venerdì 4 agosto 2023
Debbo confessare che già dai tempi del Covid-19, in cui la totalità dei notiziari nazionali sosteneva compatta la linea del terrore virale, seguo con enorme sforzo i vari telegiornali e quasi esclusivamente per ascoltarne i titoli. Tanto è vero che, pur essendo sostanzialmente scomparso il tema della pandemia, attualmente mi trovo a contrastare l’irresistibile impulso a spegnere la tv quando mi imbatto nel mantra informativo del momento: il tema angosciante dei cambiamenti climatici. Un tema che, al pari della citata pandemia, viene affrontato da tutte le testate televisive con l’identica, terrorizzante visione da imminente fine del mondo.
Con ciò non intendo negare che nelle tesi climatiste non vi siano elementi ragionevoli, o quanto meno meritevoli di dibattiti e discussioni approfondite. Tuttavia, proprio per l’enorme difficoltà che ha l’uomo della strada a districarsi su un argomento così complesso e sul quale, come è normale che sia, la comunità scientifica è lungi dall’aver raggiunto una posizione univoca, ritengo che proprio l’informazione dovrebbe essere l’ultima a tirare le conclusioni, bombardando lettori e telespettatori con tutta una serie di nessi causali dati per acquisiti, quando essi acquisiti non lo sono affatto.
Esattamente ciò che non avrebbe dovuto fare chi ha curato un recente servizio in stile macedonia trasmesso dal Tg5. Un servizio estremamente catastrofista nel quale, realizzando un collage internazionale di eventi avversi – come incendi, piogge torrenziali, tifoni, tornado e quant’altro – si sono dati esplicitamente per scontati due conclusioni: a) che questi fenomeni sono assolutamente anomali, tanto per frequenza quanto per intensità; b) che questi ultimi sono sicuramente causati dai cambiamenti climatici in atto, la cui responsabilità ricade sulla crescente antropizzazione del pianeta.
D’altro canto, mettendomi nei panni di chi dirige un notiziario seguito da milioni di ascoltatori, mi rendo conto che, essendo il climatismo divenuto un dogma religioso, al pari di quello pandemico appena dietro le spalle, a nessuno piace prendersi l’etichetta di negazionista. Nondimeno sarebbe almeno auspicabile che in certi frangenti si utilizzasse il condizionale al posto dell’indicativo e il “sembrerebbe” in luogo del “certamente”.
In questo senso, pur non provando una particolare simpatia per Oscar Farinetti, mi sento di sottoscrivere una sua nota affermazione pubblicitaria: “Studia per assumere qualche certezza, ma poi coltiva i dubbi”.
Esattamente il contrario di molti nostri colleghi, i quali non studiano e non leggono i numeri, ma le cui certezze, spesso basate su semplici pregiudizi, appaiono granitiche.
di Claudio Romiti