisione, oltre che il merito. Alcuni sostengono che si sia trattato di un fulmine a ciel sereno visto che le banche avevano ricevuto dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, appena alcune settimane orsono ampie rassicurazioni sul fatto che il Governo non sarebbe intervenuto a tassare gli extraprofitti realizzati. Certo è che l’apertura di ieri a Piazza Affari ha visto il tonfo dei titoli bancari. Gli investitori hanno reagito male alla mazzata inferta dal Governo a tutto il comparto bancario. I media organici ai partiti dell’opposizione battono sul tasto dell’assenza del ministro Giancarlo Giorgetti dalla conferenza stampa del post-Consiglio dei ministri durante la quale è stato presentato il provvedimento. Una frattura all’interno della maggioranza? Evidentemente no, visto che a illustrare la decisione di tassare gli extraprofitti delle banche è stato il vicepremier Matteo Salvini, leader della Lega, partito in cui milita Giorgetti. Dalle dichiarazioni rilasciate sull’argomento da Antonio Tajani a nome di Forza Italia si evince che vi sia stata compattezza nella maggioranza per una scelta obiettivamente difficile. Non sfugge a nessuno che azionare la leva del prelievo fiscale cozzi con i principi liberali iscritti nel Dna del centrodestra. Tuttavia, esiste una questione di fondo sulla quale i liberali devono chiarirsi, innanzitutto con se stessi.

Qual è la missione cardinale di un qualsiasi Governo in uno Stato ordinato alla forma democratica? La nostra risposta è: garantire la coesione sociale. Un passo dopo viene l’impegno ad assicurare la massima libertà al mercato. Diversamente, il primo scopo istituzionale della Banca centrale europea è di mantenere stabili i prezzi nei Paesi che utilizzano l’euro come moneta nazionale, definendo la politica monetaria nell’Eurosistema, vincolante per le banche centrali nazionali dei 20 Paesi dell’area dell’euro. Ora, se un’entità sovranazionale interviene, con una decisione unilaterale, ad alterare il mercato favorendo l’arricchimento di una parte a danno di altre, al punto da creare i presupposti di uno squilibrio sociale, è giusto che il Governo provveda a mitigare lo squilibrio o è più opportuno che non interferisca con le dinamiche, ancorché distorte, del mercato?

L’aumento forzato del costo del denaro ha comportato un’impennata, insostenibile per famiglie e imprese, del costo degli interessi sui mutui in essere, e in generale un aumento del costo del credito. Tale alterazione forzosa degli andamenti di mercato non è né neutra né indolore. Finisce per avere ripercussioni gravi sul corso del ciclo economico nazionale, inducendo sintomi recessivi in un sistema produttivo che, al contrario, avrebbe bisogno di una spinta per riprendere a crescere. È forse sbagliato che il Governo si preoccupi di compensare chi è stato danneggiato dalla decisione della Bce, attingendo le risorse da chi ha tratto immeritato vantaggio da quella stessa decisione?

Bisogna che i liberali di oggi, nel solco del liberalismo classico il quale, con Luigi Einaudi, rifiutava un liberismo economico declinato alla maniera di una religione universale (Luigi Einaudi, 1931, Dei diversi significati del concetto di liberismo economico e dei suoi rapporti con quello del liberalismo, in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, Ricciardi, Milano-Napoli, 1988) accettino l’idea che lo Stato ci debba essere sì come regolatore ma anche come decisore, quando è in gioco la difesa del principio cardine della coesione sociale.

Soprattutto, è necessario che i liberali di oggi riflettano criticamente sul falso mito della “mano invisibile” di smithiana memoria che vorrebbe sublimare l’attitudine autoregolatrice del mercato. Avrebbe potuto funzionare in una società ideale, affrancata da qualsiasi forma di compressione o di condizionamento della libera concorrenza, ma una comunità da “Utopie” del XVI secolo non esiste nella realtà. Di certo non esiste in Italia. Il combinato disposto tra l’azione cogente della molteplicità di Agenzie e Autorità cosiddette indipendenti, talune a dimensione sovranazionale, detentrici di poteri che hanno annichilito l’idea “montesquiana” delle tripartizione delle funzioni fondamentali dello Stato (legislativa, esecutiva, giudiziaria) propria del costituzionalismo liberale, e la pervasività di oligopoli industriali/finanziari vocati a piegare a proprio vantaggio le regole del mercato, hanno reso il rapporto tra produttori o intermediari di beni/servizi e fruitori/consumatori totalmente squilibrato a vantaggio dei primi. Uno Stato che non vuole cedere al rischio di una rottura rivoluzionaria dell’equilibrio intracomunitario non può non intervenire a difesa della parte debole.

Altra questione, invece, sollevata dai critici del provvedimento è l’efficacia della norma varata in Consiglio dei ministri. Esiste il precedente del Governo Draghi che tentò di applicare una tassazione aggiuntiva agli extraprofitti delle compagnie produttrici e distributrici di prodotti energetici, arricchitesi oltre misura per effetto degli aumenti stratosferici del costo del gas e del petrolio seguiti allo scoppio della guerra russo-ucraina. Lì è stato un vero flop. Della decina di miliardi di euro attesi, la resa per lo Stato si è limitata a poche centinaia di milioni.

È possibile che accada lo stesso con le banche, anche se il segnale che al Ministero dell’Economia abbiano imparato la lezione lo ricaviamo dall’insistenza con cui da Via XX Settembre si chiede di non parlare di tassa extraprofitti ma di “prelievo straordinario a carico degli intermediari finanziari”. Anche qui vale ciò che abbiamo detto a proposito della delega fiscale: il principio è giusto, bisogna vedere l’effetto dei decreti attuativi.

Il principio di tutela dei consumatori, richiamato da Matteo Salvini nel corso della conferenza stampa, è sacrosanto. Poi, però, bisogna valutare come il principio, usando un’orripilante espressione dello slang politichese, venga “messo a terra”. Quindi, al momento giudizio sospeso. E l’opposizione, vi starete chiedendo? Non pervenuta. A sinistra, sono troppo impegnati ad abbaiare alla luna per preoccuparsi dei problemi reali degli italiani.


di Cristofaro Sola