mercoledì 26 luglio 2023
Questa sinistra nostrana è davvero incredibile. Ma come fa a descrivere un mondo alla rovescia, pretendendo che la gente le creda? È il quarto segreto di Fatima, il mistero irrisolto del nostro tempo. Su ogni cosa raccontano l’opposto della verità, con una faccia tosta da fare invidia. Di recente, l’hanno fatto con la vicenda della grazia concessa dal presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi a Patrick Zaki, suo connazionale e residente in Italia per ragioni di studio. La sua liberazione? Mica frutto della paziente opera di mediazione del Governo italiano, ma il risultato della mobilitazione dei “quattro gatti” progressisti che dalla piazza di Bologna urlavano slogan contro il “dittatore” del Cairo. Vi sembra possibile che il “padrone” dell’Egitto – che non è un tipo facile con cui trattare – abbia concesso la grazia al giovane oppositore del suo regime perché intimorito dalle invettive di Laura Boldrini e compagni? Roba da Scherzi a parte. Eppure, è ciò che filtra dai luoghi di stazzo della sinistra fighetta, in stile sardine e altri clupeiformi assimilati.
Ora ci riprovano con gli esiti delle elezioni in Spagna. “Fermata l’onda nera”, “Il blocco di Partito popolare e Vox sono usciti sconfitti”, “Flop sovranista”, “Fallisce il modello Italia”. Ma dove? Ma quando? Con quale coraggio si manipola la realtà fino a capovolgerla? Dati alla mano, proviamo a fare un minimo di chiarezza. L’unico elemento di verità è che Partito popolare e Vox insieme non hanno i numeri necessari al Congresso dei deputati a una costituenda coalizione di centrodestra per governare il Paese. Tuttavia, il fatto che queste due forze non ce l’abbiano fatta a raggiungere la maggioranza assoluta non significa che abbia vinto la sinistra. Intanto, il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) di Pedro Sánchez, pur avendo conquistato due seggi in più rispetto alle elezioni del 2019, perde il primato di prima forza politica. Il Psoe conquista 122 seggi. Al contrario, la formazione risultata vincente è quella del Partito popolare, che passa dagli 89 seggi del 2019 agli attuali 136 (+47).
Certamente, il clamoroso balzo in avanti dei popolari è ascrivibile a un significativo recupero di elettorato nell’area della destra, ai danni dei liberali di Ciudadanos – 10 seggi nel 2019 – che scompaiono in questa tornata e della stessa Vox, che oggi perde 19 seggi rispetto alla precedente legislatura (33 contro 52 del 2019). Cosa si può dedurre? Che per Vox sia cominciata la parabola discendente? Presto per dirlo, visto che in queste elezioni ha tenuto 3 milioni 33mila 744 voti (12,39 per cento), perdendone solo 600mila rispetto alla consultazione del 2019 (3.656.979 – 15,07 per cento) (fonte: Ministero dell’Interno spagnolo). Appena lo scorso maggio, alle elezioni amministrative, il partito guidato da Santiago Abascal ha triplicato i suoi rappresentanti locali ed è alla guida di alcune regioni. Il dato elettorale certifica che il Partito popolare vince se s’intesta una politica marcata a destra, definendo con maggiore nettezza la distanza dalle posizioni progressiste del blocco della sinistra.
Chi conosce le idee politiche dei più noti esponenti del Partito popolare – come Isabel Díaz Ayuso, presidente della Comunità autonoma di Madrid – sa bene che esse lambiscono in più punti il sottile confine che separa il liberalismo dal pensiero conservatore sviluppatosi nell’Europa continentale. Ciò lascia intendere che non dovrebbe arrivare nessun salvagente ai socialisti di Sánchez da parte dei popolari. A Madrid non verrà ascoltato il canto delle sirene che da Bruxelles viene invocato per la Spagna – e per la sopravvivenza futura in Europa del modello “Ursula” – una “Große Koalition” popolari-socialisti. Che è ciò che, invece, spererebbero i progressisti nostrani, i quali dello stare al potere pur essendo minoranza nelle urne ne hanno fatto una prassi e un’arte. Riguardo alla sinistra spagnola, dove starebbe la vittoria?
Di là dal risultato del Psoe, va segnalato quello negativo di Sumar, la piattaforma della sinistra radicale spagnola, erede diretta del movimento Podemos. Il Movimiento Sumar (Smr) ha ottenuto 31 seggi contro i 35 di Unidas Podemos del 2019. Ma la sinistra cala anche nelle formazioni autonomiste regionali. La Sinistra repubblicana di Catalogna (Esquerra Republicana de Catalunya – Erc) passa dai 13 seggi del 2019 agli odierni 7 seggi. Se Sánchez volesse tentare l’impossibile, per tornare a governare la Spagna da sconfitto, dovrebbe mettere insieme tutto ciò che residua al Congresso dei deputati delle piccole entità autonomiste, compresi i separatisti di Uniti per la Catalogna (Unts per Catalunya – JxCat) di Carles Puigdemont. Costui, al momento eurodeputato, è in attesa di essere estradato in Spagna dove lo attende il carcere, perché ha attentato all’unità e alla sovranità dello Stato, avendo autorizzato da presidente della Generalitat de Catalunya, lo svolgimento – il 1° ottobre 2017 – del referendum con valore vincolante sull’indipendenza della Catalogna.
All’esito positivo del referendum Puigdemont si è autoproclamato presidente della Repubblica di Catalogna. E Sanchez dovrebbe negoziare con un latitante la sua sopravvivenza al potere? Come la prenderebbero gli spagnoli? Stando così le cose, non è da escludere un repentino ritorno alle urne per sbloccare un’impasse che genera uno stallo istituzionale. Cosa insegna la domenica elettorale spagnola alla politica italiana? Nulla che non si sapesse già. Il ruolo ricoperto nel Paese iberico dal Partito popolare, in Italia è assicurato da Fratelli d’Italia, nonostante che il referente del Partito popolare europeo (Ppe) nel nostro Paese sia Forza Italia e che Giorgia Meloni appoggi il partito-fratello Vox, formazione a forte vocazione sovranista, ma in Europa aderente ai Conservatori e Riformisti europei (Ecr). Il fatto poi che i due partiti spagnoli non abbiano la maggioranza assoluta non inficia il progetto di dare all’Europa, dal 2024, un Governo di centrodestra. Se una critica va rivolta ai leader della destra spagnola per la mancata vittoria piena è che tra loro non hanno fatto squadra, ma si sono divisi, attaccandosi vicendevolmente più per strapparsi consensi che per individuare una visione unitaria di governo della nazione.
Questa è la lezione che tutte le formazioni ancorate a destra, nei Paesi dell’Unione europea, dovrebbero comprendere. Si sconfigge il mondo del progressismo solo a condizione che liberali, conservatori e sovranisti facciano blocco. Come dimostra la storia di questi anni, le divisioni fanno il gioco del nemico, che su quelle divisioni prospera e comanda. Se Giorgia Meloni vuole continuare a battere sull’idea di esportare a Bruxelles il modello italiano del centrodestra deve serrare il dialogo con i vertici del Partito popolare europeo e convincerli che portare la più grande forza moderata e liberale che il Vecchio Continente abbia conosciuto a rinnovare l’alleanza spuria con la sinistra sarebbe per gli stessi popolari un errore esiziale.
Sul fronte opposto, Elly Schlein e compagni si illudono se pensano che la battuta d’arresto della destra spagnola possa togliere acqua e respiro al progetto del centrodestra europeo. Così come s’illudono se credono che il risultato elettorale non soddisfacente di Vox possa provocare per riflesso in Italia la caduta del consenso alla Meloni. In questo caso la teoria del caos non funziona, non basta che una farfalla sbatta le ali a Madrid perché a Palazzo Chigi crolli il Governo. Sebbene la comune appartenenza all’Unione europea ci offra una sensazione di massima vicinanza tra popoli degli Stati membri, la realtà ci restituisce la misura della distanza che corre tra le peculiarità di una nazione e quelle delle altre. Perciò, la Spagna resti affare degli spagnoli. Gli italiani si preoccupino invece di guardare in casa loro. Che per il riassetto degli equilibri comunitari, c’è tempo.
di Cristofaro Sola